Volontariato

Un Paese a credito con la scuola (e con i figli)

A nessun genitore interessa dire chi ha ragione tra la Azzolina e De Luca (peraltro sembra che l'ipotesi sia vicina anche per altri) ma sicuramente fa benissimo la ministra a ricordare a tutti e con ostinazione che il Paese è a credito con la scuola e con i nostri figli. Proviamo a elaborare i dati sui contagi a scuola. Chiediamoci se tutti abbiamo fatto tutto il possibile per farci trovare più pronti per un nuovo periodo in DAD. Ma anche per recuperare quanto sappiamo i nostri figli perderanno, perché un costo c'è

di Sara De Carli

Ragionare per bianco/nero non ha senso, come sempre. Né fare il tifo per fazioni. Chiudere le scuole è la scelta più rapida e più facile ma solo perché è la meno costosa in termini immediati: prova ne sia la rapidità con cui si decide oggi di chiudere la scuola contro quella con cui si è deciso di chiudere le discoteche.

Non saprei nemmeno dire se questa scelta sia o no l’unica scelta possibile oggi. Di certo non sarebbe stata l’unica possibile se ci fossimo preparati adeguatamente tutti: dentro e fuori la scuola, dai trasporti alla DID-didattica digitale integrata, perché è ovvio che la DAD non significa chiusura delle scuole ma non significa nemmeno soltanto e semplicemente fare una diversa didattica. Non è così ovunque. Come viene bollato oggi come ingenuo chi dice che si sarebbero dovuto organizzare diversamente i trasporti, in sei mesi, e implementarli, allo stesso modo è ingenuo pensare che in sei mesi di emergenza la scuola italiana (anzi, nei tre mesi da giugno a settembre, perché prima abbiamo visto con i nostri occhi che non era così) sia diventata tutta e tout court formata e competente nel fare didattica a distanza. A nessun genitore interessa dire chi abbia ragione tra la Azzolina e De Luca (peraltro sembra che l'ipotesi sia vicina per altri) ma sicuramente fa benissimo la ministra Azzolina a ricordare a tutti e con ostinazione che «il Paese è a credito con la scuola» e con i nostri figli.

«Ancora una volta la scuola è la prima a essere sacrificata per mascherare incapacità e debolezze sulle politiche dei trasporti, della salute, dell'assetto urbano dei nostri territori», afferma Andrea Morniroli del Forum Disuguaglianze e Diversità. «Le politiche per la scuola, per l'educazione, per il contrasto alla dispersione ancora una volta sono considerate accessorio del Paese e non invece come presupposto al suo sviluppo e la rimozione delle disuguaglianze, l'esercizio dei diritti, la costruzione di un'economia giusta e responsabile. Chiudere le scuole, soprattutto in una regione come la Campania attanagliata dal fenomeno diffuso e denso della povertà educativa, è colpevole e irresponsabile. È come se non si riconoscesse la scuola come primo attore, pubblico e repubblicano, della nostra democrazia. Chiudere le scuole è offesa alla Costituzione. Bisogna riaprire la scuola in Campania e investire da subito almeno il 15 per cento delle risorse strutturali e europee a sostegno di un grande piano strategico nazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e per combattere la povertà educativa».

«Oggi le scuole resteranno chiuse ed altre realtà educative si stanno interrogando sul da farsi. Anche durante il lockdown le scuole ovviamente erano chiuse. Ma sapete qual è il problema? È che la camorra e il suo sistema non hanno mai chiuso e mai lo faranno. In quei giorni terribili, e forse non ancora passati, passando accanto ad uno dei nostri centri diurni per minori notavo come in alcune vie del Rione Traiano di Napoli come in molti altri luoghi della città, la droga prosperava, tra commercio al bancone e un servizio di delivery senza concorrenti», scrive ancora questa mattina don Gennaro Pagano, cappellano di Nisida. «Chi non capisce che un patto educativo per Napoli è necessario e fondamentale è fuori dalla realtà, impegolato nei suoi interessi di potere, nella sua voglia di comodità o peggio ancora nell’indifferenza».

I numeri tornano a fare paura. Tutti noi genitori ce la portiamo nel cuore, perché non siamo – come pure si legge ahimé oramai su tante bacheche (anche di prof) – “scaricatori di figli” terrorizzati dal perdere nuovamente la nostra baby sitter gratuita per sei ore al giorno. Abbiamo alternative da proporre? Innanzitutto quella di non dare così per scontato che questa sia la scelta più indolore, perché non lo è. E nei numeri tuttavia potremmo forse meglio entrare, per decidere più opportunamente cosa scegliere, consapevoli di stare navigando fra Scilla e Cariddi. Il Ministero ci ha detto ieri che alla data del 10 ottobre, gli studenti contagiati sono pari allo 0,080% (5.793 casi di positività), per il personale docente la percentuale è dello 0,133% del totale (1.020 casi), per il personale non docente si parla dello 0,139% (283 casi). Sono dati aggregati, frutto delle segnalazioni settimanali inviate dalle scuole. Ma quanti di questi contagi sono avvenuti davvero dentro le scuole? Perché se il problema è fuori, è ovvio che la situazione del bambino della primaria che nel paesino di provincia va a scuola a piedi per mano alla mamma è totalmente diversa da quella del sedicenne ammassato sull’autobus in città. Giustamente fa notare Alfonso D’Ambrosio, dirigente dell’IC di Lozzo Atestino e Vo’ che ci vorrebbe poco per ragionare «non per dati aggregati, ma iniziando a fare confronti, ipotesi, trovando correlazioni. Possiamo sapere quanti positivi ci sono nelle scuole dell'infanzia (dove le mascherine non sono obbligatorie). Potremmo capire il trend dei positivi e delle quarantene nelle scuole superiori distinguendo tra piccole scuole di collina e scuole di grandi città dove i trasporti sono numerosi. Potremmo capire se e come le scuole impattano sui contagi e persino avere delle contezza indirette sui trasporti, l'età , eccetera… Questi dati ci sono, li stiamo fornendo, basta solo elaborarli».

Allora, proviamo a tirare fuori questi dati. E poi chiediamoci se tutti abbiamo fatto tutto il possibile per prepararci a un nuovo periodo in DAD ma anche a recuperare quanto sappiamo in questo modo i nostri figli perderanno. Perché un costo c'è.

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