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Azzardo & dati: che fare? La sfida di un’azione civica concreta

I dati sono importanti, i numeri anche. Per anni l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha tenuto in un cassetto dati e numeri sull'azzardo "legale" italiano. Un'azione civica imponente, lanciata da Vita nell'agosto scorso, ha costretto i burocrati a tirar fuori i numeri. Ora, a comuni, associazioni, cittadini cominciano ad arrivare le fotografie finanziarie dell'azzardo. Che fare con quei numeri? Come organizzarsi? Come agire? Ecco i nostri punti

di Marco Dotti

Davide ha colpito Golia. E Golia traballa. Non è un’iperbole. È un fatto: nel mese di agosto, quando le cronache davano per scontato che gli italiani (tutti) si trovassero in coda sulle autostrade o (i più fortunati) tra spiagge e piscine, la società civile ha mostrato che l’impegno non si concede tregue. Anche quando il corpo è in vacanza.

L’intelligenza, insegnava d’altronde un vecchio filosofo come Theodor Adorno, è una qualità morale. O c’è o non c’è. In questo caso, c’è. Ed è un buon segno per tutti che una società civile intelligente e vigile si sia messa in movimento su una delle più grandi anomalie italiane: l’azzardo legale.


Incuranti di afa e vacanze, di mondanità e uffici chiusi, 1.200 e passa amministratori locali hanno risposto all’appello lanciato il 29 luglio su Vita.it. Sindaci, assessori, consiglieri comunali hanno mostrato di essere, una volta di più, la spina dorsale e il nervo morale del nostro Paese: un comune su otto, tramite la procedura di accesso agli atti della pubblica amministrazione (il cosiddetto Foia), ha chiesto numeri e dati sul flusso monetario legato all’azzardo. Numeri e dati relativi al proprio comune e alla propria provincia.

Perché era, è e sarà tanto importante avere quei numeri, renderli pubblici e condividerli con associazioni e cittadini? Perché per cambiare le cose, bisogna prima capirle. E se dinanzi a un mostro di dimensioni multinazionali abbiamo poche munizioni, non sprecarle è vitale. Sapere dove colpire è, quindi, la priorità.

La devastante deriva dell’azzardo legale va fermata, partendo dai territorio. Per questo, limitarsi a ricordare che in Italia, nel 2016, il fatturato dell’azzardo legale è stato di 97 miliardi di euro forse aiuta a capire (poco), ma certamente non consente di agire. Indignarsi non basta, non serve e alla lunga fa il gioco d’avversario. Intendiamoci: cifra spaventosa, i 97 miliardi del sistema-Italia. Talmente spaventosa, però, da farci spesso dimenticare che è tra i rivoli dei territori che quello spaventoso fiume di denaro si genera. Una piccola comparazione: l’azzardo legale ha mosso 97 miliardi, a fronte dei 14 in droghe stimati dalla Relazione Annuale al Parlamento del 2016.

L’antieconomia dell’azzardo legale trae un profitto predatorio dalle comunità, consumando risorse, logorando legami, provocando sommovimenti sismici a quell’insieme di reti sociali, di relazioni di fiducia e reciprocità che siamo usi chiamare capitale sociale. La società civile è la prima vittima di questo business, con conseguenze sul welfare tutte ancora da quantificare, ma non difficili da prevedere.

Se fino a ieri la prospettiva era unicamente retorica (attaccare lobby lontane, parlando di cifre monstre e poi, al massimo, fare qualche campagna di sensibilizzazione) oggi la prospettiva è stata rovesciata. L’hanno rovesciata i territori, grazie alla richiesta di chi concretamente li amministra: «Dateci i numeri, fateci capire!».

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Nel concreto, le cose si possono cambiare proprio partendo dai numeri. Le cose si cambiano sfidando sul loro terreno coloro che — e ve ne sono, ahinoi, anche fra i gangli delle istituzioni romane — parlano di “legalità” come un passpartout per negare ogni problema. Com’è composta, quella legalità? Di che numeri parliamo?

È davvero indifferente sapere che a Roma, con i suoi 2,8 milioni di abitanti, l’azzardo legale nel suo complesso ha generato nel 2016 una spesa di 5,2 miliardi di euro? O Milano raggiunga i 3,2? O che in una cittadina del bresciano come Orzinuovi, 12mila abitanti, una trentina di slot machine e una sessantina di videolotteries, il fatturato si aggira attorno ai 34 milioni di euro? O che, ancora, in un comune piemontese di 5mila abitanti si sperperino oltre 9 milioni di euro solo in macchinette? O che in piccoli comuni delle valli bresciane e bergamasche la spesa annnua pro capite in azzardi vada ben oltre i 6mila euro l’anno, neonati compresi?

Cambia. Cambia tutto. I “signori dell’azzardo” lo sanno, per questo temono trasparenza, pubblicità e impegno civico diffuso, ossia non monopolizzato da poche figure “carismatiche”, ma prive di reale intelligenza morale sul problema.

Perché per muoversi in un territorio servono mappe, non solo parole. O si cade in trappola. Ci servono mappe economiche aggiornatissime, capaci di fotografare una situazione che ha troppi lati oscuri. Ci servono per calibrare azioni civiche, di aiuto, prevenzione e contrasto. Azioni davvero efficaci. Ecco perché il gesto degli amministratori locali di chiedere quei dati ai Monopoli, con raccomandata o Pec, è stato un segnale forte. Fortissimo. Ha avuto un impatto etico impressionante, che si è fatto sentire.

Dapprima l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato — che è l’ organismo di controllo del settore, dipendente dal ministero dell’Economia e delle Finanze — ha negato di avere numeri “spacchettati” sui singoli comuni. Poi, il muro di silenzio si è rotto ed hanno dovuto ammettere di averli, solo che nessuno glieli aveva mai chiesti in questa forma.

Ora, quei dati cominciano ad arrivare ai comuni che ad agosto ne hanno fatto richiesta. Anche perché, nel frattempo, la Conferenza Unificata Stato Regioni ha siglato un accordo con il Governo per “il riordino della rete di vendita dell’azzardo” sui territori. Forte di questa spinta, nell’accordo è stato inserito un punto chiaro: i dati sul consumo di azzardo, per ogni tipologia di “gioco”, devono essere forniti a tutti gli enti locali, con cadenza regolare e precisa.

In attesa che le promesse del Governo diventino debito con gli Enti Locali e che l’accordo Stato-Regioni si muti in decreto e il decreto diventi legge (ma accadrà?), a noi tocca ricordare che quei dati sono già pubblici, non sono sensibili (a meno che qualcuno non li dichiari tali, ma allora cadrebbe il castello istituzionale, non solo Golia) e non c’è bisogno di una nuova norma che li renda tali. Soprattutto, quei dati sono necessari a ogni sindaco, alle autorità sanitarie e di polizia, ai cittadini tutti per capire che cosa davvero accade nelle loro comunità e di conseguenza agire. Ma non basta. Avere i dati è solo il primo passo. Perché, una volta arrivati a destinazione bisognera capire come usarli al meglio per costruire un’azione civica esemplare. Grazie a voi.

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