Famiglia

Scienza senza testa

Uno dei maggiori storici della scienza attacca i modelli oggi vincenti. Intervista a Giorgio Israel

di Barbara Fabiani

Oggi l?impresa più solitaria e faticosa è quella di mantenersi «esseri razionali». Rifuggire dal delirio titanico che tutto può essere capito e controllato, senza abbandonarsi ai flutti del relativismo. Giorgio Israel ne sa qualcosa: è un matematico e uno storico delle idee e della scienza riconosciuto a livello internazionale, membro di istituzioni di prestigio come l?International Commission on the History of Mathematics e l? Académie Internationale d?Histoire des Sciences. è convinto che oggi Galileo e Newton non troverebbero nessuno disposto a finanziare le loro ricerche. Israel, 57 anni, docente di Matematica alla Sapienza di Roma, è un intellettuale dai mille interessi, tutti interconnessi tra loro. Ha appena pubblicato un saggio sulla Questione ebraica oggi, edito da Il Mulino. D: Come molti scienziati, anche lei ama la fantascienza. Da Roy Batty, il replicante della generazione Nexus 6 in Blade Runner, ai cloni di cui si parla oggi, che passaggio c?è? R: Il primo resta un oggetto artificiale, seppure biologico, l?altro è una copia di un individuo naturale. Roy Batty esprime ancora il conflitto del rapporto tra uomo e macchina; il che significa la paura della perdita del controllo sulle macchine da noi create. Il problema è quando si passa alla riproduzione diretta dell?uomo. In quel caso la paura nasce dalla completa ignoranza delle conseguenze delle proprie azioni. Resto dell?opinione di Popper quando diceva che la differenza fondamentale tra uomo e macchina è che l?uomo è un fine in se stesso e la macchina non lo è. Malgrado il crollo di certi principi etici noi continuiamo a pensare che l?uomo sia insostituibile. D: Quali rischi vede nella clonazione umana? R: Sono convinto che dietro le biotecnologie si nasconda una forma di eugenetica. Come l?eugenetica ha prodotto il razzismo e ha avuto un ruolo da protagonista nel nazismo, anche la biotecnologie possono produrre sistemi di idee perversi a partire dal concetto che non c?è nulla di sbagliato a manipolare l?essere vivente. Ci sono poi questioni di carattere antropologico. Ammesso che la cosa riesca, metteremmo in vita per la prima volta nella storia dell?umanità un persona senza parentela. Il donatore delle nucleo cellulare non si può definire ?padre? o ?madre? del clone. Improvvisamente creiamo degli individui al di fuori di queste relazioni fondamentali, che va ben oltre l?essere orfano. Come reagiranno? Ricordiamoci infatti che stamo parlando di persone autocoscienti e non di macchine. Si sentiranno dei superuomini o degli esseri inferiori? Nel migliore dei casi sarebbe un?umanità divisa in due. Ma il fatto più grave è che gli scienziati stanno manipolando senza capire prima i meccanismi regolatori. E già ne vediamo le conseguenze. Gli animali clonati sono malati e biologicamente più vecchi di quello che ci si aspetta. Altra grande scoperta, da cui imparare, è che neanche la clonazione azzera il tempo. D: Nel passaggio dalla manipolazione dell?atomo alla manipolazione del dna, com?è cambiata la comunità scientifica? R: La fisica ha sempre perseguito la comprensione del funzionamento della natura, la cosiddetta ricerca delle ?leggi?. Quindi la fisica è una pratica scientifica legata a un ideale conoscitivo. La biologia ha perso queste caratteristiche. Essa è identificata con suoi settori come la biologia molecolare e l?ingegneria genetica. Si tende a scavalcare la faticosissima ricerca di teorie conoscitive, per andare a verificare direttamente se ?funziona?. Il fatto particolare, e lo ammettono gli stessi biologi, è che la clonazione ha fatto crollare il paradigma base della biologia molecolare moderna, secondo il quale il patrimonio genetico di un individuo determina tutti i suoi aspetti. La clonazione, infatti, ha evidenziato il peso di tutti gli aspetti epigenetici, come lo scambio proteico madre-feto. Una scienza degna di questo nome, quando un suo principio viene falsificato dovrebbe dirlo chiaramente e ripartire dalle basi teoriche. Invece si continua a parlare di modello ?tutto genetico?, il che dimostra che non si persegue la conoscenza ma la manipolazione. D: Quella di oggi quindi non è vera scienza? R: La scienza è un processo conoscitivo complessivo. Oggi siamo in preda allo scientismo. Che significa amplificare solo alcuni aspetti del metodo scientifico per affermare che tutto è riconducibile a principi di carattere meccanicistico e determinista. Invece la scienza, come dice Husserl, dovrebbe essere un grande progetto conoscitivo che includa la dimensione fisica ma anche sociale e quella etica. Un?idea di scienza che ci ha accompagnato da Galileo a Einstein. Ci sono stati dei vizi di fondo in questo ideale, ma c?era anche qualche cosa di nobile che andrebbe recuperato. La scienza non può affermare che le questioni fondamentali sull?uomo non riguardano il suo campo d?agire. Indagare sul vivente senza porsi alcun problema di tipo finalistico dell?uomo, io lo trovo tragico. D: Eppure tante visioni finalistiche dominano la scena del mondo oggi. Pensiamo alla prepotenza di tante istanze etniche? R: Il concetto di razza ha mostrato la corda dal punto di vista scientifico. Così si è diffuso un concetto di etnia che presenta non minori equivoci. Oggi non possiamo negare di trovarci di fronte a formazioni umane differenziate, per i fenotipi, la lingua, le abitudini culturali, alimentari, religiose, eccetera. Ma non va mai dimenticato che ogni etnia, pur avendo elementi distintivi, è una formazione storica delimitata; il prodotto di un meticciato fatto di sincretismi e influenze. Ogni gruppo dovrebbe essere cosciente della propria relatività storica, di essere una formazione transeunte. I relativisti partono dalla constatazione dei caratteri distintivi per affermare che non ci sono valori assoluti, e che ogni comunità ha i suoi valori intoccabili che la democrazia deve rispettare. Ma se entriamo in quest?ottica di cristallizzazione delle etnie mettiamo in crisi un modello democratico occidentale che con tutti i suoi limiti oggi è il modello migliore sperimentato, in termini di libertà personale e benessere per il numero più ampio possibile di individui in una società. D: Come entrerebbe in crisi una società democratica accettando le rivendicazioni di tutti i gruppi etnici? R: Il modello democratico è basato sull?idea che il contratto sociale è tra l?individuo e lo Stato, e non tra i gruppi e lo Stato. Come individuo ho tutta una serie di convinzioni che voglio che vengano rispettate, ma in un difficile equilibrio con la collettività, come scelte personali e non come rappresentante di un gruppo che vuole la sua assoluta autonomia. Queste considerazioni le ho fatte recentemente nell?ambito di un libro sulla questione ebraica, in cui sostengo che il tentativo di integrazione degli ebrei fatto tra fine Settecento e inizio Ottocento aveva qualcosa di positivo; magari si esagerava nel dire «vi accettiamo in quanto individui e mai in quanto popolo», però il problema era quello di riconoscere una serie di libertà ma di escludere che gli ebrei si continuassero a considerare come un gruppo separato. Questo secondo me è il principio di integrazione possibile nella democrazia; mentre oggi un?enfasi sui valori etnici sta favorendo la cristallizzazione di gruppi chiusi che spesso rivendicano cose in conflitto con i valori democratici. D: Oggi va forte l?idea che non ci siano leggi fondamentali, che ogni fondamento sia negoziabile, anche la democrazia… R: Esatto. E questo grave fraintendimento crea tensioni sociali invece di fare integrazione, e non c?è da stupirsi se poi in Francia cresce il consenso a Le Pen. è un errore che sta facendo la sinistra, che crede di poter fare un?etnicizzazione violenta della società, mentre il meticciato è un processo lento e certamente non favorito dall?enfatizzare le comunità chiuse e differenziate; questo ci porterà a dei drammi. Dovremmo riprendere una tradizione illuminista, ma libera da certe rigidità, per sostenere con convinzione i presupposti della democrazia laica, senza cadere nell?errore di pensare che questo non sia democratico. D: E dal punto di vista dell?etica? R: Penso a una ripresa del discorso kantiano. Accettare come principio universale quello secondo cui le norme cui mi devo attenere sono quelle che, se le pensassi come norma generale per tutti, sarebbero accettabili e avrebbero un valore universale. Certo, anche l?etica ha una sua storicità, ma questo relativismo storico non deve cadere nel relativismo situazionale. Detto ciò, non credo che i problemi etici si risolvano mutuando i parametri scientifici delle leggi fisiche o dall?evoluzionismo darwiniano. Mi auguro invece il recupero di una scienza che sia razionalismo critico, costruttivo e aperto. E che dialoghi con filosofi e teologi.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA