Volontariato
Il mestiere dell’insegnante? Non è più l’istruzione
La missione della scuola non è più quella di “istruire”, intesa come trasmissione lineare di conoscenze. Sono ormai evidenti a tutti i nessi tra come si cresce in quanto esseri umani e come si impara. La scuola è luogo della “creazione sociale”. Moltissimi insegnanti hanno già preso questa strada. E il post-Covid è un'occasione straordinaria per ripensare la scuola non solo negli spazi, ma nella sua missione
«Oggi è la Giornata mondiale degli insegnanti, che quest’anno celebra la capacità dimostrata dai docenti di tutto il mondo di continuare a garantire il diritto all’istruzione a tutte le studentesse e agli studenti anche durante l’emergenza sanitaria. I rappresentanti dell’UNESCO, nella loro dichiarazione congiunta di quest'anno, hanno ringraziato gli insegnanti anche per la capacità di trovare soluzioni didattiche innovative durante la crisi. Non posso che unirmi al loro messaggio»: con questo post la ministra Lucia Azzolina ha ringraziato oggi tutti gli insegnanti d'Italia. Qui di seguito pubblichiamo la riflessione di Marco Rossi Doria, esperto di istruzione e vicepresidente di Con i Bambini, su come è cambiato il ruolo dell'insegnante già da due decenni e come il Covid ha accelerato la consapevolezza che l'istruzione non è la trasmissione lineare di conoscenze. Il testo è apparso sul numero di VITA di settembre, dedicato alla scuola. [ndr]
Per i docenti italiani è da almeno due decenni, ben prima della crisi educativa da Covid-19, che la parola “istruzione” risulta inadeguata a descrivere la funzione complessa ed estesa che questo mestiere richiede. Infatti, il termine “istruzione” riesce a raccontare solo l’accompagnamento all’imparare le diverse discipline del sapere dell’umanità, che resta compito prioritario di chi insegna. Ma a questo si è aggiunto altro, per il progressivo emergere di tre mutamenti epocali:
- il nostro tessuto antropologico, salvo eccezioni, non conosce più le esperienze tra coetanei di socialità spontanea così bambini e ragazzi cercano a scuola la prima socialità mentre, fino a poco fa, questa veniva esercitata in strada fuori dalla scuola, che, invece, era deputata semplicemente all’istruzione;
- si sono molto indeboliti il principio di autorità e il presidio dei limiti da parte delle famiglie e nella società, così la scuola non può più contare su un retroterra di norme condivise ed implicite per tutti e, per potere funzionare, non può fare leva su regole interiori apprese prima e fuori della scuola;
- la rivoluzione digitale (con l’accelerazione del lockdown) ha cambiato i modi di apprendere e tolto alla scuola il monopolio di come si impara.
In questo scenario moltissimi docenti e dirigenti hanno superato l’idea di “istruzione” come la si è conosciuta nel secolo scorso e hanno mobilitato una pluralità di competenze proprie di un “mestiere” complesso: conoscenze disciplinari in continua evoluzione, didattica motivante e attiva, rigore nell’assicurare e vagliare l’effettivo apprendimento di ciascuno/a guardandone i differenti modi di imparare anche fuori dalla scuola, cura della relazione educativa e della tenuta emotiva della classe, cura della relazione con le famiglie e con i contesti più larghi della scuola, uso di comunità, città, natura, luoghi della cultura per imparare di più e meglio. È entro questa cornice mutata che è venuta la crisi da Covid-19. E il suo primo effetto è stato di rendere chiaro — non a tutti ma a moltissimi — che la scuola non è più solo “istruzione” intesa come trasmissione lineare di conoscenze in aula sulla base di presupposti dati a monte. Sono diventati più evidenti a moltissimi genitori, ragazzi, docenti i nessi tra come si cresce in quanto esseri umani e come si impara. L’idea di città e di comunità educanti sono divenuti temi comuni mentre la scuola è stata ri-valutata come luogo della “creazione sociale” e dell’apprendimento multidimensionale e non meramente disciplinare e anche la questione del limite — potentemente evocato dal significato profondo della pandemia e dalla condizione di lockdown (vissuto dai ragazzi che, contenuti, hanno fatto i conti con se stessi e con gli altri ben più delle precedenti generazioni di bambini e adolescenti) è diventato tema per tutti.
Moltissimi docenti hanno superato l’idea di “istruzione” come la si è conosciuta nel secolo scorso e hanno mobilitato una pluralità di competenze proprie di un “mestiere” complesso: conoscenze disciplinari in continua evoluzione, didattica motivante e attiva, rigore nell’assicurare l'apprendimento di ciascuno, cura della relazione educativa e della tenuta emotiva della classe, cura della relazione con le famiglie, uso di comunità, città, natura, luoghi della cultura per imparare di più e meglio.
Con il nuovo anno scolastico e l’incertezza che la pandemia impone, sarà vitale ritornare a questa grande esperienza di “difficoltà e scoperta”, di “emergenza” nel duplice senso di far fronte a una condizione straordinaria che continua a durare e di vedere cosa di nuovo emerge nel campo comune dell’istruzione e dell’educazione. Un grandissimo numero di docenti si è già messo su questa strada. Ha saputo considerare bambini/e e ragazzi/e come persone che stanno vivendo paure, fatiche e spaesamenti relativi all’idea del proprio futuro che non hanno vissuto genitori o nonni e, al contempo, apprendendo moltissimo da una vicenda così potente e complessa, in termini sia cognitivi che emotivi.
Dal punto di vista dell’istruzione, in particolare, vi è una spinta all’estensione dell’orizzonte dell’imparare in una situazione di condivisione di notizie e pensieri tra generazioni che si svolgono in ogni casa, a contatto con opinioni, accesi dibattiti, informazione continua che coinvolge l’intero sapere dell’umanità: scienze fisiche e della vita, economia, filosofia, psicologia, sociologia, antropologia, letteratura, statistica e matematica, religione, politica, diritto, ecc. Rispetto all’insistenza — nel dibattito politico, ministeriale e mediatico — sulle questioni della distanza, dei banchi, delle mascherine e dell’uso delle tecnologie, moltissime scuole e docenti stanno riflettendo sì sul garantire la salute e sull’uso delle tecnologie ma entro un contesto che comprende:
- le questioni della maturazione del sé di ogni persona in crescita suscitata da una condizione così straordinaria;
- il rapporto con la conoscenza in presenza di una crisi planetaria, con le “materie” che si parlano l’un l’altra ogni giorno;
- il maggior uso del digitale e della Didattica a distanza, ma non come mera questione tecnologico organizzativa bensì come apripista a una stagione di scuola attiva, fondata sul protagonismo di chi studia, sulla trasversalità tra discipline, su didattica laboratoriale entro le aree di cerniera tra materie e tra scuola e fuori scuola, con maggior attenzione a informazioni e fonti di conoscenza;
- la riflessione su didattica e valutazione che supera il modello trasmissivo lezione-controllo-giudizio e favorisce protagonismo e motivazione responsabile di bambini/e e ragazzi/e, circolarità, cooperazione, ricerca, buoni processi e buoni prodotti.
Certo, non tutti i docenti stanno prendendo questa strada. Ma siamo tutti di fronte alla straordinaria occasione di non doverci limitare a una risposta “tecnica” e “organizzativa” (spazi, banchi, controlli… ) alla crisi ma a poter “ripensare la scuola” nei suoi spazi, tempi, modi e nella sua missione. Oggi più di ieri la scuola deve farsi leva di maggiore eguaglianza dando priorità a bambini/e e ragazzi/e poveri, fragili, con disabilità e bisogni educativi speciali, che non hanno fatto didattica a distanza, che non hanno computer e connessione, che fanno scuola nei luoghi della povertà educativa. Abbiamo bisogno, insomma, di migliore istruzione legata all’educare più largamente inteso, partendo dai bisogni di apprendimento di chi parte con meno. Per farlo dobbiamo dotare la scuola di più risorse dopo anni di penuria e affiancare — con patti territoriali tra comuni, scuole, Terzo settore — docenti ed educatori.
*Marco Rossi Doria, maestro, esperto di politiche educative e sociali, è stato sottosegretario all'Istruzione del Governo Monti e Letta. Oggi è vicepresidente dell'impresa sociale Con i Bambini, soggetto attuatore del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, che ha già finanzatio progetti per circa 281 milioni di euro.
Foto Unsplash
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