Economia

Dal Terzo settore per le persone, al Terzo settore con le persone

Senza un nuovo “patto di fiducia” fra cittadini, società civile, nelle sue forme organizzate, e Istituzioni rischiamo di “subire” cambiamenti culturali ed economici. È giunto il momento di reclamare per sé un sano protagonismo per scongiurare lo spettro di un passato più volte avvezzo a considerare il Terzo Settore una timida ancella dello Stato.

di Gianfranco Piombaroli* e Angelo Palmieri

L’attuale momento di crisi segna la netta separazione da vecchi frame concettuali nel mentre offre spunti interessanti che portano ad attribuire significati nuovi alla dimensione della cura e del con-vivere sociale nell’ambito dei nostri territori e comunità. Nel momento storico che viviamo, caratterizzato da forti mutamenti socioeconomici-culturali-politici, urge ripensare con ferma decisione a nuovi modelli culturali, con l’obiettivo di rifondare eticamente le diverse forme dell’agire umano. Il Terzo Settore, nella sua pluralità di soggetti, dovrà interrogarsi su quali strumenti interpretativi e pensare a quali strategie adottare per rilanciare le comunità locali e la rete densa di legami sociali. Questa consapevolezza comporta ovviamente un cambio di prospettiva, di paradigma. Occorre adeguare il proprio sguardo a un modo nuovo di interpretare la realtà cogliendo alcuni segni del nostro tempo. È su questo crinale che si gioca il futuro del Terzo settore, ovvero nella capacità di scrutare il tempo, il «qui e ora», per essere motore dinamico e anima propulsiva.

  • Come va affrontata la quarta rivoluzione industriale? Siamo pronti ad interpretarne il nuovo impatto economico in uno alle relative implicazioni di carattere etico? Con quali strumenti? Sono solo alcune domande di un fenomeno ben più articolato e complesso. Di fronte alla quarta rivoluzione di inizio secolo, tesa a superare una lettura unicamente strumentale dell’uso delle tecnologie, tipica della Terza Rivoluzione, siamo pronti a mettere in atto modalità nuove adattive rispetto a pattern culturali e mappe cognitive delle persone significativamente modificati? Saremo in grado di declinare il tema della digitalizzazione secondo una prospettiva di umanesimo? Ecco, dunque, un primo segno che interpella il variegato mondo del Terzo Settore: adoperarsi per prepararsi alla digitalizzazione della socialità. La digitalizzazione non ha cambiato solo i modi di produzione; persino i modi di regolazione dei rapporti saranno d’ora in poi diversi, così come diverso sarà il modo di definire il principio di verità. Siamo più che convinti che non sia più rinviabile il tema di una visione strategica sulle tematiche digitali, ma il punto di domanda è: quali competenze servono per rispondere in maniera inedita a nuove forme di povertà e vecchie fragilità?
  • Un’altra sfida non potrà non riguardare l’attuale organizzazione interna del lavoro. È importante superare una concezione tayloristica del lavoro a vantaggio di un modello olocratico – adoperiamo il termine coniato da Brian Robertson – che punta a ribaltare il modello di autorità proprio del prima sistema, fornendo agli Enti del Terzo Settore l’opportunità di trarre vantaggio dalle competenze dei suoi componenti in un modo altrimenti impossibile. Questo nuovo imprinting potrebbe finalmente superare alcuni vizi, ben riassunti nel detto: è così che l’abbiamo “sempre fatto”.

Queste prime sfide, brevemente enunciate, ci proiettano ad essere parte di un “terzo settore avanzato”, cercando di trovare un equilibrio tra gli ambiti presidiati da sempre (sanità, cura, istruzione, accoglienza) e le sfide della modernità e dell’emergenza attuale, nel difficile compito di doversi necessariamente adeguare al futuro, pur mantenendo i valori e le tradizioni della comunità e del territorio in cui operiamo. Contro il tentativo, piuttosto in voga in questo periodo, di una ristatalizzazione del terzo settore è opportuno adoperarsi per sostenere con forza la necessità di una terza via, posizionata tra statalismo e mercatismo: la sussidiarietà circolare. La riforma del terzo settore, ancora tra “potenza ed atto” per via dei suoi decreti attuativi, sancisce la costituzionalizzazione del civile che supera il modello dicotomico pubblico-privato.

Dunque, è auspicabile un cambio di visione (prima di tutto culturale). In questa prospettiva nuova, si inserisce il tema dell’innovazione nei suoi molteplici aspetti, includendo le politiche del lavoro, le politiche urbane e le politiche sociali.

  • Crediamo si possa inaugurare una grande stagione di innovazione incentrata sui beni di comunità, intesi come nuove forme di governance partecipata a base territoriale, che non solo costituiscano una terza via tra statalismo e mercatismo, ma aprano spazi concreti di esercizio di condivisione e corresponsabilità democratica. Solo un’operazione di innovazione culturale ed istituzionale del nostro welfare potrà aiutarci a non insabbiarci in operazioni meramente ragionieristiche, di vincolo finanziario, con cui pure dovremo fare i conti; dovremo impedire di consegnare il welfare nelle mani del “non profit speculativo”. Senza una progettazione sociale, partecipata e locale, non c’è prospettiva. Siamo obbligati a pensare al terzo settore in chiave generativa e quindi inclusiva.
  • Un’ultima considerazione. Vanno decisamente avviati nuovi processi partecipativi dal basso con l’intento di riprogettare servizi di welfare e promuovere una nuova economia con la comunità atta a favorire una reale giustizia sociale e un benessere diffuso. Il nuovo approccio, come si va asserendo da qualche tempo, deve aver di mira la progettazione con le persone e non solo per le persone, una sfida che da anni perseguiamo. Il Terzo settore, per le sue origini storiche e culturali, non può che avere come cardine la “persona umana”.
  • Ecco la sfida nella sfida: interpretare un nuovo modo di fare impresa a forte impatto sociale nella dimensione di un nuovo sociale fatto di relazioni, risorse e professionalità diverse, mettersi in rete e generare una nuova economia, in cui le persone portatrici di interesse siano al centro dell’azione e dei processi decisionali; non facile ma possibile se partiamo dalla costruzione di legami basati sulla fiducia. È tempo di ristabilire attenzioni antiche quali la mutualità e la solidarietà: le nostre organizzazioni dovranno lasciarsi ispirare da nuove prassi operative capaci di superare la logica della prestazione, tipica di un welfare paternalistico, a vantaggio di una logica che sappia privilegiare la costruzione di indissolubili legami sociali.

Senza un nuovo “patto di fiducia” fra cittadini, società civile, nelle sue forme organizzate, e Istituzioni rischiamo di “subire” cambiamenti culturali ed economici. È giunto il momento di reclamare per sé un sano protagonismo per scongiurare lo spettro di un passato più volte avvezzo a considerare il Terzo settore una timida ancella dello Stato.


*presidente della cooperativa sociale Polis e del Consorzio Auriga (Perugia) **sociologo

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.