Salute

Le parole sono importanti, anche in oncologia

Favorire la creazione di una lingua comune tra specialisti, pazienti e caregiver, cercando un punto d’incontro tra il linguaggio tecnico del medico e quello ad alto tasso emotivo dei pazienti: è l’obiettivo della campagna “Il senso delle parole”. Fino all’8 novembre consultazione online per indicare i significati e la risonanza associate a 13 parole rilevanti della relazione di cura. Dalla consultazione prenderà forma un “Dizionario Emozionale”, un Atlante delle parole chiave da diffondere nei Centri oncologici e nelle Associazioni

di Redazione

Le parole sono importanti. Ma non sempre tra chi le pronuncia e chi le ascolta hanno lo stesso senso. Il medico parla di “diagnosi” e il paziente traduce “paura”; il medico dice “recidiva” e il paziente recepisce “angoscia”. Quando lo specialista accenna al “trattamento”, al paziente viene in mente “sopportazione”. Sono solo alcuni esempi di come le parole chiave in oncologia e onco-ematologia possono risuonare diversamente e vengano decodificate in modo differente da chi cura e da chi è curato. Lo specialista concentrato sulla precisione e la neutralità tecnica, il paziente condizionato da una forte componente emotiva.

Questa “interruzione comunicativa” è uno degli ostacoli che si frappongono alla comprensione reciproca e alla qualità della relazione medico-paziente, rallentando la piena comprensione dei bisogni psicosociali dei pazienti oncologici e onco-ematologici, che spesso emergono attraverso le sfumature del linguaggio.

Favorire la costruzione di una lingua comune in oncologia è l’obiettivo de “Il senso delle parole – Un’altra comunicazione è possibile” una campagna di comunicazione che risponde all’esigenza di migliorare la qualità delle relazioni tra persone con tumore, medici e caregiver proprio a partire dalla parola, elemento chiave della relazione di cura.

La campagna è promossa da Takeda Italia in partnership con Ail – Associazione Italiana contro le Leucemie-Linfomi e Mieloma Onlus; AipaSim – Associazione Italiana Pazienti Sindrome Mielodisplastica; Salute Donna Onlus, Sipo – Società Italiana di Psico-Oncologia e Walce onlus – Women Against Lung Cancer in Europe e con il patrocinio di Fondazione Aiom.

Fino all’8 novembre, sulla piattaforma web www.ilsensodelleparole.it pazienti, caregiver e specialisti potranno indicare i significati che associano a un gruppo di 13 vocaboli importanti che articolano la relazione di cura – prevenzione, diagnosi, tumore, prognosi, percorso, intervento, PET, metastasi, trattamento, remissione, recidiva, cronicizzazione, ricerca.

A mappare i vocaboli sono stati mappati un gruppo di ricerca guidato da Giuseppe Antonelli, professore ordinario di Linguistica Italiana all’Università degli Studi di Pavia, sulla base dell’analisi del sentiment in rete, di un focus group con medici e pazienti e di criteri lessicologici e sociolinguistici.
Dalla consultazione scaturirà, sotto la supervisione di un Board tecnico-scientifico, il Dizionario Emozionale, un Atlante delle parole chiave in oncologia con i significati condivisi tra specialisti e pazienti da diffondere nei Centri oncologici e nelle sezioni delle Associazioni. Insieme al Dizionario Emozionale, punto di arrivo della campagna sarà la Carta dei Bisogni Psicosociali sottoscritta da tutti i partner del progetto per invitare tutta la comunità oncologica a favorire un nuovo stile di comunicazione e una maggiore attenzione ai bisogni psicosociali dei pazienti attraverso un miglioramento della qualità della relazione e del linguaggio.

«Le incomprensioni tra medico e paziente possono avere ricadute negative sulle cure oltre che sulla relazione», afferma il professor Giuseppe Antonelli, «poter collaborare tutti insieme, linguisti, clinici, pazienti, associazioni dei pazienti, sociologi, psicologi, è un’ottima occasione per cominciare a colmare quel ritardo tra ricerca di una lingua comune e ricerca terapeutica. Da qui l’originalità dell’iniziativa “Il senso delle parole” voluta da Takeda Italia e l’idea di arrivare a definire un vocabolario condiviso, capace di contribuire al miglioramento della relazione medico-paziente grazie ad una collaborazione, anche linguistica, fondata sulla fiducia e l’empatia».

Le parole tra medico e paziente sono considerate a tutti gli effetti come “momento di cura” (Legge 219 22/12/2017), eppure non sempre c’è concordanza tra ciò che dice il medico e quanto percepito dal paziente specie quando si tratta di comunicare la diagnosi e il percorso terapeutico.
Insieme ai 13 vocaboli il gruppo di ricerca ha analizzato le rispettive risonanze emerse nella fase preliminare di ricerca. Tra le possibili risonanze nei pazienti oncologici evidenziate, vi è quella della parola “morte” quando il medico pronuncia la parola “tumore”, o “sopravvivenza” in relazione alla parola remissione. Si tratta di significati che saranno approfonditi e verificati attraverso la consultazione che coinvolgerà pazienti e specialisti non solo sul web, ma anche tramite alcuni tavoli di confronto tra oncologi, oncoematologi e rappresentanti delle associazioni dei pazienti e un questionario che sarà distribuito miratamente sempre grazie alle associazioni dei medici e dei pazienti.

«Nella pratica clinica, il momento della diagnosi è uno shock, un trauma fortissimo. Il paziente è stordito, invaso da una carica negativa che aumenta se il medico non propone le diverse opzioni terapeutiche e il percorso da seguire in maniera graduale per permettere al paziente e ai famigliari di metabolizzare la nuova drammatica realtà. Anche per il medico la comunicazione della diagnosi può comportare problemi, soprattutto se si tratta di dare una “cattiva” notizia, perché impreparato culturalmente a sopportare l’impatto emotivo dell’altro», osserva Sergio Amadori, presidente nazionale Ail. «La parola che si associa a diagnosi nella mente e nella psiche del paziente è “paura”. Legata all’incertezza dell’esito, alla precarietà della sua vita, allo sconvolgimento emotivo, relazionale, sociale e lavorativo che comporta una diagnosi di tumore del sangue per sé stesso e per la sua famiglia. In questi casi il medico deve scegliere e curare le parole che dirà con grande attenzione, solo così sarà in grado di curare globalmente il paziente»
«Il medico e il paziente intendono la parola tumore in maniera diversa, in quanto il medico sa che esistono tumori differenti per stadio e tipologia, con un’aspettativa di vita differente e con prospettive di cura differenti, e questa è la conoscenza del medico» osserva Silvia Novello, presidente di Walce onlus. «Il paziente interpreta la parola tumore come un tutt’uno e, in generale, come un termine negativo, nel senso che per lui un tumore al polmone è uguale a un tumore al pancreas o alla mammella, non distinguendo gli stadi e le sottoclassificazioni, cosa che invece fa il medico. Per il paziente l’associazione di tumore con la parola morte è inevitabile, anche se spesso conseguenza della sopra citata interpretazione della parola tumore: non facendo il paziente una distinzione fra diversi tipi e stadi di tumore, e diversi approcci alla malattia stessa, inevitabilmente l’associa alla parola morte».

Con questa iniziativa Takeda Italia conferma la propria scelta di essere al fianco dei pazienti oncologici e oncoematologici, non solo per quanto riguarda gli aspetti strettamente terapeutici, sulla base della comune aspirazione: "curare il cancro".
«In Takeda ci chiediamo sempre cosa possiamo fare di più per i pazienti oltre che mettere a loro disposizione ricerca e innovazione. Ed è così che è nata la campagna “Il senso delle parole” per dare un contributo concreto a tutti coloro che ogni giorno affrontano una patologia oncologica», commenta Annarita Egidi, Oncology Country Head di Takeda Italia. Da qui, la convinzione che fosse necessario coinvolgere i principali interlocutori coinvolti nel percorso assistenziale dei pazienti per approfondire il sentito, le emozioni e i loro bisogni nell’intento di trovare una lingua comune. Non sempre, infatti, c’è una piena comprensione da parte del paziente di ciò che gli accade e spesso le parole, normali per il clinico, scatenano sul paziente effetti devastanti. Conoscere cosa genera una parola nell’animo e nella mente del paziente è fondamentale affinché si possa gestire meglio la relazione medico-paziente e aiutare le persone che affrontano questo complesso e difficile percorso di cura».

In apertura foto da Pixabay

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.