Cultura
Libertà di stampa: precari sotto attacco
Cresce il numero dei giornalisti precari minacciati o vittime di violenza. Ne parliamo con Michele Anzaldi della Commissione di vigilanza sui servizi radiotelevisivi
di Marco Dotti
Onorevole Anzaldi, negli ultimi giorni per due volte ha denunciato casi di giornalisti precari che finiscono agli onori delle cronache per minacce o violenze. A cosa si deve questa particolare attenzione?
I casi di Daniele Piervincenzi, aggredito da un membro della famiglia Spada di Ostia, e di Paolo Borrometi, minacciato da un esponente di spicco di un clan mafioso, hanno in comune un elemento che raddoppia la gravità della loro situazione di pericolo: non soltanto rischiano da precari in prima persona per il mestiere di giornalista, ma la loro precarietà nasce addirittura da aziende pubbliche. Una situazione inaccettabile.
Si riferisce a Rai e Eni?
Esatto. Piervincenzi è stato definito per giorni un ‘giornalista Rai’, ma da un’audizione in Vigilanza è saltato fuori che non ha alcun contratto con la Rai, ma solo un rapporto di lavoro autonomo con un’azienda di produzione esterna, peraltro neanche una testata giornalistica. Lo stesso vale per Borrometi: si parla di ‘giornalista dell’Agi’ minacciato, ma in realtà il suo rapporto con l’agenzia di stampa dell’Eni è da precario. E parliamo di un cronista costretto a vivere con la scorta per le minacce di Cosa Nostra!.
Quindi che tipo di responsabilità attribuisce ai loro datori di lavoro?
Non si capisce come sia accettabile che un’azienda quasi interamente dello Stato, come la Rai, e un player internazionale a forte partecipazione pubblica, come Eni, i cui vertici sono entrambi nominati dal Governo, espongano i propri collaboratori a rischi del genere. C’è anche un danno di immagine: può una società pubblica praticare metodi lavorativi del genere? Come può lo Stato combattere il precariato se i primi ad applicarlo sono i dirigenti delle sue aziende? Su questo sarebbe opportuna una riflessione pubblica dai vertici Rai e Eni.
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