Formazione

Non deludere tante attese

L’offerta universitaria per chi vuole lavorare nel Terzo settore è sempre più vasta e variegata. Queste pagine lo dimostrano. ma la crescita impetuosa nasconde dei difetti

di Francesco Maggio

Con 70 atenei (58 statali, 12 privati), 416 facoltà (382 pubbliche, 34 private) e 3.200 corsi di laurea, l?offerta universitaria, nel nostro Paese, non è mai stata così vasta e diversificata come oggi. Il famoso ?3+2? ha avviato un processo di competizione tra atenei e facoltà che al momento non si sa dove porterà. Giuseppe De Rita, del Censis, sostiene che «passata la prima fase, il sistema cercherà necessariamente un nuovo equilibrio, un ricentraggio». Vedremo. Intanto, presso il ministero dell?Istruzione, da settembre lavorerà una commissione (presieduta da Antonio De Majo) con il compito di ritoccare la formula. A questo boom non fa eccezione l?offerta formativa per il non profit.

Nuove frontiere
Dal 1998, da quando Vita ha deciso di dedicare ogni estate un inserto speciale ai corsi di laurea e specializzazione nel settore, il trend che registra è costantemente in crescita. Quest?anno, poi, è stato esteso l?approfondimento anche a discipline che lambiscono, a vario titolo, il sociale. Per esempio: agricoltura biologica, bioarchitettura, ambiente, beni culturali. E il numero dei corsi sfiora ormai la cinquantina.
Da un lato questo è un bene perché vuol dire che, evidentemente, c?è domanda, che ci sono in giro un sacco di ragazze e ragazzi pronti a mettersi in gioco e a tentare la strada, tutta in salita, del Terzo settore. Un settore dove, per dirla con le parole sempre attuali del professor Elio Borgonovi, direttore della Sda Bocconi, «nulla è certo e predefinito, il terreno è pieno di sfide, ma si ha la possibilità di mettere davvero alla prova conoscenze e capacità manageriali e dove l?uomo è davvero considerato come tale».
Dall?altro lato, però, non può non suscitare più d?una perplessità il fatto che tutto ciò avvenga senza che, nel contempo, si creino e sviluppino le condizioni necessarie e sufficienti affinché tali aspettative non vadano deluse: «Per adeguare l?offerta occorre avere i formatori», afferma Stefano Zamagni, fondatore del corso di laurea in Economia delle imprese cooperative e delle organizzazioni non profit dell?Università di Bologna (sede di Forlì), il primo diploma del genere a sorgere in Italia, «e i docenti, nell?ambito delle scienze sociali, dell?economia, della sociologia e di tutte le altre materie che si insegnano in questo tipo di corsi si sono formati nei decenni passati su altri temi. Un ciclo di formazione universitario completo di un corpo docente dura almeno 10-15 anni. Non di rado, quindi, esso risulta inadeguato allo scopo».
Ma non finisce qui. Perché non basta dar vita a un nuovo corso se non si creano le cosiddette economie di atmosfera. «Un corso di laurea o un master in non profit», sottolinea ancora Zamagni, «in aggiunta all?esistenza di un corpo docente preparato, presuppone che l?ambiente circostante sia favorevolmente propenso ad accogliere un ciclo di studi del genere. Per almeno due ragioni. La prima, è che questi corsi richiedono uno scambio molto diretto tra università e imprese. Noi, infatti, a Forlì prevediamo uno stage obbligatorio in azienda, cosa che non sarebbe possibile se le imprese del posto non si mostrassero disponibili ad accogliere gli studenti». «La seconda ragione», aggiunge l?economista bolognese, «è che un corso di laurea di questo tipo deve produrre necessariamente delle esternalità positive sull?ambiente circostante. Se non c?è una collaborazione simpatetica con l?ambiente circostante, allora non si avrà mai una vera fioritura di questo tipo di lauree».

A tema la felicità
Ne è convinto anche Pier Luigi Porta, responsabile del diploma di laurea in Discipline economiche e sociali dell?Università Bicocca di Milano, nato lo scorso anno: «Oggi che i fondamentali dell?economia stanno subendo profonde trasformazioni, noi non vogliamo offrire ai nostri studenti solo un corso funzionale ai, seppur importantissimi, sbocchi occupazionali nel Terzo settore. Ci preme innanzitutto offrire un orizzonte di senso a chi sceglie di studiare un?economia dal ?volto umano?. Ed è per questo che per la primavera del 2003 stiamo organizzando il primo convegno dedicato al tema della felicità».
Ottima idea, se apre le porte a tanti studenti, se gli permette di far ogni possibile domanda, se contribuisce a sciogliere i loro dubbi. I vecchi luoghi comuni sono duri a morire. Ha scritto su Repubblica, il 15 giugno, Vittorio Merloni, presidente di Merloni elettrodomestici: «Il problema, oggi, è di affacciarsi sul mercato parlando già il linguaggio del mercato». Ha ragione Merloni. Ma come la mettiamo con ciò che richiedeva il mercato, per esempio nel settore della finanza, anche solo un anno fa prima dello scoppio del caso Enron?
In fatto di etica di impresa il non profit può fare molto. I corsi che in queste pagine presentiamo possono formare davvero una nuova classe dirigente. Corpo docente permettendo, naturalmente?

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