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Gli alunni con disabilità? A Trento sono già a scuola

In classe fra pochi giorni rientreranno anche gli alunni con disabilità o con bisogni educativi speciali. Ma di loro si parla meno di zero, se non per dire che saranno esenti dall’obbligo di indossare le mascherine. Eppure la scuola italiana è costituzionalmente “inclusiva”. L'esperienza dell'IC Trento 6, che ha riportato a scuola alunni con disabilità e Bes già in estate. «Abbiamo dovuto ripensare tutto. La cosa positiva è che siamo obbligati a giocarci l’inclusione dentro il gruppo classe per davvero, non c’è alternativa», dice Paola Pasqualin, la dirigente

di Sara De Carli

All’aula per il sostegno, là dove ancora sopravviveva, molte scuole quest’anno hanno giocoforza dovuto rinunciare. «La cosa positiva è che quest'anno siamo tutti obbligati a giocarci l’inclusione dentro il gruppo classe per davvero, non c’è alternativa», dice Paola Pasqualin, dirigente dell’IC Trento 6. La sua scuola ha un numero importante di alunni con certificazione di disabilità o BES: «Lavoriamo per creare le condizioni migliori per tutti, affinché ognuno possa fare il massimo di quel che può fare. Cerchiamo di andare oltre la certificazione, che spesso rischia di essere un’etichetta, in collaborazione sia con il servizio sociale sia con l’azienda sanitaria, cerchiamo di entrare nelle singole storie e di costruire insieme percorsi adeguati. E più che sull’1 a 1 da anni lavoriamo attraverso attività di gruppo».

A scuola fra pochi giorni rientreranno anche gli alunni con disabilità o con bisogni educativi particolari. Ma di loro si parla meno di zero, se non per dire che saranno esenti dall’obbligo di indossare le mascherine. Eppure la scuola italiana è costituzionalmente “inclusiva”. C’è – è vero – un passaggio delle Linee guida che parla della «priorità irrinunciabile» di «garantire, adottando tutte le misure organizzative ordinarie e straordinarie possibili, sentite le famiglie e le associazioni per le persone con disabilità, la presenza quotidiana a scuola degli alunni con Bisogni educativi speciali, in particolar modo di quelli con disabilità, in una dimensione inclusiva vera e partecipata» e opportunamente afferma che «per alcune tipologie di disabilità, sarà opportuno studiare accomodamenti ragionevoli». Ma di tutto ciò (soprattutto degli accomodamenti ragionevoli) per ora, nel dibattito pubblico, non c’è traccia.

«È chiaro che non ci possiamo accontentare di indicazioni su mascherine e dispositivi di protezione ed eventuali eccezioni o criteri. L’inclusione – reale, quotidiana, sostenibile – richiede molti e variegati accorgimenti, accomodamenti ragionevoli appunto, tarati e adattati alle specifiche e personalissime esigenze», diceva già a fine giugno Vincenzo Falabella, presidente della Fish. La Società italiana di Pedagogia speciale (Sipes), presieduta da Luigi D’Alonzo, docente di Pedagogia speciale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a inizio agosto ha pubblicato le Linee di indirizzo per una scuola inclusiva nell'as 2020/21: «indicazioni operative concrete per operare bene a scuola rispettando i bisogni di tutti e di ciascuno, anche degli allievi con disabilità o con problemi», una sorta di «base irrinunciabile» da cui partire «per meglio rispondere ai bisogni del contesto scolastico, a cui la comunità educante dovrà fare inevitabilmente riferimento», «per prevenire scelte che potrebbero condurre a pratiche di esclusione o, addirittura, di totale abbandono, anche se non del tutto cosciente, di alcuni alunni e alunne che incontrano difficoltà di apprendimento e ostacoli alla partecipazione».

La didattica a distanza è stata poco efficace per gli alunni più fragili, al punto che anche la ministra Lucia Azzolina a fine aprile aveva rivolto un appello ai docenti per “recuperare”. Secondo un'indagine condotta in aprile da Università di Bolzano, Università LUMSA, Università di Trento e Fondazione Agnelli un alunno con disabilità su tre era di fatto escluso dalla DaD: o perché si è rivelata inefficace (26,2%) o perché la DaD non era nemmeno ipotizzabile (10,3%). «Molti di questi alunni durante il lockdown sono stati irraggiungibili, per motivi diversi», ammette la dirigente della scuola di Trento, Paola Pasqualin. «Per alcuni gli strumenti della DaD non erano efficaci, per altri i problemi erano legati più al contesto familiare».

Fatto sta che l’IC Trento 6, quest’estate, quei ragazzi "invisibili" li ha riconvocati a scuola. «In piccoli gruppi da cinque, per quattro settimane, con 5 gruppi alla primaria e 3 alle medie. Hanno fatto attività all’aperto, per recuperare soprattutto sul piano relazionale e sociale, dopo l’isolamento del lockdown. Sono stati seguiti dagli educatori, con le ore che non avevamo utilizzato durante la chiusura, con una progettazione pensata insieme agli insegnanti, prevedeva anche alcuni momenti di lavoro più didattico», racconta la dirigente.

E quest’anno? «Abbiamo dovuto rivedere tutti i percorsi perché cambiano condizioni organizzative. Tutte le attività trasversali, i laboratori, i gruppi di progetto che mischiavano alunni di classi diverse sono state accantonate. Il fulcro del lavoro sarà il gruppo classe. Alle medie abbiamo scelto di rimescolare tutte le seconde, creando gruppi di 15-18 alunni. Le prime sono state formate con numeri più piccoli. Abbiamo scelto di mantenere unite solo le terze, perché sono al termine di un percorso». Classi meno numerose significa pià aule e più docenti: «C’è un plesso che doveva essere dimesso l’estate scorsa, il Comune ci ha permesso di tenerlo attivo. E ci sono stati assegnati sia più insegnanti, anche di sostegno, sia più educatori: avremo 200 docenti e oltre 430 ore di educatori a regime», dice la preside. «Con queste risorse ci sperimenteremo in una didattica che coinvolga tutti ma che tenga conto dei bisogni di ciascuno. Evidentemente farlo con 15/16 alunni è un’altra cosa».

Photo by Nathan Dumlao on Unsplash

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