Non profit

Lilliput, una rete di tutti e di nessuno

Si trovano a Genova, lontano dai clamori, una settimana prima dell’anniversario. L’organizzazione che raccoglie 700 associazioni.

di Ettore Colombo

Curiosi, quelli di Lilliput. Tutti cercano di tirarli dalla loro parte, tra i no global e a sinistra. Ma loro niente, zitti. Se qualcuno poi osa sostenere che darsi un minimo d?organizzazione non sarebbe così male, all?interno scoppiano polemiche a non finire. Il responsabile dell?ufficio stampa e comunicazione, Cristiano Lucchi, giovane e simpatico toscano, gentilissimo, a malapena vuol far sapere che esiste. Capi? Nessuno, per carità. Padri nobili? «Padre Alex Zanotelli, Franco Gesualdi, don Ciotti e tanti altri». Si stanno riorganizzando, dentro Lilliput, un anno dopo Genova, ma guai a farlo sapere in giro. Anche il fatto, esplosivo, conoscendo le dinamiche da ripicca biliosa interna al ?movimento?, che proprio a Genova il nodo locale di Lilliput, coordinato dalla brava e combattiva Deborah Lucchetti («Ho 34 anni, sono laica e di sinistra, prima lavoravo in una multinazionale e ora in una cooperativa sociale. Se scrivi che sono una cattocomunista m?arrabbio per davvero»), abbia deciso di fare le cose per conto proprio, marcando anche fisicamente e temporalmente le distanze dall?ex Gsf, per loro è una non notizia. Meno appaiono, più contenti sono. In quanto, quelli di Lilliput, di solito preferiscono lavorare, e bene, sui temi (5 i gruppi tematici: commercio, European social forum, formazione, impronta ecologica e sociale, nonviolenza), spalmarsi a macchia d?olio sul territorio (70 i nodi in tutt?Italia, «ma il nostro cruccio è il Sud, nessuno se ne occupa, ma lì c?è davvero tanto da fare: ora stiamo rafforzando Palermo»), raccogliere più di 700 associazioni che, quando e se decidono all?unanimità di prendere di petto una questione, si può stare certi che questa verrà sviscerata nei particolari. Con alcune buone speranze di risultare vincente o quantomeno di farsi sentire chiaro e forte, nelle piazze come nei palazzi del potere (vedi la battaglia a difesa della legge 185). Ecco, appunto, la politica. Uno dei nodi dolenti e verso i quali c?è più diffidenza, in Lilliput, nonostante le provenienze degli appartenenti alla Rete parlino di simpatie forti per la sinistra (le appartenenze sociali, invece, stando al censimento interno di un paio di anni fa segnano davvero un mix impressionante di giovani e anziani, operai e insegnanti, professionisti e disoccupati). Francesco Martone, senatore verde, l?ha vista nascere la Rete, in quanto fu tra i fondatori del Tavolo intercampagne e per la riforma del debito estero che, alla fine degli anni 80, prese la decisione di gettare le basi sia dei nodi che del nome. Ne difende la scelta di «lontananza dalla politica che fa in modo anche che Lilliput sia sgusciante e non controllabile da nessuno, neanche da chi la fa». Figuriamoci, dunque, dalle tristi e povere «logiche da politburo no global che si sono scatenate, in quest?anno, dentro il movimento» e che hanno portato, di fatto, spiega un?altra voce che non ama declinare le proprie generalità, «al sostanziale fallimento dell?Italy social forum: che non è ancora nato, ma se mai dovesse farlo non rappresenterà che pezzi del movimento e di certo non noi, come invece è stato con il Gsf». Deborah, la genovese, ha le idee ancora più chiare: «Le derive leaderistiche e partitiche non ci riguardano. Noi si lavora in rete, nei nodi, sui temi». Info: Per notizie sui nodi e sulle attività della Rete: Rete Lilliput


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