Cultura
Zandonai: «la società civile non è una cosa, ma un processo»
«C'è qualcosa nel mezzo, tra il nascere e il diventare associazione, cooperativa e istituzione. Qualcosa che attiene al design e accompagna, sostiene, agevola in maniera non invasiva il formarsi di esperienze vive di società civile»
di Marco Dotti
Che cosa intendiamo, oggi, in tempi di disintermediazioni repentine e radicali, con l’espressione “società civile”? Dopo l'intervento di Mauro Magatti, prosegue il nostro dibattito. Abbiamo chiesto a Flaviano Zandonai, segretario di Iris Network, l’Associazione italiana degli Istituti di Ricerca sull’Impresa Sociale, e ricercatore presso Euricse, Istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale.
La società civile: sempre più evocata, sempre più sfuggente…
Veniamo da una stagione, durata qualche decennio, in cui la società civile era sostanzialmente una cosa. Una cosa, ovvero una forma giuridica. Pensiamo a tutta l’apoteosi del non profit e del terzo settore – concetti che, non a caso, hanno 30-35 anni: concetti che hanno reificato la società civile. Quello che sta accadendo è che la società civile si sta ripresentando non come cosa, ma come processo. Come ciò che prende forma e che, in alcune sue espressioni, rifugge il fatto di diventare cosa e di volersi dare una struttura giuridica organizzativa.
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Questa società civile, intesa come processo, preferisce individuare un obiettivo o un’attività attorno alla quale coalizzarsi per diventare di interesse comune. Viviamo una fase in cui la società civile sta diventando processuale.
Questa processualità, in maniera molto pragmatica, si ricompone a misura di obiettivo. Questa ricomposizione mantiene tratti di ambiguità, perché bisogna poi capire se l’obiettivo è effettivamente di interesse collettivo, in che senso lo è, se è inclusivo, etc. Si va modificando la dinamica secondo la quale a processi di natura civica corrispondono certe forme di organizzazione. Oggi queste forme sono più pragmatiche e, per così dire, meno ideologiche.
Questo processo, che si va formando a livello territoriale, come può diventare protagonista di processi decisionali attivi?
Riprenderei l’idea, dall’ultimo libro di Parag Khanna, La rinascita delle città-stato (Fazi, Roma 2017), di tecnocrazia diretta. Tutti i processi partecipativi, oggi, vivono nella misura in cui non tanto si danno una costituzione giuridico-formale, ma in quanto trovano spazi, luoghi, competenze che in maniera soft aiutano a disegnare processi senza diventare una forma.
C'è qualcosa nel mezzo, tra il nascere e il diventare associazione, cooperativa e istituzione. Qualcosa, intendo, che attiene al design e accompagna, sostiene, agevola in maniera non invasiva il formarsi di esperienze vive di società civile. Queste tecniche di "spinta gentile" diventano sempre più efficaci, grazie alle tecnologie e al digitale. È una grande novità rispetto al ciclo di società civile che abbiamo vissuto nei decenni scorsi.
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