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Nella pelle del lupo: imparare la mediazione politica da San Francesco

Tra i più noti episodi della vita di San Francesco c'è l'incontro con il lupo che terrorizzava la città di Gubbio. La nostra sensibilità ci spinge verso una lettura ecologica dell'episodio che, invece, ha al centro una questione politica fondamentale: l'inclusione dell'escluso e il patto di reciprocità e convivenza

di Marco Dotti

Chi è il lupo? Il nemico, l'estraneo, un mostro, il reietto o, semplicemente, l'altro, l'escluso?

Figura del terrore e del panico ma anche, insegnava Mircea Eliade, della guerra civile, quindi del linciaggio e del rancore. Per Hobbes, quella del lupo era la condizione dello stato di natura: bellum omnium contra omnes. Uno stato di natura che non è dietro, ma davanti a noi. Condizione brutale nella quale, in ogni istante, il consesso umano potrebbe ricadere.

Da qui il bisogno di sicurezza e di Stato. Ma il serpente si morde la coda, perché paura genera paura e mura troppo alte non difendono una città: la rinserrano.


Frate cappuccino, rettore dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Assisi e docente di Teologia dogmatica e Francescanesimo all’Istituto teologico della città umbra, nel suo Francesco e il lupo. Strategie politiche per una società più inclusiva (Aboca edizioni, 2020) Pietro Maranesi parla del lupo, di politica, di dinamiche del conflitto e di stregie di inclusione.

Padre Maranesi parte da un'analisi illuminante dell'episodio, narrato nei Fioretti, dell'incontro tra Francesco e il lupo che terrorizzava la città Gubbio. Accatto alla predica agli uccelli e all'esperienza nel lazzaretto, tra i lebbrosi, l'incontro tra il Santo e il lupo è sicuramente uno di quei "racconti d'epoca" che hanno segnato il nostro immaginario.

Ma la sua attualizzazione, in accordo con l'accresciuta sensibilità ambientale dei nostri anni, rischia di mettere in secondo piano una valenza che, proprio nella logica nel racconto – che Maranesi affronta con chiarezza e precisione – è invece cruciale: al centro dell'episodio dell'incontro tra San Francesco e il lupo, infatti, non c'è una questione ecologica,ma una questione politica.

La doppia conversione operata dal Santo – conversione del lupo, conversione degli abitanti di Gubbio – è un'opera di sottile mediazione strategica e di delicata intelligenza tattica.

La vicenda viene letta da Maranesi attraverso una precisa chiave: dopo la conversione, Francesco sceglie di «restare dentro i processi sociali», pur non vivendo più dentro le mura della città. Questo rapporto, nel Testamento, è indicato da una precisa espressione:«exivi de saeculo». Quella di Francesco non fu «una scelta di isolamento religioso mediante l'entrata in monastero o l'andata in un luogo eremitico», piuttosto fu un «riposizionamento religioso-politico all'interno del circuito cittadino». Francesco, in altri termini, uscì dalla città, ma non la abbandono. Si mise "fuori le mura", tra gli esclusi, per poter divenire mediatore tra le nuove istanze sociali in un contesto comunale che stava rapidamente mutando.

La vicenda del lupo di Gubbio, l'escluso per eccellenza, la fonte di un'ostilità potenzialmente senza fine, mostra la capacità di Francesco di saper creare umanit anche all'interno di un clima sociale paralizzato dalla paura.

Entrare nel conflitto, dire parole franche e mai consolatorie a entrambe le parti, creare uno spazio politico per il riconoscimento reciproco e, infine, sancirlo in un patto.

Nulla di esterno poteva sanzionare quel patto, fondato solo e soltato sulla fedeltà quotidiana alla promessa. Ma proprio l'impegno quotidiano per sostenere questa promessa – spiega Maranesi nella sua lettura, davvero illuminante per l'oggi – permetterà al lupo di uscire dall'ordine rassegnato dell'esistenza e agli eugubini di trasformare la paura in risorsa rinnovando le basi della propria comunità.

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