Volontariato

Nel silenzio di Pristina

Io vado a Pristina e a Belgrado Il nostro gruppo di contatto ha raggiunto il Kosovo portando le vostre diecimila firme e ci scrive

di Redazione

Sabato 22 maggio Alle 7.30 arriviamo a Spalato, in Croazia. Eravamo partiti la sera prima in traghetto da Ancona. Alle 11.00 siamo nel porto di Dubrovnik e all?una entriamo a Debeli Brijeg, ultima cittadina prima del confine col Montenegro. È tutto tranquillo e la nostra vecchia Fiat Uno procede a velocità moderata. Nel baule pochi bagagli e tanti fogli con le vostre firme di adesione all’iniziativa ?Io vado a Pristina e a Belgrado?. Ci sono le adesioni di migliaia di italiani pronti marciare pacificamente in Jugoslavia per chiedere la pace e un plico di volantini e di pagine di ?Vita?. Un drappello dell?esercito jugoslavo ci intercetta nel paesino di Kumbor, poco distante dal confine. Stanno scavando una trincea con una ruspa. Un soldato indicando il cielo dice: «Aspettiamo che finisca. Noi non abbiamo nessuna colpa». Il comandante fa una telefonata, poi ci lascia passare.«Adesso ci sono i visti», si limita a dire. Prendiamo il traghettino delle Bocche di Cattaro, su cui si imbarcano anche molti militari diretti al fronte. Telefoniamo a Vichi, un funzionario della cooperazione italiana a Podgorica, avvisandolo del nostro arrivo per il pomeriggio. Informiamo anche don Andrej che appena a Podgorica andremo da lui. Don Andrej è sloveno e regge una parrocchia in città. «La polizia militare è dappertutto, spesso fermano anche me», racconta. «Solo perché sono straniero posso essere una spia, un nemico. Ho due camion carichi di aiuti umanitari sloveni fermi da tre giorni alla frontiera», dice. «Chissà che fine hanno fatto. Ormai l?esercito montenegrino non ha più provviste e i soldati rubano gli aiuti umanitari per fame». Don Andrej è scoraggiato e quando gli mostriamo le firme raccolte in Italia, dice: «Forse è troppo tardi. Comunque…». Ci parla di due città della Serbia dove la gente è scesa in piazza contro l?esercito e il Governo di Milosevic, ci sono stati anche scontri a fuoco con polizia e esercito a Razak proprio oggi. A Podgorica la situazione ora è più tranquilla. Dalla fine di aprile sono cessati i bombardamenti. Ma la tensione tra civili e militari è altissima. Qui si rifugiano disertori e renitenti alla leva di tutti gli eserciti, serbi e albanesi: i serbi perché sperano di essere coperti dagli oppositori del regime, gli albanesi perché in Albania sarebbero arruolati a forza nell?Uck. Gli scontri tra esercito (federale) e polizia (montenegrina) sono quotidiani. «Quando un giovane montenegrino viene arruolato nell?esercito, la polizia cerca di fare la stessa cosa con suo fratello, in modo che tra fratelli non si sparino», dice don Andrej. Alle 17.30 partiamo per Bijelo Polje, 120 chilometri a Nord, verso il Kosovo, in cerca di Izmeta e Mifto. Sono gli anziani genitori di un?amica che vive in Italia. Ci raccontano della crescente egemonia di Belgrado sul Montenegro. «I bombardamenti non servono a niente», dice Mifto. «Milosevic è sempre più potente sul piano militare. Ha schierato molte truppe in Montenegro. I soldati federali ci chiamano traditori, ma il Montenegro non vuole staccarsi dalla Federazione jugoslava. Vogliamo solo che i diritti siano rispettati qui, in Kosovo e anche in Vojvodina. Ecco perché chiediamo l?autonomia». Per il vecchio Mifto la pulizia etnica non ha ragione di esistere: «Esistono solo due razze», ci dice prima di salutarci. «Uomini e non-uomini». Domenica 23 maggio Partiamo da Bijelo Polje alle 7.30. Dobbiamo fare il pieno, ma a Rozaje, a 10 chilometri dal confine con il Kosovo, la coda per il carburante è lunghissima. Ne compriamo 20 litri al mercato nero, ci costano 50 marchi. Sulla strada verso la frontiera la polizia montenegrina ci lascia andare senza problemi, ma incontriamo tre posti di blocco della polizia serba. Ispezionano i bagagli per tre volte, ma ci fanno passare. Appena entrati in Kosovo (sono le 11) la polizia militare ci ferma. I poliziotti più giovani sono abbastanza cordiali ma insistono per guardare tutto. Arriva il superiore e la sua ispezione è lunga e accurata. Quando trova gli adesivi di ?I care?, la mobilitazione pacifica che si occupa dei diritti violati in Kosovo, chiede la traduzione: vuole sapere dove andiamo e soprattutto chi incontreremo. Gli mostriamo i biglietti da visita che ci ha spedito il sindaco di Pristina e i numeri di telefono del ministro kosovaro, Jovica Jovanovic. «I cellulari non funzionano», ci spiega, guardando il nostro telefono satellitare. «Ma venite con me, andiamo a telefonare. Vediamo se queste persone vi conoscono davvero». È gentile, ma fermo. Saliamo con lui fino in cima alla collina ed entriamo nella casa di campagna che fa da quartier generale. Nessuno risponde alle tante telefonate.Tentiamo un approccio e gli chiediamo come si chiama. Dragovic, risponde e da civile faceva l?insegnante di pianoforte. Alla fine chiama un superiore che autorizza il nostro passaggio. L?ex maestro di pianoforte prende appunti mentre l?altro parla, annota le nostre generalità e ci lascia andare. Ripartiamo. Prima di Mitrovica c?è un ponte distrutto, si passa guadando il fiume in secca. Qualche chilometro dopo deviamo per evitare Obilic, dove c?è un altro ponte distrutto. All?una arriviamo a Pristina. Sulla collina di Dragodoz è schierato l?esercito. Alcune case attorno alle caserme , l?ufficio postale e l?agenzia di viaggi di fronte al Comune sono distrutte. Nelle strade si vedono anche i segni delle devastazioni compiute dai soldati serbi: vetrine rotte, negozi saccheggiati e bruciati. Chiediamo del vicesindaco Nerandzic, ma non c?è. Allora andiamo da Radovan Urosevic, direttore del Media Center di Pristina. «Passavo per un serbo moderato» dice. «Ma dopo tre giorni di bombardamenti avrei ucciso qualunque straniero fosse passato per strada. La Nato costruisce falsità con la sua propaganda: il vero obiettivo della missione Osce era segnalare gli obiettivi militari con rilevatori captabili dai satelliti. Purtroppo non distribuisco io a Belgrado gli accrediti per la stampa, altrimenti farei entrare solo i bravi giornalisti, come Massimo Nava, per vedere la verità. Il risultato delle vostre bombe? Ormai tutti stanno con Milosevic, è lui il nostro comandante supremo. Avete seminato l?odio: in casa del mio vicino albanese, che adesso è fuggito, hanno trovato una lista di persone da uccidere. Io ero il numero due. Ma noi serbi andremo fino in fondo. Quando ci avrete annientati, forse qualcuno si chiederà il perché». Andiamo via. Dobbiamo passare dall?ufficio registrazione stranieri della polizia di Pristina per avere il permesso di restare. Ci ordinano di dormire al Gran Hotel, di non usare il satellitare senza permesso e di non uscire dalla città. Lasciamo i bagagli in hotel e facciamo un giro: la maggior parte delle case sono chiuse, le finestre serrate, in giro c?è un gran silenzio. Andiamo a cercare la nostra amica Violeta, ma in casa non c?è nessuno. I vicini ci accompagnano da sua zia, che ci racconta che è fuggita in Svezia. Suo marito aveva paura di essere arruolato. Alla chiesa cattolica di Ulpiana troviamo don Joze e il parroco. È l?unica chiesa in Kosovo ad avere ancora il telefono. L?ottanta per cento dei parrocchiani è fuggito e ci sono militari ovunque. La canonica è stata occupata da paramilitari di Arkan che spiano tutto e tutti. Don Joze ci chiede di non andare a trovare i nostri amici perché potremmo comprometterli, ma da loro possiamo restare perché la chiesa è aperta a tutti. Dice messa ogni giorno alle 11, anziché alle 17, perché la gente non esce più di casa dopo le tre del pomeriggio. Ci racconta di un attacco aereo della Nato a cui è scampato per miracolo. «Quattro camion militari con rimorchio si erano nascosti nello spiazzo dietro la nostra chiesa. Quando hanno sentito arrivare gli aerei hanno aperto i rimorchi su cui c?erano le batterie contraeree e le hanno puntate contro i caccia. Da un aereo è partito un missile diretto contro i camion, ma che ci avrebbe uccisi tutti e distrutto la chiesa. Noi eravamo in giardino e guardavamo la scena atterriti. A un tratto il missile ha cambiato rotta: il pilota si era accorto della chiesa e ha deviato la traiettoria. Siamo vivi grazie a quel pilota». Lunedì 24 maggio Bogdan Nerandzic è il presidente della giunta comunale di Pristina. Ci riceve alle 8 del mattino. Sulla strada verso il suo ufficio, molte persone accalcate alle fermate degli autobus.. «Sono albanesi. Se ne stanno andando tutti. Molti mi chiedono aiuto per andare all?estero e io cerco di aiutarli come posso. Li capisco: la vita qui è impossibile». Ha paura dei paramilitari?, gli chiediamo. «No. Ormai se ne sono andati quasi tutti. Il lavoro sporco l?hanno fatto, e via. I bombardamenti, quelli sì sono terribili. non hanno senso. Sarebbe meglio che entrassero le truppe di terra e la facessero finita una volta per tutte. L?Italia è un Paese amico, quello che ha fatto di più per noi, il primo che ha cercato un po? di verità in questa storia». Una verità che per Nerandzic ha il colore grigio del cinismo: «Molti albanesi che scappano dal Kosovo se le bruciano da soli le case, per far fuggire più persone. E i paramilitari serbi girano solo di notte, così possono fare quello che vogliono. Ora tutti hanno paura di tutti, e chi può se ne approfitta. È la guerra». Poi si illumina. «Siamo contenti che siate venuti a trovarci, siete i primi che lo fanno». «Pensiamo che la nostra vita non valga più della vostra» gli diciamo, e lui ringrazia. Gli parliamo della marcia di pace, risponde che ci aspetta tutta la città. È sincero.Ci salutiamo. Il ministro degli Interni kosovaro è Jovica Jovanic. Ci accoglie con una frase semplice detta a braccia aperte: «Avete visto cosa stanno facendo?». Non possiamo rispondergli che con le firme per la pace raccolte in Italia. Gliele mostriamo e lo informiamo della nostra iniziativa. «Sono felice che il popolo italiano scenda in piazza a manifestare per noi. Ma temo non riuscirete a fermare la guerra. Tutto questo non ha niente a che fare con i diritti umani, gravemente violati con le bombe. Qui si distruggono le centrali elettriche, gli acquedotti, pure una caserma dell?Uck». Gli spieghiamo che vorremmo andare fino a Vitina, a trovare padre Lush dell?associazione Madre Teresa. Come la mettiamo con i paramilitari serbi? «Andate tranquilli, i paramilitari sono un?invenzioni della Cnn». Ecco la propaganda. Poi, un?informazione: «A Pristina saranno rimaste 50/60 mila persone». Erano 250 mila prima del 24 marzo. Alle 11 torniamo in albergo, facciamo i bagagli e passiamo a salutare i funzionari dell?ufficio stranieri della polizia. «Cos?altro volete vedere? Avete già visto abbastanza. La vostra vita non varrebbe nulla se vi avventuraste fuori città. Siete rimasti qui per troppo tempo. Adesso tornate a casa», dicono. Insistiamo, ma è inutile. «Voi siete NEMICI, sostenete la Nato», urlano. «Noi non possiamo andare a trovare i nostri parenti e voi volete andare a trovare un amico». Usciamo e in corridoio incontriamo Ivan, un nostro amico funzionario di polizia che ci confida: «In giro non ci sono più molti paramilitari, ma non mi fiderei a uscire dalla città. Per loro siete nemici e basta». Ci rimettiamo in cammino. Stanotte hanno bombardato Urosevac, proprio sulla nostra strada. Alle cinque del pomeriggio arriviamo in Montenegro. Per voi cinquanta Comitati locali PIEMONTE Gianni D?Elia – Rivalta (To) – tel. 011/9090285 Silvia Pochettino-Torino – tel. 011/8993823 LIGURIA Luca Petralia-Genova-tel.010/6981015 – mailto:evan@anspi.it Paolo Pilonca – Savona – tel. 010/6129048- lillisi@tin.it LOMBARDIA Don Sergio Tettamanti – Ronago (Co) – tel. 031/980044 Alberto Anghileri-Lecco-tel.0341/488233- fiomlc@tin.it Franco Fragolino-Como-tel.031/301583 Sara Dalbosco-Portomantovano(Mn)-tel.0376/397147 sportello.giovani@comune.mantova.it Marco Pogliaghi-Milano-tel.0339/5469280- themop@tiscalinet.it Elisabetta Pavia -Milano-luca.bett@iol.it Dorica Poggi-Milano-tel.02/5796961 VENETO Michele Boato-Mestre-tel.041/950101- info@ecoistituto.veneto.it Mao Valpiana-Verona-tel.045/8009803- azionenonviolenta@sis.it Don Albino Bizzotto-Padova-tel.049/663882 ALTO ADIGE Hermann Barbieri-Bressanone(Bz)-tel.0472/838215 oew.barbieri@rolmail.net TRENTINO Trentini Giuliano-Trento-tel.0461/980575- odctn@tin.it Friuli Antonio Ciro Francescutto-San Giovanni(Pn)-tel.0434/868750 EMILIA Stefano Castagnetti-Basilicanova(Pr)-tel.0521/681244 Vittorio Merlini-Sestola(Mo)-tel.0536/61062 Valda Busani-Scandiano(Re)-tel.0522/981531 Marco Trotta-Bologna-tel.051/6344671- gavci@iperbole.bologna.it Michela Di Gennaro-Bologna- aifo@iperbole.bologna.it TOSCANAAlessandro Cerri-Livorno-tel.0586/887350 Michela Contemori-Torrita (Si)-tel.0575/638311 Paolo Zammori-Filattiera (Ms)-tel.0187/458108- comufila@lunigiana.ms.it Francesco Andreini-Siena-tel.0577/42587- 100idee@campo.comune.siena.it UMBRIAAnnachiara La Greca-Perugia-tel.075/5726546- milko.anselmi@mail.caribusiness.it MARCHEDon Giacomo Ruggeri-Fano(Pe)- parabola@mbox.fano.net Luciano Benini-Fano(Pe)-tel.0721/830265- lbbema@mobilia.it Don Giancarlo Vecerrica-Macerata-tel.0733/236407 Rossano Bartoli-Osimo(An)-tel.071/72451 Amedeo Angelozzi-Fermo(Ap)-tel.0734/620707 LAZIODon Renzo Copponi-Civitavecchia(Roma)-tel.0766/32550 Gianni Troiani-Roma-tel.06/3058961 Angelo Caserta-Roma-tel.06/8416600 Giuseppe Sini-Viterbo-tel.0761/353532- mdmsoft@tin.it CAMPANIAUgo Esposito-Montesarchio(Bn)-tel.0824/833280 Marco Cillo-Avellino-tel.0825/74691 BASILICATAAngelo Leone-Bella(Pz)-tel.0976/803229 Mario Grego-Matera-tel.0835/310835 PUGLIADon Salvatore Porcelli-Bisceglie(Ba)-tel.080/3955968 Don Domenico Chiarantoni-Bitonto(Ba)-tel.080/3751236- kosovopax@santimedici.org Agnese Panico-Alessano(Le)-tel.0833/781334 Don Salvatore De Pasquale-Bari-tel.080/5531201 CALABRIAPatrizia Russo-Mormanno(Cs)-tel.0981/81036 SICILIAGiuliana Zaffuto-Palermo-tel.091/6560355- zaffuto.giuliana@ipalet.unipa.it Paola Gallo-Siracusa-tel.0931/721218 Calogero Timpanaro-Enna-tel.0935/37008 Enzo Sciacca-Catania-tel.095/316339 SARDEGNAValeria Camba-Cagliari-070/370106- camba@unionesarda.it


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