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L’Agenzia Reuters smentisce Report: nessuna censura sull’Aquarius
Il corrispondente dell’Agenzia Reuters, Steve Scherer era a bordo della nave umanitaria di SOS Mediterranée proprio quando è stato girato il servizio di Report andato in onda lunedì sera. La sua versione dei fatti è molto diversa: «nessuna censura da parte delle Ong e nessuna collusione coi trafficanti, solo centinaia di vite salvate»
«Nessuna censura e nessuna collusione coi trafficanti». È una versione molto diversa quella di Steve Scherer, corrispondente dell’Agenzia Reuters, che si trovava a bordo dell’Aquarius, proprio negli stessi giorni in cui c’era anche la troupe di Report che ha girato il servizio andato in onda lunedì sera su Raitre. Con la promessa di “svelare come avvengono le operazioni di salvataggio dei migranti a largo delle coste libiche”, il servizio, nel quale avevamo riscontrato numerose imprecisioni e incongruenze, sollevava numerosi dubbi sull’operato delle Ong in mare, sostenendo presunti accordi tra le organizzazioni e i trafficanti.
«Ero su quella nave quando c’erano i due colleghi italiani della Rai», ha dichiarato Scherer ad Avvenire, «e non solo non abbiamo ricevuto alcun divieto a svolgere riprese, ma proprio i nostri filmati e tutto quello che abbiamo raccolto in quei giorni ci ha fatto giungere a conclusioni opposte».
Una carriera nel giornalismo internazionale, Scherer ha lavorato per Bloomberg per più di 10 anni come corrispondente politico, per poi passare a Reuters dove si occupa principalmente di migrazioni, politica e affari esteri.
Quando su Twitter gli abbiamo chiesto se potesse confermare quanto aveva già dichiarato a Avvenire, ovvero che a bordo dell’Aquarius non era proibito fare video e fotografie, Steve Scherer ha risposto: «Certo. Ho fatto entrambi. Nessuna restrizione. Nessuna cooperazione. Solo centinaia di vite salvate da un equipaggio molto professionale».
Sos Mediterranée ha poi precisato che Francesca Ronchin e Stefano Saraceni non erano nemmeno saliti a bordo come troupe di Report, ma si erano accreditati come giornalisti di Porta a Porta, tanto che, come ha effettivamente notato su Avvenire Nello Scavo, parte del girato apparso nel servizio di Report era stato già utilizzato per programma di Bruno Vespa montato in modo molto diverso, per illustrare l’effettivo funzionamento dei soccorsi: gli ordini della Guardia costiera italiana, le condizioni dei migranti e la difficoltà dei rapporti con la Guardia costiera libica, sospettata di collusione con i trafficanti, una versione delle stesse immagini molto diversa da quella uscita su Report.
Ristabilire la verità dei fatti rimane la priorità per Sos Mediterranée. «Noi comunichiamo i fatti. Ci dissociamo completamente dall’interpretazione di Report, dove mancava il rigore giornalistico necessario e quello che è emerso erano soltanto accuse. Il 18 maggio avevamo ricevuto l’ordine di procedere ai soccorsi dall’MRCC (Centro nazionale di coordinamento della Guardia costiera) di Roma. Tutte le operazioni sono state effettuate con l’MRCC, il coordinatore dei soccorsi era in contatto costante con la Guardia costiera», spiega Mathilde Auvillain, responsabile comunicazione di Sos Mediterranée. «Quel giorno in mare sono state fatte 22 operazioni di soccorso, sono state salvate 2300 persone, tanto che la Guardia costiera italiana ha rilasciato un comunicato molto preciso». Il comunicato della Guardia costiera in effetti dichiarava che: «I migranti, che si trovavano a bordo di 12 gommoni e 10 barchini, sono stati recuperati da Unità della Guardia Costiera Italiana, assetti del dispositivo Eunavformed e unità di Ong».
Non è vero quindi che le organizzazioni in mare lavoravano completamente da sole. «Il punto è che gli spazi nel Mediterraneo sono enormi, solo perché non si vedono altre imbarcazioni, non significa che non ci siano», continua Auvillain, notando poi che nel servizio di Report mancava la contestualizzazione del lavoro dell’Ong in mare. «Non è stata fatta nessuna intervista al coordinatore dei soccorsi per chiarire ciò che si stava facendo».
Rispetto alle accuse di censura sollevate da Report, secondo cui un volontario avrebbe dichiarato di essere stato costretto a non fare né video, né foto, Auvillain chiarisce il motivo dell’unica situazione in cui viene chiesto di non effettuare video o fotografie: «La direttiva è che sui Rhib (gommoni), quando ci si trova davanti ad imbarcazioni non identificate, dove non si sa se ci si trova davanti a soggetti armati, per evitare reazioni scomposte e potenziali conflitti, chiediamo all’equipaggio di evitare le immagini. Bisogna ricordare che ci si trova in situazioni di estremo pericolo. Spesso non sappiamo chi abbiamo davanti. La priorità è la sicurezza di tutte le persone a bordo, giornalisti compresi», spiega Auvillain. «Il 23 maggio, appena cinque giorni dopo l’operazione mostrata da Report, due soggetti che si erano identificati come Guardia costiera libica erano saliti su un gommone carico di migranti, gli avevano ordinato di consegnare i loro effetti personali e avevano sparato colpi in aria (noi lo avevamo raccontato qui n.d.r.)».
Dal 2016 a oggi a bordo dell’Aquarius sono saliti oltre 100 giornalisti, 25 di questi italiani (tra cui anche il nostro Daniele Biella). «La nostra missione, oltre a soccorrere le persone è anche testimoniare quello che accade alle porte dell’Europa. Vogliamo continuare a farlo. L’unica cosa che ci preoccupa è la mancanza di etica professionale e la distorsione dei fatti», continua Auvillain. «Il corrispondente di Reuters e i giornalisti che hanno girato il servizio di Report hanno assistito agli stessi eventi ma le conclusioni erano opposte».
Foto: MSF
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