Welfare

L’accesso al welfare digitale? Sarà la sfida dei prossimi decenni

Per il presidente di Federsolidarietà – Confcooperative, «diventa sempre più importante quindi per i cooperatori sociali conoscere e approfondire l’analisi su quali cambiamenti e quali interrogativi, la rivoluzione digitale e l’evoluzione dell’intelligenza artificiale sta portando nelle nostre organizzazioni e nella stessa essenza dell’economia sociale e delle forme mutualistiche»

di Giuseppe Guerini

L’innovazione digitale e i profondi cambiamenti in corso nell’organizzazione della vita quotidiana, stanno portando una trasformazione radicale anche nell’organizzazione del lavoro.

Queste trasformazioni interrogano profondamente anche l’organizzazione e la gestione dei servizi di welfare, non solo perché l’impatto sul mondo del lavoro e i rischi di perdita di migliaia di posti di lavoro, impatteranno sul sistema di protezione sociale, chiedendoci di sviluppare un sistema di accompagnamento per consentire alle persone di reinventarsi e ricollocarsi in un mercato del lavoro sempre più frantumato e instabile; ma anche perché esse entreranno pienamente nelle forme e nelle modalità di erogazione gestione dei servizio di welfare, nella sanità e nell’educazione.

Le trasformazioni del futuro digitale infatti stanno sempre più entrando nell’organizzazione del sistema di welfare, a cominciare dal welfare sanitario, sempre più caratterizzato dalla presenza dell’intelligenza artificiale. Le nuove tecnologie e la progressione esponenziale degli strumenti digitali, agiscono in modo potente sulla struttura e organizzazione del lavoro, non solo per via dei processi di automazione ma anche per la mutazione profonda dei sistemi di relazione tra persone.

L’accesso al futuro welfare digitale per tutti i cittadini sarà una delle grandi questioni dei prossimi decenni, e quindi una delle missioni del terzo settore e delle cooperative sociali, dovrà essere quella di contenere la crescita delle diseguaglianze nell’accesso ai servizi di cura


L’accesso al futuro welfare digitale per tutti i cittadini sarà una delle grandi questioni dei prossimi decenni, e quindi una delle missioni del terzo settore e delle cooperative sociali, dovrà essere quella di contenere la crescita delle diseguaglianze nell’accesso ai servizi di cura.

Diventa sempre più importante quindi per i cooperatori sociali conoscere e approfondire l’analisi su quali cambiamenti e quali interrogativi, la rivoluzione digitale e l’evoluzione dell’intelligenza artificiale sta portando nelle nostre organizzazioni e nella stessa essenza dell’economia sociale e delle forme mutualistiche, basti pensare a tutte quello che passa sotto la dicitura di “sharing economy”.

Il sistema di welfare è una delle risposte che nei Paesi occidentali si sono date alle mutazioni dell’organizzazione del lavoro e alle trasformazioni degli stili di vita e di organizzazione delle famiglie: welfare, lavoro e industrializzazione hanno avuto un destino incrociato. Ma ora che mutano lavoro e organizzazioni sociali e d’impresa servirà pensare anche ad un nuovo modo per organizzare la protezione sociale.

I processi di innovazione tecnologica del passato erano in grandissima parte orientati a trasformare i modi in cui il lavoro si organizzava, per processi di scomposizione in fasi e aggregazione in grandi contenitori delle catene di produzione: il lavoro prevalentemente di massa e inquadrato nella forma dipendente.

Nessuna organizzazione ottimale del lavoro con macchine e algoritmi efficienti, restituisce ai lavoratori il sentimento di solidarietà e protezione che nasce dalla condivisione di un medesimo destino.

Oggi si va in direzione della “diffusione totalmente frammentata” del lavoro che esce dai grandi contenitori organizzativi sia spaziali che temporali, per essere essenzialmente attività individualizzata. Con tutte le conseguenze del caso, sul piano delle funzioni pubbliche e sociali delle forme di contratto e di ordinamento che ne sono derivate. Ad organizzare il lavoro è un algoritmo che fa interagire una piattaforma con utenti e fornitori, con una polverizzazione delle forme di contrattazione, una spersonalizzazione delle relazioni, un’individualizzazione dei rapporti contrattuali: sia quello di lavoro, sia quello commerciale.

È un sistema che mette in gioco le persone, offre occasioni di lavoro a chi altrimenti non ne avrebbe, crea forme di economia e di micro-imprenditorialità diffusa. Ma al tempo stesso è un sistema che rischia di svilupparsi senza una adeguata attenzione alla protezione dei lavoratori.

Nell’evoluzione delle nuove tecnologie e della globalizzazione dell’economia digitale, si potrebbe arrivare a teorizzare un sistema produttivo di imprese senza lavoratori, di agricoltura senza agricoltori e di diagnostica senza dottori…non sarà invece possibile comprimere in un algoritmo l’identità e il riconoscimento che alle persone arriva dal lavorare; non si potrà comprimere la capacità di innovazione e di ideazione che arriva dalla collaborazione tra le persone, che combinando il potere di calcolo delle macchine e l’intelligenza artificiale di internet delle cose, possono dare vita alle idee e a un internet del “sentire”. Perché l’intelligenza artificiale senza intelligenza emotiva, senza intelligenza empatica e relazionale; senza intelligenza solidale e affettiva non potrà mai dare anima al bello e al buono della vita.

Nessuna organizzazione ottimale del lavoro con macchine e algoritmi efficienti, restituisce ai lavoratori il sentimento di solidarietà e protezione che nasce dalla condivisione di un medesimo destino.

Fra qualche tempo vedremo in campo piattaforme per l’incrocio domanda-offerta di prestazioni di cura e se pensiamo al fenomeno delle assistenti familiari o “badanti” ne possiamo anche immaginare la potenziale diffusione.

Già da qualche tempo hanno iniziato ad operare organizzazioni (purtroppo in forma di cooperativa sociale) che offrono prestazioni di assistenti familiari che sono inquadrate come “libera professione” in partita IVA. In taluni casi addirittura ci sono state segnalazioni ai Giudici del lavoro in cui la lavoratrice nemmeno sapeva che i suoi “datori di lavoro” l’avessero inquadrata come libero professionista. Si tratta (prevalentemente) di lavoratrici che rischiano di doversi misurare con la polverizzazione del lavoro. La prossima tappa potrebbe essere quella della “uberizzazione” delle prestazioni sociali, con una piattaforma e un algoritmo che incrocia domanda ed offerta. Certo non è la stessa cosa consegnare un pasto, organizzare un trasferimento in auto e gestire una serie di prestazioni complesse di cura, ma è altrettanto vero che il bisogno è enorme, le risorse poche e chi specula sulle “badanti” organizzando una finta cooperativa, non si farà certo scrupoli se anziché una cooperativa domani potrebbero bastare un server, qualche app …e lo sconfinato bisogno delle persone di avere risposte urgenti

Le cooperative sociali devono sviluppare la capacità di utilizzare il potenziale di queste nuove tecnologie per sviluppare al meglio la propria funzione di mutualizzare il bisogno di lavoro e condividerne il valore prodotto

A queste scenario, la cooperazione sociale autentica può dare risposte molto più articolate della mera organizzazione ottimale del lavoro, o della copertura contrattuale, per mettere insieme una dimensione di senso e di cura nell’organizzare interventi di assistenza e aiuto. Per questo serve tornare però alle origini dell’esperienza mutualistica, alla capacità e specificità della cooperativa sociale che nasce e si sviluppa nelle comunità locali a diretto contatto coni bisogni delle persone ma anche con la possibilità di coinvolgere i portatori di interesse nella costruzione delle risposte alle loro domande di protezione sociale.

Poiché se l’efficacia degli algoritmi potrebbe competere con l’abilità della cooperativa di organizzare in modo ottimale il lavoro, ma non certo aumentare il livello di partecipazione di lavoratori e utenti alla condivisione del valore creato e alla governance dell’impresa.

Ecco perché le cooperative sociali devono sviluppare la capacità di utilizzare il potenziale di queste nuove tecnologie per sviluppare al meglio la propria funzione di mutualizzare il bisogno di lavoro e condividerne il valore prodotto. Mutualizzare identità e solidarietà in un destino comune, contribuisce a costruire comunità di appartenenza e di tutela, conferisce dignità e apre spazi per “rappresentare” il lavoro e quindi dare legittimità e cittadinanza alle varie forme di lavoro nell’ampio settore del “welfare del futuro”.

Potrebbe essere anche un’occasione formidabile per mettere finalmente fuori gioco le troppe cooperative che non sono altro che centrali di erogazioni di prestazioni standardizzate, spesso gestite con una partecipazione dei soci solo formale e svuotata di ogni potere reale, che hanno intossicato il mercato del lavoro sociale in cooperativa. Alcune di queste realtà sono poco più che forme strutturate di caporalato del lavoro sociale, che nulla hanno a che vedere con la funzione di promozione del benessere delle comunità locali e di ricerca del interesse generale che è la funzione che anche la recente riforma del terzo settore consegna alle cooperative sociali.

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