Economia
Il futuro post Covid o sarà sostenibile o non sarà
Giovanna Melandri, presidente Social Impact Agenda per l'Italia e Human Foundation Do&Think Tank per l'Innovazione Sociale, non ha dubbi: «La pandemia ce lo ha insegnato: senza innescare la retromarcia sulla voracità del nostro modello di sviluppo siamo una specie a rischio sopravvivenza. Da questa constatazione dolorosa può fiorire presto un risveglio di consapevolezza e nascere un tempo nuovo»
Abbiamo alle spalle un periodo denso di momenti di riflessione sulla ripresa post emergenza Covid. E questo è un ottimo segno. Segno di un bisogno che sta finalmente diventando patrimonio collettivo: avviare una riflessione globale, multidisciplinare, su un nuovo modello di sviluppo possibile, centrato sul binomio giustizia sociale/ giustizia ambientale, capace di rendere la nostra società meno disuguale e più resiliente.
Senza coinvolgere i grandi player della finanza e dell’economia, nessun cambiamento è possibile
Sono stati tre gli appuntamenti chiave post estate in cui la riflessione su Covid e “futuro sostenibile” si è precisata e a cui ho provato a dare il mio contributo. La prima occasione di confronto è stata il Gsg Global Summit. Non abbiamo rinunciato all’appuntamento annuale della rete internazionale della finanza a impatto sociale, il Global Steering Group guidato da sir Ronald Cohen e in cui sono parte del Board of Trustees. Sono alcuni anni che ci battiamo per un ruolo attivo della “impact economy” (investitori e finanzieri a impatto sociale, ma anche organizzazioni e imprenditori sociali) in una generale riforma del capitalismo globale. Partendo da una convinzione: senza coinvolgere i grandi player della finanza e dell’economia, nessun cambiamento è possibile. Perché generare cambiamento sociale e ambientale non vuol dire solo agire su comportamenti, stili di vita, consumi, etica personale e collettiva. Significa anche e direi soprattutto riformare radicalmente le logiche e i processi della produzione, del capitale finanziario e delle merci e dei servizi.
Ci siamo riuniti virtualmente, è vero, per ovvie ragioni. È dal summit di Nuova Delhi del 2018 che il global summit ha dovuto innovare le sue modalità, visto che quello programmato in Cile nel 2019 saltò per i disordini sociali e politici che interessarono il Sudamerica e Santiago e che poi, con il Covid, il distanziamento fisico e il blocco della mobilità hanno trasformato il nostro modo di lavorare e fare rete. Ma il summit ha funzionato, grazie a una piattaforma web che ci ha consentito di svolgere tanto le riunioni plenarie che i tavoli di lavoro senza perdere qualità nello scambio e nella relazione. Oltre 1.200 partecipanti, da 60 Paesi diversi del mondo. Iniziativa completamente gender balanced: stessa percentuale di speaker tra uomini e donne. Con ospiti di massimo rilievo, dal premio Nobel per l’economia Emmanuel Faber all’economista bulgara Kristalina Georgieva del Fondo monetario internazionale, no al cardinale Turckson, passando per i main impact leaders del mondo.
Con un orizzonte di lavoro molto serio, riassunto nel documento finale sull’impact recovery e sul “futuro giusto e sostenibile” promosso dal nuovo ceo Cliff Prior. Una vera e propria “leader’s declaration” basata su tre punti: la diffusione dell’impact investment come strumento per combattere la disoccupazione, la crisi sociale e difendere l’ambiente; promuovere la “impact transparency”, ovvero un report periodico di imprese e investitori sull’impatto sociale e ambientale del loro business, misurato dai processi di valutazione e testimoniato dai bilanci; innovare i processi legislativi per facilitare la diffusione degli strumenti della finanza impact, come gli outcome funds e i social impact bonds.
Credo molto nelle ricadute positive che potrà avere questo documento, anche alla luce della preziosa congiuntura che ci attende nel 2021: l’Italia alla presidenza del G20 e l’Inghilterra alla presidenza del G7.
La pandemia lo ha insegnato a tutti con chiarezza: senza innescare la retromarcia sulla voracità del nostro modello di sviluppo siamo una specie a rischio sopravvivenza
Intanto, si sono appena conclusi due festival molto importanti, centrati sempre sul tema della sostenibilità. A Firenze, alla presenza del presidente del consiglio Giuseppe Conte, le giornate del Festival dell’Economia Civile, che hanno visto una partecipazione significativa, anche del mondo della politica e dell’accademia italiana, a testimonianza che la costruzione di un ecosistema centrato sul binomio innovazione/inclusione è in corso. E infine le giornate di confronto organizzate da AsVis – l’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile e il raggiungimento degli Sdgs anche in Italia, guidata da Enrico Giovannini. Un’occasione per tornare a precisare gli ambiti di azione prioritaria della riduzione delle disuguaglianze nel nostro paese: povertà educative, peggiorate dalla crisi Coronavirus; impoverimento delle giovani generazioni e crisi della mobilità sociale intergenerazionale; spopolamento delle aree interne; disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari.
Sullo sfondo, due sentimenti contrastanti. Da un lato, la preoccupazione per il peggioramento del quadro socio- economico e, in particolare, la paura per l’enorme ferita occupazionale che rischia di espellere entro la ne del 2020 migliaia di lavoratori fuori dal sistema produttivo, con una ricaduta sociale senza precedenti. Dall’altro, la speranza di una ricostruzione che non sia solo la pioggia di aiuti assistenzialistici per evitare che il sistema socio economico crolli, ma che sia anche riconversione inevitabile del nostro modo di abitare il pianeta.
Perché la pandemia lo ha insegnato a tutti con chiarezza: senza innescare la retromarcia sulla voracità del nostro modello di sviluppo siamo una specie a rischio sopravvivenza. Da questa constatazione dolorosa, può fiorire presto un risveglio di consapevolezza. E nascere, finalmente, un tempo nuovo.
*Giovanna Melandri, presidente Social Impact Agenda per l'Italia e Human Foundation Do&Think Tank per l'Innovazione Sociale
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