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Diaspore, il primo summit nazionale ha riunito 7mila associazioni
Organizzato e finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, con il contributo delle Fondazioni For Africa Burkina Faso e Fondazione Charlemagne ha stilato un documento in cui sono state incontrate 400 realtà e registrate 150 buone pratiche. Ora la sfida è tutta politica
7000 associazioni di immigrati contattate di cui 400 incontrate, in rappresentanza di ben 50 paesi tra: Asia, America Latina, Africa e Europa. Più di 150 buone pratiche di migrazione e sviluppo registrate, 100 imprenditori immigrati coinvolti su 7 incontri territoriali che hanno toccato città come: Firenze; Napoli; Padova; Roma; Cagliari; Torino e Milano.
Sono questi solo alcuni dei numeri presentati a Roma al primo “Summit Nazionale delle Diaspore. ESSERCI, CONOSCERE, COSTRUIRE”, organizzato e finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), con il contributo delle Fondazioni For Africa Burkina Faso, la Fondazione Charlemagne e con l’appoggio di enti locali ed organizzazioni della società civile.
Nel corso dei lavori è stato presentato un documento finale, frutto di mesi di contatti per costruire una rete con le associazioni rappresentati dei gruppi di immigrati presenti sul nostro territorio nazionale, al fine di consolidare o costruire un ponte tra l’Italia e i paesi di origine degli oltre 5 milioni di cittadini stranieri residenti nel nostro paese.
Una presenza che ricordiamo costituisce in termini di valore aggiunto 8,9% del Pil italiano (131miliardi di euro), dando vita in questi anni a 571.255 imprese che hanno inviato nei paesi di origine 5,1 miliardi di euro, ovvero il doppio di quello destinato allo sviluppo dall’Italia.
Un progetto nato grazie alla nuova legge 125 del 2014 sulla Cooperazione Internazionale per lo Sviluppo, in cui viene riconosciuto un ruolo di primo piano alle organizzazioni ed associazioni di immigrati nell’attivare proprio processi di cooperazione (artt. 2 e 26).
Un lavoro certosino che rappresenta un punto di svolta nel dialogo tra le associazioni dei migranti ma anche verso la Cooperazione Italiana e che mira a «promuovere la partecipazione delle diaspore sia su un piano politico-istituzionale (presenza nel Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo), – ricorda Mario Giro, Vice Ministro degli Affari Esteri con delega alla Cooperazione Internazionale – sia a livello operativo mediante l’accesso diretto ai bandi di finanziamento».
Una giornata di confronto
Una giornata per incontrarsi, conoscersi e confrontarsi al fine di concretizzare una piattaforma di lavoro, che possa raccogliere non solo le associazioni delle diaspore ma anche le istituzioni e gli imprenditori.
«La risposta delle associazioni è stata molto positiva -, sottolinea in apertura Cleophas Adrien Dioma, coordinatore del gruppo di lavoro Migrazioni e Sviluppo del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo – ed è emerso molto interesse con la volontà di costruire insieme percorsi comuni, affinché la cooperazione internazionale dia frutti».
Interesse che è sintomo della volontà di trovare modalità partecipative delle diaspore nei confronti della cooperazione per dare corpo alle innovazioni indicate dalla legge e giungere ad una vera svolta in merito allo sviluppo.
Il ruolo della politica
«Aiutare le comunità straniere in Italia ad organizzarsi per diventare un soggetto che possa intervenire su tutti i temi e che si faccia “italiano” e si prenda la responsabilità non solo di parlare dei propri problemi e i problemi del paese in un’ottica di inclusione e convivenza», ci spiega Mario Giro, viceministro degli Affari Esteri con delega alla Cooperazione Internazionale (MAECI) e promotore del progetto, a margine del suo intervento.
«Dobbiamo far capire agli italiani che i problemi degli uni e degli altri sono legati e che solo insieme si risolvono, quindi è necessario che le collettività straniere non siano secondarizzate sui problemi che li riguardano da vicino, ma si facciano carico di tutto il paese e superino anche il vittimismo in modo da farlo superare anche agli italiani».
Passi decisivi sia per la politica sia per l’economia che produrranno effetti anche sui flussi migratori. «Penso che lavorare con le comunità straniere in modo che si riesca a trapiantare all’estero le imprese che loro hanno già creato qui-, prosegue Giro – è una delle strade maestre per aiutarli veramente a casa loro. Ci vuole tempo, ma se c’è una eccellenza italiana che possiamo esportare è la cultura imprenditoriale delle piccole e medie imprese che come facciamo qua, possiamo trasferire anche nei paesi di origine. In questo modo per esempio l’Africa potrà diventare produttrice nell’agro business e tutto questo è fondamentale anche per risolvere i problemi dell’immigrazione».
L’idea di strutturare la rete in un «soggetto dialogante, creativo e propositivo, non solo per la cooperazione ma anche per la convivenza» è una delle ipotesi emerse a margine della giornata, e tra le proposte delineate dal confronto emerge anche la possibilità di creare una Federazione Nazionale delle Diaspore.
«Ho chiesto ai migranti di uscire fuori da una mentalità in cui si ha paura della cosa pubblica -, conclude il viceministro degli Affari Esteri – ma di intervenire facendo sentire la propria voce, perché questa è una democrazia in cui tutti hanno diritto di esprimere il proprio pensiero».
Il documento
Nel corso della giornata è emerso chiaro come la presentazione di questo documento, frutto di mesi di lavoro, non deve essere visto come un punto di arrivo, ma l’avvio di un nuovo processo.
Il contenuto del documento, che raccoglie ciò che emerso dal confronto con le associazioni delle diaspore, rappresenta la direzione, le criticità e le opportunità del dialogo tra diaspore e Cooperazione Italiana.
Come si legge nel documento tra le principali questioni affrontate quello dei criteri di ammissione utilizzati, che fino adesso sono stati giudicati, «escludenti per le organizzazioni delle diaspore, perché non considerano la storia e le caratteristiche specifiche di questa tipologia di soggetti, ma sembrano riferirsi alle sole grandi OSC italiane operanti nel campo della cooperazione da molto tempo». Alla luce di questo sono stati formulati dei «criteri di ammissibilità» che le associazioni devono rispettare per poter partecipare ai bandi, cercando di mantenere «l’esigenza della Cooperazione Italiana di fare riferimento a soggetti affidabili, solidi, di comprovata esperienza e trasparenza». Inoltre è emersa chiara la volontà da parte delle organizzazioni delle diaspore «di intraprendere un percorso di crescita e consolidamento, che le porti negli anni a poter possedere tutti i requisiti attualmente richiesti anche alle grandi ONG italiane».
Le criticità
Tra i punti di criticità troviamo la difficoltà di misurare la stabilità finanziaria attraverso un bilancio certificato, ma anche personale dedicato e una sede operativa in possesso esclusivo. Ed ancora la misurazione dell’esperienza operativa e la capacità organizzativa nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Per questo è «cruciale mettere al centro i concetti di “avviamento e consolidamento”, in modo tale che le associazioni possano dimostrare che sono cresciute nel corso degli anni (anche attraverso la valorizzazione delle partnership con ONG italiane), gestendo somme di denaro sempre più ingenti».
Dunque le proposte racchiuse nel documento e presentate si possono racchiudere in quattro punti: promozione di bandi specifici dedicati a iniziative di Migrazione e Sviluppo gestiti dalle diaspore; maggiore accesso a informazioni sui bandi e semplificazione del linguaggio; promozione di partenariati con altri attori della cooperazione ma su un piano paritario; rafforzamento delle associazioni delle diaspore e della loro messa in rete (sistema federativo) al fine di creare una rappresentanza istituzionale per un dialogo strutturato e permanente con la Cooperazione Italiana.
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