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Mediterraneo: tutti gli attacchi della Guardia costiera libica alle Ong

L’organizzazione tedesca Sea Watch ha denunciato le minacce e la mancanza di collaborazione della Guardia costiera libica durante l’operazione di soccorso del 6 novembre, a 30 miglia dalla Libia, dove l’Ong ha recuperato dall’acqua 5 persone senza vita, tra cui un bambino piccolo. È l’ennesimo episodio di tensione estrema tra navi umanitarie e Guardia costiera. Abbiamo ripercorso gli attacchi più pesanti alle navi umanitarie da parte delle motovedette libiche da maggio ad oggi

di Ottavia Spaggiari

Un’altra tragedia a 30 miglia dalla Libia, in acque internazionali, dove almeno 20 persone sarebbero annegate e altre 5, tra cui un bambino di circa 4 anni, sono state recuperate senza vita dall’imbarcazione dell’Ong Sea Watch che, il 6 novembre, nella stessa operazione, è riuscita a portare a bordo della sua nave 58 persone. Una tragedia che ha segnato però anche l’ennesimo episodio di tensione estrema tra navi umanitarie e Guardia costiera libica.

Quella del 6 novembre infatti è solo l’ultima denuncia lanciata da una nave umanitaria contro il comportamento aggressivo e poco collaborativo delle motovedette libiche. Il report commissionato dall’ONU, relativo alla transazione politica in Libia, ha dichiarato come la Guardia costiera libica «sia direttamente coinvolta in gravi violazioni dei diritti umani» dei migranti, insieme alle reti dei trafficanti e ai gestori dei centri di detenzione.

Ecco cos’è successo negli ultimi mesi.

6 novembre 2017 – Sea Watch

A coordinare l’operazione è stato, come richiede la procedura di salvataggio, l’IMRCC il Centro di Coordinamento della Guardia costiera di Roma, che in soccorso aveva inviato anche una nave militare francese e un elicottero della marina italiana.

Sul posto anche un’imbarcazione della Guardia Costiera libica che, secondo i volontari, si è rifiutata di rispondere alle chiamate via radio di coordinamento, sia da parte di Sea Watch che da parte della nave francese e dell’elicottero italiano e avrebbe invece tenuto un comportamento «aggressivo e scordinato» che, secondo l'Ong «ha portato più caos e tensione che aiuti». Secondo Sea Watch, la Guardia Costiera libica ha iniziato addirittura a malmenare e a minacciare quelle persone che erano riusciti a portare a bordo, aggiungendo caos al caos, violenza a violenza e spingendo così chi era appena riuscito a mettersi in salvo, a cercare di ributtarsi in acqua.

Secondo i volontari di Sea Watch, la drammaticità della situazione era già chiara quando l’imbarcazione dell’Ong era arrivata in soccorso al gommone in difficoltà: diverse persone erano già in acqua, alcuni corpi annegati. Una scena terribile raccontata su Vita dal volontario italiano a bordo della nave, Gennaro Giudetti, raggiunto al telefono, il giorno dopo l’operazione di salvataggio, ancora sotto shock.

«Invece di calmare la situazione, la Guardia costiera libica ha addirittura iniziato a lanciare patate e salvagenti addosso all’equipaggio di Sea Watch impegnato nel raccogliere le persone dall’acqua. In queste circostanze è fondamentale evitare ulteriore tensione e panico, invece la Guardia costiera libica ha fatto l’opposto. ll loro unico obiettivo rimane quello di riportare la maggior parte di persone possibili sulle coste libiche. È con questa intenzione che la loro motovedetta è ripartita a piena velocità, anche se una persona era ancora appesa a prua ed è stata trascinata nell’acqua», un fatto questo che è stato segnalato immediatamente attraverso il canale radio 16, quello utilizzato per le emergenze. Molto diversa la versione della Marina libica, secondo cui le persone si sarebbero buttate in mare per raggiungere l’Ong.

«Comprendiamo il ruolo della Guardia costiera libica durante le operazioni di soccorso ma il loro comportamento spericolato mentre cercano di “riportare indietro” il maggior numero di migranti possibile ha provocato più danni di quanto non sia stato d’aiuto. Inoltre le loro azioni – finanziate dall’Unione Europea – violando il diritto internazionale», ha dichiarato in una nota Sea Watch, «Chiediamo alla Guardia costiera libica di rispettare il diritto internazionale ed evitare di alimentare i livelli di caos nelle operazioni di salvataggio».

In queste circostanze è fondamentale evitare ulteriore tensione e panico, invece la Guardia costiera libica ha fatto l’opposto. ll loro unico obiettivo rimane quello di riportare la maggior parte di persone possibili sulle coste libiche".

Sea Watch

27 settembre 2017 – Mission Lifeline

L’ appello di Sea Watch arriva a poco più di un mese dall’incidente sfiorato che aveva visto protagonista Mission Lifeline, l’Ong tedesca che ha da poco iniziato ad essere operativa nel Mediterraneo e che ha dichiarato di essere stata attaccata proprio durante la sua la prima operazione di ricerca e soccorso, a 19 miglia dalla costa libica (in acque internazionali), dopo aver salvato 52 migranti. «La Guardia costiera libica ha attaccato la nostra nave, sparando colpi di arma da fuoco e salendo a bordo senza il permesso del nostro capitano», aveva scritto l’Ong su Facebook, definendo un’azione “pirata” quella della motovedetta libica. «La Guardia costiera ha cercato di obbligarci a consegnare le persone che avevamo salvato, per riportarle in Libia, sostenendo che stessimo operando illegalmente in acque libiche, anche se non era vero».

Alle accuse di Mission Lifeline aveva replicato il portavoce della Marina libica, Ayub Kacem, riportando una versione dei fatti molto diversa, secondo cui l’Ong avrebbe cercato di fuggire, con a bordo uno dei membri della Guardia costiera e i colpi sarebbero stati sparati in aria, per fermare la nave. Kacem aveva rilasciato una dichiarazione che suonava come una versa e propria minaccia: «Questa volta abbiamo evitato un’escalation. In futuro sequestreremo le navi delle Ong che non rispettano la sovranità libica», sottolineando così, ancora una volta, l’intenzione della Libia di estendere la propria “sovranità” ben oltre il confine delle sue acque territoriali, a 12 miglia dalla costa, intenzione che era stata annunciata già lo scorso agosto, con la rivendicazione del controllo della zona Sar (search and rescue), in seguito alla quale tre Ong avevano sospeso le operazioni umanitarie nel Mediterraneo.

La Guardia costiera ha cercato di obbligarci a consegnare le persone che avevamo salvato, per riportarle in Libia, sostenendo che stessimo operando illegalmente in acque libiche, anche se non era vero".

Mission Lifeline


15 agosto 2017 – Proactiva Open Arms

Golfo Azzurro, la nave dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms, viene sequestrata per due ore dai guardacoste libici a 20 miglia dalla Libia, quindi in acque internazionali e costretta, sotto la minaccia delle armi, a dirigersi in acque libiche.

7 agosto 2017 – Proactiva Open Arms

La Guardia costiera libica spara colpi di avvertimento ad un’imbarcazione di Open Arms, ancora una volta in acque internazionali, a denunciarlo la stessa Ong sui social: “Formati e finanziati dall’UE, minacciano e sparano verso Open Arms”.

23 maggio 2017 – Medici Senza Frontiere/SOS Mediterranee

Un’altra tragedia sfiorata. La Guardia costiera libica spara colpi di Kalashnikov in aria, davanti all’Acquarius, la nave gestita dall’Ong SOS Mediterranee con a bordo un equipaggio di Medici Senza Frontiere, mettendo così a serio repentaglio un’operazione di soccorso. «Dopo che avevamo già iniziato l’operazione, è arrivata una motovedetta della Guardia Costiera Libica. Hanno sparato colpi di Kalashnikov in aria. Due ufficiali sono anche saliti su un gommone e ne hanno preso il comando portandolo verso sud, secondo alcune testimonianze chiedevano soldi ai migranti. Anche loro hanno sparato in aria, forse l’intenzione era quella di mantenere il controllo, l’esito però è stato l’opposto. Gli spari hanno creato il caos, le persone spaventate si sono buttate in acqua», ci aveva raccontato Giorgia Linardi, responsabile Affari Umanitari di Medici Senza Frontiere (MSF), a bordo dell’Acquarius. «Abbiamo provato a metterci in contatto con la motovedetta ma la comunicazione è stata difficile, la Guardia Costiera non ha assistito al recupero delle persone. In un caso specifico hanno cercato di recuperare una persona dal mare, ma l’hanno presa per il salvagente, questo gli si è sfilato ed ha rischiato di affogare. Non è questo il modo di condurre un’operazione, mi viene da dire che si tratti quasi di omissione di soccorso. Dal canto nostro, noi ci siamo attenuti al solito modo di operare».

Le persone sono state costrette a salire a bordo della nave libica e, invece di essere portate nel porto sicuro più vicino, come richiede la legge, sono state riportate in Libia".

Sea Watch

10 maggio 2017 – Sea Watch

La prima grave denuncia di un’operazione a rischio della Guardia costiera libica arriva da Sea Watch 2, l’imbarcazione dell’omonima Ong tedesca, impegnata in una missione di salvataggio, a 20 miglia dalle coste libiche. È subito dopo l’inizio della distribuzione dei giubbotti di salvataggio ai passeggeri della barca in difficoltà che avviene l’incontro con la motovedetta libica. «È arrivata ad enorme velocità, tagliando la strada della nostra barca, a prua, e dirigendosi verso l’imbarcazione di legno, piena di migranti. Il nostro capitano ha provato più volte a mettersi in contatto con la nave libica, per cercare, come facciamo sempre, di collaborare nell’operazione di soccorsi ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta. Siamo poi stati informati che sarebbe stata la Guardia costiera libica a gestire l’operazione, e non abbiamo avuto altra scelta se non ritirarci», aveva raccontato a Vita Theresa Leisgang, responsabile comunicazione di Sea Watch che si trovava a bordo dell’imbarcazione dell’organizzazione tedesca.

«La nostra posizione esatta era a 20 miglia nautiche dalla costa, nella cosiddetta fascia contigua (tra le 12 e le 24 miglia n.d.r.), in questa zona, a differenza delle acque territoriali il cui confine termina a 12 miglia nautiche, la Libia può esercitare un controllo doganale, a fini sanitari o sull’immigrazione. In realtà però nessun regolamento è stato infranto, nemmeno quello relativo all’immigrazione, perché le persone stavano chiaramente abbandonando il Paese». Ad essere stato infranto invece, secondo Sea Watch, è il diritto internazionale. «Le persone sono state costrette a salire a bordo della nave libica e, invece di essere portate nel porto sicuro più vicino, come richiede la legge, sono state riportate in Libia» che di sicuro non ha nulla, come è stato dichiarato anche dalla sentenza della Corte d'assise di Milano dell’11 ottobre scorso che, come aveva sottolineato l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), «aveva giudicato attendibili e comprovate le testimonianze dei richiedenti asilo che, attraverso la loro presenza, hanno potuto dare un quadro di inaudita violenza delle torture subite: violenze sessuali ripetute, omicidi di coloro che non ricevono dai familiari il denaro richiesto dai trafficanti, torture, addirittura esposizione dei corpi dei soggetti morti dopo le torture per ottenere effetto deterrente) attraverso la loro presenza».

Secondo gli avvocati di ASGI, «La scelta dell’Italia e della Ue di esternalizzare la gestione delle migrazioni ed il diritto d’asilo le rende corresponsabili delle condizioni inumane e delle torture che avvengono in Libia».

*** Precisazione ***

I lettori ci segnalano inoltre altri 3 episodi registrati nel 2016.

21 ottobre 2016 – Sea Watch

Una motoscafo della Guardia costiera libica interrompe un’operazione di soccorso da parte di Sea-Watch, effettuata a 14 miglia della coste libiche in coordinamento con la centrale operativa della guardia costiera italiana. Gli agenti libici sono saliti a bordo del gommone dove erano caricati 150 migranti e hanno iniziato a colpire violentemente le persone con i bastoni, provocando il panico. «Uno dei tubolari del gommone è collassato provocando la caduta in mare della maggior parte delle persone», riporta il comunicato della Ong tedesca. Inoltre, gli equipaggi delle due imbarcazioni di Sea Watch sono state violentemente minacciate impedendo ai volontari di fornire i giubbotti di salvataggio e l’assistenza medica immediata alle persone che ne avevano bisogno. 120 persone sono state salvate. Si stima che i dispersi fossero circa 30.

19 settembre 2016 – Sea Eye

Si trovavano su un motoscafo in acque internazionali a poco più di 12 miglia dalla costa libica i due volontari dell’Ong tedesca Sea Eye, quando sono stati fermati da una motovedetta della Guardia costiera libica e arrestati con l’accusa di aver oltrepassato il confine, cosa sempre negata dai due che avevano però dichiarato di «Essere stati comunque trattati in modo molto gentile». «Non ero spaventato», ha dichiarato Dittmar Kania avvocato 68enne e volontario di Sea Eye, spiegando però l’assurdità della situazione, mentre non avevano modo di comunicare con nessuno in Germania, i due erano stati poi ospitati a casa di un comandante della guardia costiera e rilasciati dopo 4 giorni. «Non sapevamo se stavano bene. Dal nostro punto di vista la situazione sembrava molto più drammatica di quella che era in realtà», aveva dichiarato il fondatore di Sea Eye, Michael Buschheuer, che aveva poi lavorato con l’ambasciata tedesca a Tripoli per il rilascui dei due.

17 agosto 2016 – Medici Senza Frontiere

Un motoscafo non identificato attacca e spara contro la Bourbon Argos, una delle navi che Medici Senza Frontiere (MSF) utilizzava fino all’agosto di quest’anno per la sua attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. L’episodio è avvenuto a 24 miglia nautiche dalla costa libica è poi stato confermato, in una controversa dichiarazione, dal portavoce della marina di Tripoli, secondo cui il motoscafo era una motovedetta della Guardia costiera libica che avrebbe “sparato solo colpi di avvertimento”, dopo che la nave di MSF non aveva eseguito l’ordine di fermarsi, una versione che mai confermata da Medici Senza Frontiere.

Foto: Michelangelo Mignosa

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