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Alessandro Leogrande: lettera aperta alle Ong contro il bando Minniti

Tre giorni fa Alessandro Leogrande, il giornalista-scrittore scomparso nelle scorse ore, pubblicava con Andrea Segre e Dagmawi Yimer una lettera aperta per disertare il bando per "migliorare le condizioni" dei campi di internamento in Libia per rifugiati e profughi

di Marco Dotti

«Disertate il bando per "migliorare le condizioni" dei campi di internamento in Libia per rifugiati, profughi e migranti. Non può esserci alcun compromesso». Così la pensava Alessandro Leogrande, scrittore, giornalista, già vicedirettore del mensile "Lo straniero", autore di libri importanti fra cui La frontiera (Feltrinelli, 2016) e documentati reportage (qui un suo lavoro sui "migranti che la Norvegia non vuole più"). Sulle pagine de “il manifesto”, due giorni fa, Leogrande – scomparso nelle scorse ore, aveva solo 40 anni: qui l'annuncio dato dal padre – pubblicava un appello firmato con Andrea Segre e Dagmawi Yimer. Eccolo:

«Martedì 29 novembre a mezzanotte scade il termine per partecipare al bando con cui il governo italiano finanzierà progetti di «primissima emergenza a favore della popolazione dei centri migranti e rifugiati» in Libia.

Le Ong italiane possono accedere a un finanziamento totale di 2milioni di euro, destinati a migliorare gestione e condizione di tre "centri migranti e rifugiati" dove "risiede parte della popolazione migrante mista in Libia".

Si tratta a nostro avviso di un bando offensivo e vergognoso per almeno tre motivi:

Quei centri non sono «centri migranti e rifugiati» ma sono veri e propri «campi di concentramento», come ampiamente documentato da ormai decine di media e organizzazioni di tutto il mondo. La definizione che il bando governativo ne dà (appunto «centri migranti e rifugiati») è talmente inesatta e ipocrita da usare il termine rifugiati in un Paese dove questa categoria non può esistere, perché non riconosce la Convenzione di Ginevra.

L’intervento è previsto in «centri» dove (lo dice il bando stesso) la capacità di effettiva sorveglianza delle autorità ufficiali libiche è «in molti casi limitata», perché in realtà sono "gestiti da milizie locali".

Le Ong italiane non hanno alcuna possibilità di agire in quei campi se non previo accordo con le milizie stesse, che ne gestiranno modalità di azione e relativo budget.

Il tutto serve a un’operazione d’immagine per raddolcire o addirittura coprire le conseguenze disumane e raccapriccianti delle misure di blocco e respingimento dei migranti messe in atto da Italia e Europa a partire da agosto scorso, costate per altro 100 volte di più di queste misure di «primissima emergenza».

Tutto ciò è inaccettabile.

Ci auguriamo che le Ong italiane sappiano non cedere a questo ricatto sin troppo evidente. Chiediamo alle persone, agli esseri umani che lavorano nelle Ong di avere la dignità di non partecipare a questo gioco e di unirsi a noi nel denunciare la scelta politica gravissima messa in atto dal governo italiano nell’attuare accordi con un Paese dove a governare sono milizie, violenza e razzismo.

La non partecipazione delle Ong al bando sarebbe un segnale importante per chiedere ai governi europei un’inversione di rotta necessaria: la chiusura dei campi di concentramenti libici, la liberazione di uomini, donne e bambini e la garanzia di corridoi umanitari di fuga verso luoghi di reale accoglienza e sicurezza».

Anche di questo avrebbe voluto parlare Alessandro Leogrande il 3 dicembre a Roma, al Forum "Per cambiare l’ordine delle cose", a cui hanno aderito più di 700 persone da oltre 120 città d’Italia. La piega – triste – delle cose non gliene ha dato il tempo.

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