Formazione

Sei uomini per una Terra

Non sono star, ma persone comuni, unite dalla passione e dal senso di responsabilità per il nostro pianeta.

di Federico Cella

La Terra, l?ecosistema in cui viviamo, è nostra. E loro se ne sono accorti: non sono eroi dalla grande eco, ma persone comuni che nella loro vita hanno combattuto per un ambiente migliore. E hanno così meritato il Goldman Environmental Prize 1999, il premio internazionale inaugurato nel ?90 da due magnati di San Francisco, Richard e Rhoda Goldman, proprio per premiare sei persone, una per ogni continente abitato, che si sono sacrificate per portare avanti una battaglia per la salvaguardia del pianeta. Nominati da una rete di organizzazioni ambientaliste, con il premio, oltre all?interessante cifra di 200 milioni di lire a testa, hanno ricevuto riconoscimento e credibilità per il loro costante impegno. Chi sono? Eccoli.

Ka Hsaw Wa
Birmano, membro dell?etnia karen, 28 anni, fondatore della EarthRights International.
Arrestato durante una manifestazione per i diritti violati della propria etnia, dopo aver subito torture, è stato costretto a rifugiarsi nelle foreste al confine con la Thailandia. Qui è potuto venire in diretto contatto con lo sfruttamento intensivo del territorio (miniere e petrolio) da parte di industrie straniere – tra le quali la Total – in collaborazione con il regime militare birmano. Il suo lavoro di raccolta e diffusione delle testimonianze di migliaia di indigeni deportati o uccisi dai militari ha permesso una mobilitazione internazionale che ha bloccato il progetto della costruzione di un gasdotto non ecosostenibile. «Distruggendo il nostro territorio, la dittatura birmana sta lentamente cercando di eliminare anche la nostra identità di popolo».
Jaqui Katona e Yvonne Margarula
Australiane del clan dei Mirrar, 33 e 41 anni, fondatrici di un?organizzazione per i diritti degli aborigeni.
Il Kakadu è il più vasto parco nazionale australiano, al cui centro è situato Jabikula, il più grande giacimento mondiale di uranio. «Lo sfruttamento di Jabikula va fermato, perché gli accordi presi tra governo e privati non possono non tener conto del fatto che la nostra gente vive in queste zone da almeno 40 mila anni». Infatti, oltre alla distruzione dell?ecosistema del Parco, la miniera d?uranio renderebbe l?intera zona a rischio di radioattività per qualcosa come 300 mila anni. Il popolo dei Mirrar, capeggiato dalle due donne aborigene, ha montato una campagna di opposizione attiva che è stata in grado di radunare in pochi giorni a Jabikula 5 mila persone provenienti da tutto il Paese. E a bloccare per sempre il progetto di sfruttamento della miniera.

Jorge Varela
Honduregno, 51 anni, fondatore nell?88 del Comitato per la difesa e lo sviluppo del Golfo di Fonseca.
«Quando, nel presente, si distrugge la natura, bisogna rendersi conto di come le aspettative per una migliore qualità della vita o anche solo di sopravvivenza nel futuro non possano che decrescere». Una grande verità che ha portato Jorge Varela a percorrere per tutto il ?98 gli stati nordamericani con lo scopo di sensibilizzare la popolazione verso un consumo sostenibile dei prodotti ittici. Infatti il Golfo di Fonseca, condiviso da Honduras, El Salvador e Nicaragua, fin dal 1986 è sottoposto a un utilizzo ?omicida? da parte di grandi compagnie delle proprie risorse naturali. Una devastazione dell?ecosistema marino che è andata a legarsi negativamente all?impoverimento e alla devastazione del territorio causate nel ?98 dall?uragano Mitch. Ora Varela e la sua associazione devono affrontare l?emergenza umanitaria causata dalla catastrofe naturale. Ma restano le importanti vittorie ottenute nella difesa della vita marina del Golfo affacciato sul Pacifico.

Samuel Nguiffo
Camerunense, 33 anni, avvocato, direttore del Centro per l?ambiente e lo sviluppo nella capitale Yaoundj.
La foresta tropicale dell?Africa Centrale, che si estende principalmente in Camerun, è seconda per dimensioni solo all?Amazzonia, ed è uno dei più grandi ambienti di biodiversità naturale, dove abitano alcune tribù che vivono ancora nel rispetto della cultura dei loro padri. La loro sorte, e quella di un polmone d?ossigeno per tutta la Terra, viene messa a rischio dalla deforestazione selvaggia, e in particolare da un progetto di un oleodotto tra Ciad e Camerun. Nguiffo, con il suo staff del Centro, sono però riusciti a vincere la battaglia per i diritti di queste persone. «È inaccettabile che la base per la vita di milioni di persone, possa essere distrutta per il profitto di alcune compagnie private straniere».

Michal Kravcik
Slovacco, 43 anni, idrologo a capo del movimento popolare ?La gente e l?acqua?.
Nel 1992 il governo della Slovacchia rispolverò il vecchio progetto di costruire una diga sul fiume Torysa, con lo scopo di fornire acqua potabile alle città dell?est del Paese. Il progetto avrebbe causato la distruzione dell?ambiente agricolo, oltre all?evacuazione di quattro villaggi del XIII secolo. Il 90% della popolazione della zona si oppose, con un referendum, alla diga prevista dal governo, che comunque decise di procedere con i lavori. «Quando un?intera popolazione dice che qualcosa non va fatto, e ha i suoi buoni motivi, nessuno deve e può opporsi al suo volere». Così Kravcik ha dato vita al movimento ?La gente e l?acqua?, una vasta mobilitazione popolare a sostegno di quella che venne definita ?L?alternativa blu?, un progetto preparato dallo stesso idrologo che avrebbe permesso di ottenere gli stessi risultati della diga, con minori costi e con un migliore impatto ambientale. La lunga campagna, nel ?98, fu coronata da giusto e meritato successo.

Bernard Martin
Canadese, 45 anni, pescatore, socio della cooperativa di Petty Harbor.
Nato nell?isola di Terranova, nel villaggio di Petty Harbor, dove ha intrapreso il lavoro che era stato dei suoi antenati fin dagli inizi del XVII secolo, il pescatore. Una tradizione che andava a braccetto con un utilizzo sostenibile delle risorse marine. Fin quando, nel 1992, quaranta mila pescatori di Terranova e del Labrador vennero licenziati perché non c?era più lavoro: le moderne tecniche di pesca impostate da aziende straniere, in collaborazione con il governo canadese, avevano spopolato l?intero ecosistema della zona antistante dell?oceano Atlantico. Nel 1993 Martin si mise in viaggio sul ?Clayoquot express?, un treno che attraversando tutto il territorio canadese, avvertì la popolazione del disastro ambientale in corso. I suoi viaggi, quindi, proseguirono in molte zone di pesca nel mondo: dalla Nuova Zelanda all?Eritrea, incontrando le comunità dei pescatori, Martin e i soci della Cooperativa diedero così vita a un movimento sensibile allo sfruttamento sostenibile dei mari. «Quando mi trovo a parlare alla gente nei diversi Paesi, mi piace dire loro: ?Non abbiamo molto da offrirvi. Solo l?importante lezione di come non dovete sfruttare le vostre aree di pesca?».

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