Economia
Il Rapporto Coop fotografa la nuova normalità degli italiani
Alla fine dell’emergenza sanitaria si delineano nuovi stili alimentari, di vita e affettivi. Un next normal che è stato fotografato dall'analisi curata dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop con la collaborazione scientifica di Nomisma. «Ci conforta ritrovare in questi mutamenti delle conferme su tendenze già individuate da Coop e su cui ci stiamo posizionando con forza distinguendoci anche dai competitor. La sensibilità green degli italiani in primis», sottolinea Maura Latini, amministratore delegato Coop Italia
Presentata l’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2020 – Economia, Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto di analisi di Nielsen e i contributi originali di Gfk, Gs1-Osservatorio Immagino, Iri Information Resources, Mediobanca Ufficio Studi, Npd, Crif eTetra Pak Italia. L’edizione 2020 del Rapporto è tutta orientata a descrivere la situazione della nuova realtà che ci attende quando la pandemia sarà conclusa e per fare questo, oltre alle fonti di solito utilizzate, si è avvalsa di due diverse survey denominate “Italia 2021 il Next Normal degli italiani” e condotte entrambe nello scorso mese di agosto. La prima ha coinvolto un campione di 2000 italiani rappresentativo della popolazione over 18. La seconda si è rivolta alla community del sito di italiani.coop ed ha coinvolto 700 opinion leader e market maker fruitori delle passate edizioni del Rapporto. Tra questi sono stati selezionati 280 soggetti (imprenditori, amministratori delegati e direttori, liberi professionisti) in grado di anticipare più di altri le tendenze future del Paese.
«È indubbio che il Covid abbia cambiato i comportamenti degli italiani come il Rapporto ci racconta», sottolinea Maura Latini, amministratore delegato Coop Italia, «Ci conforta ritrovare in questi mutamenti delle conferme su tendenze già individuate da Coop e su cui ci stiamo posizionando con forza distinguendoci anche dai competitor. La sensibilità green degli italiani in primis su cui stiamo molto investendo e che abbiamo visto riconfermata anche durante e dopo il lockdown nei nostri dati interni. Il nostro marchio di prodotti biologici Vivi Verde è il primo brand bio venduto nella grande distribuzione in Italia con oltre 150 milioni di fatturato nel 2019 e non ha cessato di crescere durante e dopo il lockdown con un trend a valore del +9%. Ma è più in generale tutto quanto attiene al tema sostenibilità e cibo su cui il nostro prodotto a marchio non teme rivali. Voglio ricordare l’impegno che ci siamo presi con i nostri soci e consumatori sia bloccando i prezzi dei nostri prodotti fino alla fine del mese di settembre e l’offerta di 10 dei nostri prodotti al prezzo di 10 euro (“Operazione Forza 10”). Il prezzo volutamente conveniente (sconto medio del 37% rispetto al prezzo normale) non deve distogliere dal valore dei singoli prodotti che hanno tutti la garanzia Coop, la tracciabilità e l’aggiunta di caratteristiche uniche (è il caso dell’antibiotic free o del controllo etico sulla filiera). Operazione peraltro molto apprezzata; le 10 referenze in 3 mesi hanno registrato vendite di 9,5 milioni di euro, con quantità doppie rispetto allo scorso anno, con punte di crescita del +300% o oltre. Continueremo a lavorare in questa direzione sia sull’offerta, potenziando l’assortimento con prodotti Coop avanzati e innovativi sul versante della qualità e della sostenibilità, convenienti ed accessibili alle fasce deboli della società. Ma ripenseremo anche i nostri punti vendita seguendo la logica delle nuove necessità mostrate dagli italiani: qui la scommessa non è offrire un servizio in più e mantenere lo status quo dell’offerta tradizionale, viceversa è rimettersi in gioco».
Nuovo Mondo, Nuova Europa
Un nuovo mondo (e una nuova Europa) si intravedono all’indomani della pandemia che, simile a uno tsunami, ha invaso e alterato le nostre vite generando un contraccolpo economico violentissimo e delineando al tempo stesso una traiettoria incerta e sospesa di futuro. Niente a che vedere con le crisi del recente passato e piuttosto paragonabile agli effetti generati dall’ultimo conflitto bellico, sull’altare del Covid si sono volatilizzati 12.500 miliardi di dollari di Pil mondiale in un anno, sono 170 i Paesi che subiranno una contrazione del Pil procapite nel 2020 (per l’Italia le ultime previsioni si attestano a un -9,5%), e solo nel 2023 (per i più pessimisti nel 2025) il nostro Paese ritornerà ai livelli precedenti la pandemia, peraltro a loro volta lontani dagli standard antecedenti l’ultima grande recessione. E se molti contano sul vaccino come spartiacque per la ripresa tanto da attribuirgli una sorta di valenza salvifica, fanno riflettere quegli 8 milioni di italiani che dichiarano di non volersi vaccinare e comunque di voler attenderne gli esiti.
A livello mondiale tutto lascia prevedere uno spostamento ad Oriente del baricentro economico e geopolitico del mondo (la Cina, la Russia e le altre economie asiatiche rispettivamente per il 71%, 42% e 40% della business community italiana vedranno rafforzato il proprio ruolo a livello mondiale) mentre le economie atlantiche sembrano destinate a perdere la loro centralità (il 44% degli executive italiani si attende un indebolimento del ruolo geopolitico e economico degli Usa e il 78 di quello europeo). Contemporaneamente però in maniera un po’ inattesa il Covid si è rivelato un formidabile agente aggregatore dei 27 Paesi membri dell’Ue, ha sancito la fine dell’austerity e avviato un piano di rilancio di ingenti proporzioni di cui l’Italia godrà in larga parte. Non a caso l’87% dei top manager intervistati nella survey “Italia 2021, il Next Normal degli italiani” dichiara imprescindibile l’appartenenza alla Ue per superare la fase attuale. E il 42% indica come ambiti prioritari a cui destinare le risorse europee il potenziamento dell’istruzione, seguono gli investimenti sul capitale umano (lavoro per il 36%, tecnologia e digitalizzazione a pari merito e quindi infrastrutture e sanità/salute).
I nuovi stili di vita degli italiani
In attesa che il Recovery Fund si concretizzi e benchè confortati dagli ammortizzatori sociali già messi in campo dal Governo, gli italiani si rivelano essere ancora oggi i più pessimisti d’Europa e in effetti insieme agli spagnoli registrano il più ampio peggioramento delle proprie condizioni di vita rispetto al 2019 (e non sembra andare meglio se le ultime previsioni confermano un recupero nel 2021 solo della metà dei posti di lavoro che perderemo nel 2020). Contemporaneamente però nel nostro Paese “solo” il 5% delle famiglie fino ad ora afferenti alla classe media prevede di scivolare nelle classi più basse nei prossimi anni: un dato comunque drammatico ma inferiore a quel 12% che ha subito analoga sorte durante la crisi economica globale del 2006/2008. D’altro canto il 38% pensa di dover far fronte nel 2021 a seri problemi economici e tra questi il 60% teme di dover intaccare i propri risparmi o di essere costretto a chiedere un aiuto economico a Governo, amici/parenti e banche. A farne le spese sono soprattutto le classi più fragili, i giovani, le donne, mentre c’è un 17% di italiani che prevede nel 2021 un miglioramento delle proprie condizioni economiche (si tratta prevalentemente di uomini dell’upper class).
Il Covid ha avuto inoltre anche l’effetto di una macchina del tempo sugli stili di vita degli italiani, trasportandoli avanti e indietro con estrema rapidità rispetto agli andamenti temporali abituali. Da un lato compare così l’Italia delle rinunce con l’arretramento del Pil procapite ritornato ai livelli di metà anni ’90 e la spesa in viaggi trascinata indietro di 45 anni ai livelli del 1975 o i consumi fuori casa arretrati di tre decenni, dall’altra c’è invece l’Italia che balza in avanti velocizzando dinamiche già in essere, ma mai così veloci. E’ questa l’Italia dello smartworking (+770% rispetto a un anno fa), dell’egrocery (+132%), della digitalizzazione a tappe forzate non solo nella sfera privata ma finalmente anche nelle attività professionali (lavoro appunto ma anche didattica, servizi, sanità) che genera una crescita stimata di questo segmento di mercato pari a circa 3 miliardi tra 2020 e 2021. Girando la sfera compare però anche un Paese dove si potrebbe arrivare nel 2021 a perdere 30.000 nascite scendendo così sotto la soglia psicologica dei 400.000 nati in un anno e anticipando di quasi un decennio il ritmo della denatalità. A rinunciare all’idea pianificata di avere un figlio a causa dell’emergenza sanitaria è il 36% dei nostri giovani (18/34 anni) a fronte ad esempio di un 17% dei francesi e addirittura di un 14% dei tedeschi. Non è la sola rinuncia importante: matrimoni, trasferimenti, acquisti di case e aperture di nuove attività figurano tra i progetti rinviati o cancellati e queste scelte di vita mancate hanno coinvolto in totale l’84% di italiani. Le disuguaglianze economiche viaggiano poi di pari passo con i disagi psichici e sociali a svantaggio delle fasce deboli: i ragazzi iperconnessi per i quali è maggiore il rischio hikikomori salgono nei primi sei mesi dell’anno di un +250% fino a toccare quota 1 milione, +119% le chiamate al numero antiviolenza di genere da marzo a giugno. Per curare le ferite ci vorrà tempo: un 36% degli executive italiani si aspetta nei prossimi 3/5 anni una società più rancorosa e violenta.
La vita in una bolla
Il risultato finale al netto delle retrocessioni e degli avanzamenti è la sensazione di vivere sospesi in una bolla. Costretti nel lockdown ma diffusa ancora oggi e persino domani. È la bolla digitale che crea cluster chiusi e autoreferenziali, la bolla della vita affettiva che si autodelimita (pur generando soddisfazione), gli spostamenti che diventano di corto raggio e la comfort zone della casa che rassicura. Tra le mura domestiche piuttosto che altrove ci si nutre (41% prevede di ridurre la spesa prevista nel prossimo anno alla voce ristoranti), ci si diverte (44% la quota di chi nel 2021 ridurrà la spesa per intrattenimenti vari fuori casa), si incontrano amici e familiari (o a casa propria o a casa loro). E se dovessero mancare affetti ci si adopera per riempire il vuoto: 3,5 milioni di italiani durante il lockdown o subito dopo hanno acquistato un animale da compagnia e 4.3 milioni pensano di farlo prossimamente. Da ultimo, l’elemento forse più insidioso è il restare prigionieri di bolle sociali e informative chiuse ed autoreferenziali, terreno fertile per l’informazione di parte e la proliferazione delle fake news. L’esplosione nell’uso dei social, il dilagare della fruizione di contenuti on demand, l’assenza di un confronto sociale ampio sono elementi che coinvolgono e coinvolgeranno una parte oramai sempre più ampia della popolazione (il 30% degli italiani nel 2021 aumenterà il tempo trascorso su internet e il 19% quello passato sui social).
Homemade, digital, safe e sostenibile il nuovo cibo degli italiani
La casa come salvagente a cui tenersi stretti fa il paio con un’altra costante che distingue ancora nel postcovid gli italiani dai cugini europei: il cibo. Alla spesa alimentare, pur nell’emergenza e in una evidente contrazione generalizzata degli acquisti, gli italiani non rinunciano e solo il 31% dichiara di voler acquistare prodotti di largo consumo confezionato più economici a fronte di un 37% della media europea; un dato decisamente inferiore al 50% registrato lo scorso anno e al 57% del 2013 (anno in cui eravamo in piena crisi economica con un Pil a -1,8%). E anche a emergenza sanitaria finita solo il 18% dice di voler acquistare prodotti più economici. Guardando dentro al carrello si nota una straordinaria inversione di tendenza rispetto alla fotografia scattata appena un anno fa dal RapportoCoop2019. Allora era fuga dai fornelli, un fenomeno che in realtà continuava in progressione costante tanto da dimezzare in 20 anni il tempo passato a cucinare ogni giorno ridotto allora a appena 37 minuti. Complice il lockdown invece gli italiani hanno rimesso le mani in pasta e anche nel postcovid il cook@home è una costante che spiega la forte crescita nelle vendite degli ingredienti base (+28.5% in GDO su base annua) a fronte della contrazione dei piatti pronti (-2,2%). Supportati o meno da aiuti tecnologici (la vendita dei robot da cucina ha fatto registrare a giugno +111% rispetto all’anno prima), il 30% dedicherà ancora più tempo alla preparazione del cibo e il 33% sperimenterà di più. 1 su 3 lo farà per “mangiare cose salutari”, ma c’è anche un 16% che lo ritiene un modo per mettersi al riparo da possibili occasioni di contagio. La preparazione domestica dei cibi è probabilmente anche la nuova strategia degli italiani per non rinunciare alla qualità e contemporaneamente alleggerire il proprio budget familiare.
Nella bolla si accorcia anche la filiera del cibo e per un italiano su 2 l’italianità e la provenienza dal proprio territorio acquistano ancora più importanza di quanta ne avessero in periodo precovid dove già godevano di ampia popolarità. E sempre per questioni di sicurezza nell’estate appena trascorsa abbiamo assistito a una vera e propria rivincita del food confezionato che cresce ad un ritmo più che doppio rispetto all’intero comparto alimentare se paragonato a un anno fa: +2,3% contro +0,5% (giugno-metà agosto 2020). Il packaging protettivo e avvolgente sembra in questo caso fare la differenza in tutti i comparti: l’ortofrutta e persino i salumi e latticini. Mentre guardando i carrelli sempre nell’estate riacquista forza il gourmet (+16.9%), l’etnico (+15,4%) e il vegan (+6,9%).
Dopo il boom del lockdown non accenna a diminuire nemmeno la corsa all’efood. A fianco dell’ecommerce puro però gli italiani sembrano voler scegliere soluzioni miste; il click&collect ad esempio passa dal 7.2% delle vendite on line del 2019 al 15,6% nella fase successiva alla pandemia. E c’è anche chi (è il 42%) ritiene comunque importante il consiglio del negoziante/addetto al banco a riprova che la parola chiave sembra essere sempre più la multicanalità. A costituire un deterrente è il caro prezzo dell’online: +25% rispetto al carrello fisico (marzo-giugno 2020). Un divario di prezzo diminuito rispetto al 2019 quando si attestava su un +35%, ma comunque tale da far sì che la spesa digitale sia un’abitudine diffusa tra le famiglie con redditi medio alti: la quota di acquirenti egrocery passa dal 39% dei ceti popolari al 53% della upper class. E sarà ancora quest’ultima a trainare la domanda nel futuro prossimo (lo dichiara il 43%).
E tra le costanti che il Covid non ha spazzato via riemerge con forza l’attenzione prestata dagli italiani ai temi della sostenibilità. Se è vero che per il 35% dei manager intervistati nella survey “Italia 2021, il Next Normal degli italiani” lo sviluppo della green economy è una delle tendenze che caratterizzeranno in positivo il postcovid, questa sorta di nazionale coscienza verde si traduce in acquisti correlati. Nel confronto internazionale non c’è gara. Il 27% degli abitanti del Bel Paese acquista prodotti sostenibili/ecofriendly di più rispetto a prima del Covid (i francesi e gli spagnoli seguono distanziati con un 18% in percentuale); il 21% -in questo caso appaiati agli spagnoli- ha aumentato gli acquisti in punti vendita che promuovono prodotti sostenibili (contro un 17% degli americani e un 15% dei tedeschi) e il 20% acquista di più da aziende che operano nel rispetto dei lavoratori. Degno di considerazione anche quell’1.700.000 di italiani che sperimenteranno gli acquisti green per la prima volta a emergenza finita.
«Coop fa parte con orgoglio di quella filiera agroalimentare che ha saputo reagire positivamente alla crisi del Covid19 e grazie all’impegno dei nostri colleghi di punto vendita ha fornito un servizio basilare alla collettività», ha concluso Marco Pedroni, Presidente Coop Italia, «Non ci siamo certo arricchiti, i dati delle vendite di marzo (con picchi anche del +20%) si sono successivamente ridimensionati, come è naturale. A giugno e luglio poi gli andamenti della grande distribuzione sono stati negativi, mentre ad agosto si registra una tenuta. Per la sicurezza e per il sostegno alle famiglie abbiamo fatto investimenti aggiuntivi di oltre 100 milioni in questi mesi. Come Coop prevediamo di chiudere l’anno con un leggero miglioramento del fatturato stimato in un + 1% e dunque un valore superiore a 13 miliardi di euro nella sola parte retail. Siamo in una fase in cui si riducono i consumi per le difficoltà economiche di tante famiglie, ma anche per la preoccupazione sul futuro, tanto è vero che registriamo una forte crescita del risparmio. L’alimentare è al centro dell’attenzione delle famiglie, ma anche nel nostro settore c’è la propensione ad avere un carrello più leggero. Ci preoccupa la polarizzazione sociale per l’ingiustizia che cresce e per i suoi effetti sui consumi evidenziata anche nel Rapporto. Il rischio che la pandemia spinga verso soluzioni semplificate e meno sostenibili è reale, anche nei consumi di una parte delle famiglie. Confermiamo la nostra strategia che punta a prodotti buoni e sostenibili accessibili a tutti, non solo alle fasce che stanno meglio. In questa fase si mescolano incertezza sul futuro e speranze nuove; la ripresa della domanda interna e dei consumi è fondamentale, non basta l’export. Crediamo che le istituzioni e il Governo, sulla spinta anche delle risorse UE, debbano essere protagoniste di uno straordinario piano di rilancio. Un piano che favorisca gli investimenti privati e pubblici per ammodernare il Paese, che defiscalizzi il lavoro, che sia di sostegno alla svolta “green”. Per quanto ci riguarda più direttamente crediamo che sarebbe importante una fiscalità e un sostegno alle produzioni e ai consumi verdi. Invece della plastic-tax che è un errore, azzeriamo l’IVA su chi usa plastica riciclata o per chi adotta soluzioni a basse emissioni».
La versione integrale del Rapporto Coop 2020 è visionabile e scaricabile qui
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