Welfare

Ecco i punti critici dell’accoglienza migranti

La Commissione parlamentare apposita ha redatto il rapporto conclusivo di due anni di lavoro: "nessuna bocciatura ma l'eccessivo numero dei Cas, Centri di accoglienza straordinaria, e il rischio di business sono due dei problemi da risolvere al più presto", spiega il deputato relatore del documento Paolo Beni

di Daniele Biella

“Non è una bocciatura del sistema. Ma i problemi che ci sono vanno risolti tempestivamente”. Usa parole franche Paolo Beni, deputato Pd ed ex presidente nazionale di Arci, nel commentare la relazione finale presentata a fine legislatura dalla ‘Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate’, di cui fa parte – assieme a una ventina di colleghi di ogni partito – e per la quale è stato il relatore proprio del documento conclusivo. Due anni di lavoro che hanno prodotto report periodici su tematiche specifiche (a questo link tutta la lista a cui si aggiungerà a breve il report finale) e ora un documento di 132 pagine che “contiene la fotografia dello stato attuale delle cose, che il prossimo governo prenderà in mano” dopo le elezioni del 4 marzo 2018.

C’è da dire che il documento è strutturato in modo proficuo anche per i non addetti ai lavori: la prima parte, in particolare, elenca passo per passo tutta la legislazione prodotta sul tema delle migrazioni irregolari dall’estero verso l’Italia fin dagli anni ’90 del secolo scorso, arrivando ovviamente all’oggi. Nella seconda parte, invece, si va a fondo su quello che sta accadendo oggi: ‘il monitoraggio dei centri’ (di accoglienza) è l’eloquente titolo. Ecco i punti centrali del testo. Spine comprese.

Cas avanti tutta
Dovevano diminuire fino a scomparire gradualmente negli anni. Ma sono in aumento anno dopo anno: stiamo parlando dei Cas, Centri di accoglienza straordinaria, la cui gestione è data in mano dalla Prefettura territoriale competente a un ente gestore privato che partecipa a un bando oppure – in momenti emergenziali di molti arrivi in poco tempo – riceve l’incarico via assegnazione diretta. Era il 2015: con il decreto 142 il governo ridisegna il sistema d’accoglienza sulla base direttive europee, adottando come modlelo ordinario da seguire anziché i centri straordinari d'accoglienza, noti come Cas, la progettazione dello Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), promosso direttamente dai Comuni italiani aderenti con la collaborazione di enti scelti direttamente dall’amministrazione comunale. Allora i Cas erano 3050, lungo tutto il territorio nazionale. A dicembre 2017, invece, sono 8920, quasi il triplo (di essi, comunque, 6931 sono case – laddove il modello è comunque l’accoglienza diffusa – mentre le presenze sono aumentate da 71mila a 151mila (erano 136mila a dicembre 2016). Si vedano le due tabelle sottostanti, riguardo la tipologia di strutture e numero degli ospiti.

“È chiaro che quello che doveva essere transitoria e straordinaria, ovvero l’accoglienza nei Cas, è diventata l’ordinarietà”, sottolinea Beni. “Il sistema Sprar ha aumentato i propri posti, ma non quanto ci si aspettava dato che i Comuni aderenti sono oggi 661 su 8mila”. Da non confondere con il dato totale dei Comuni che ospitano una struttura d’accoglienza (che sia Cas o Sprar o entrambe), che sono circa 2896: ma in questo caso, è bene ricordare, la gestione non è comunale ma frutto di un accordo tra ente gestore privato e Prefettura.

I rischi dell’affidamento diretto
Un altro nodo preoccupante sono gli affidamenti diretti: “se ci sono posti da reperire in emergenza, la Prefettura può fare una procedura d’urgenza e affidare direttamente la gestione di richiedenti asilo a proprietari di strutture senza passare da un bando”, spiega Beni. Anche in questo caso, la tabella parla chiaro. Se a livello assoluto il numero di affidamenti diretti maggiore è in Lombardia (259 su 1507, comunque meno di uno su cinque), in percentuale la cifra più alta spetta alla Calabria (75 su 152, ovvero quasi uno su due), seguita da Molise e Sardegna.


“Sono davvero numeri singolari. Anche sulla base della audizioni che abbiamo avuto in Commissione, è lecito dire che la criminalità organizzata in alcuni casi ci abbia messo mano”, sottolinea il deputato. “I controlli ci sono stato ma non abbastanza, ed è per questo che nel tempo sono venute alla luce varie situazioni irregolari”. Del resto la cronaca riporta spesso, anche in questi giorni, situazioni incresciosi anche dal punto di vista dei diritti umani delle persone accolte, oltre al rischio di guadagno illecito di chi fra i responsabili degli enti gestori raggira lo Stato tenendo per sé parte dei soldi per l’accoglienza oltre il consentito.

Business dietro l’angolo
Anche se non penalmente illecito, il business sulla pelle di migranti e contribuenti è dietro l’angolo: “basta dare un’occhiata al numero di strutture turistiche o paraturistiche come esercizi commerciali riconvertiti che oggi si sono date all’accoglienza: fiutano la convenienza dell’affare”, rimarca Beni. Il problema sta a monte: “non sono enti che hanno esperienza a livello umanitario e solidale come possono esserlo quelli che lavorano già da anni sui territori con i migranti o le fasce deboli della popolazione”. C'è da sottolineare, infatti, che molti Cas sono gestiti in modo virtuoso da enti, in particolare del Terzo settore, già conosciuti sul territorio in cui lavorano e a volte assegnatari sia di accoglienze in Cas che in progetti Sprar. Quale via d’uscita per evitare il business? “Aumentare la spinta nel riconvertire il sistema, superando i Cas e promuovendo il più possibile lo Sprar, che è un modello assolutamente sostenibile perché offre maggiori garanzie nella qualità dei servizi di accoglienza, senza costi aggiuntivi rispetto all'altro modello". Anci e ministero dell'interno, tra l'altro, hanno stilato nel 2016 un protocollo verso una quota di ripartizione di accolti su base comunale di 2,5 persone ogni mille abitanti e la possibilità per un Comune, una volta raggiunta la quota tramite lo Sprar, di far valere la clausola di salvaguardia per non avere Cas aggiuntivi: un'iniziativa per incentivare i Comuni che finora ha faticato a essere recepita.

I dati regionali
Il modello attuale prevede la ripartizione regionale, più o meno elevata a seconda del Pil della singola regione, delle persone migranti arrivate dopo lo sbarco. Come negli anni scorsi la Lombardia è in prima fila con il 14% delle accoglienze, seguita a distanza da Campania e Lazio.

Interessante anche il dato delle presenze in rapporto agli abitanti, perché è il Molise, una delle regioni più piccole d’Italia, a essere in cima alla lista: 15 migranti ogni mille abitanti, seguito da lontano da Basilicata e Calabria, come si vede nella tabella seguente (nella settima colonna). Da cui emerge anche un dato interessante riguardo alle quote regionali dei 2896 Comuni totali coinvolti nell’accoglienza (quarta colonna): la Toscana è di gran lunga la regione con il maggior numero di amministrazioni coinvolte nell’accoglienza (quasi l’83% del totale), la Valle d’Aosta ultima con il 16%. “A livello regionale la Toscana sta investendo molto sul censimento delle esperienze di accoglienza e sul monitoraggio della qualità, e il ritorno è un modello che funziona. Altre regioni non lo stanno facendo”, specifica Beni.

La tempistica dell’accoglienza
Il modello di seconda accoglienza italiano rimane ancora uno dei più lenti a livello europeo. “Le ultime riforme governative, in particolare il raddoppio delle Commissioni territoriali giudicanti le domande d’asilo politico, passate da 20 a 40, hanno accelerato i tempi”, rimarca Beni. Dai 18-24 mesi di un paio di anni fa si è passati a una media di 12-18. A questo dato ha inciso anche l’abbattimento dell’ultimo grado di giudizio della richiesta d’asilo, anche se in questo caso la Commissione parlamentare di inchiesta scrive questo nella relazione finale: “Con particolare riferimento all’eccessivo protrarsi dei tempi di esame delle domande di protezione internazionale, va ripreso il tema dei dubbi insorti intorno alla disciplina introdotta con il cosiddetto decreto Minniti (emanato nell’aprile 2017, ndr). Dubbi di legittimità costituzionale sono stati sollevati in ordine alle nuove norme procedurali che, nel loro complesso, comprimerebbero eccessivamente il diritto di difesa del richiedente la protezione internazionale con irragionevole disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni giuridiche e, quanto al nuovo rito camerale, potrebbero financo violare il principio di pubblicità del giudizio sancito dall’articolo 6 CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani)”.

Le raccomandazioni finali
L’importante documento della Commissione parlamentare si chiude con una serie di “considerazioni conclusive”. Tra esse, Beni segnala la necessità di riorganizzare il sistema anche con la creazione di un ente nazionale che si occupi direttamente dei temi legati all’accoglienza”. Il testo recita così: “mentre a livello territoriale questa riorganizzazione del sistema potrebbe portare all’individuazione degli specifici uffici o servizi regionali aventi il compito di coordinare le attività locali, a livello nazionale – anche alla luce della crescente rilevanza del tema dell'asilo si dovrebbe procedere alla istituzione di una specifica struttura pubblica con funzioni di coordinamento e direzione operativa nazionale dell'intero sistema: una Agenzia Nazionale per l’Accoglienza, incaricata delle funzioni di coordinamento centrale, organizzazione generale del lavoro, supporto tecnico agli enti gestori dei centri, messa in rete di istanze di livello provinciale, regionale e nazionale, attuazione del monitoraggio sui servizi e sugli enti gestori, a garanzia della coerente attuazione sul piano nazionale di un modello unitario, efficiente ed efficace”.

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