Politica

Becchetti: «Autostrade? La nazionalizzazione è un segnale forte e doveroso»

Il Governo ha trovato l'accordo con i Benetton. Autostrade per l'Italia sarà public company, con il 51% del capitale pubblico. «Una conclusione inevitabile dopo il crollo del ponte»”, sottolinea l'economista, «ma anche la crisi Covid19 in tutta Europa porterà a un maggiore intervento pubblico nell'economia»

di Lorenzo Maria Alvaro

Dopo una maratona notturna del consiglio dei Ministri terminato all’alba c'è stata la svolta nella tormentata vicenda della società Autostrade (Aspi), che di qui ad un anno, un anno e mezzo potrebbe diventare una public company quotata in Borsa. L’idea è nata dall'interlocuzione tra Atlantia e il ministro dell'Economia Gualtieri ed alla fine i Benetton hanno accettato tutte le condizioni. Sul tavolo c'è l'ingresso di Cassa Depositi e Prestiti direttamente in Atlantia con un investimento di circa 4 miliardi. Il ruolo dei Benetton verrà ridimensionato con una manovra in due tempi: il primo passo è rappresentato da un «immediato» aumento di capitale di Aspi (che ha certamente bisogno di nuove risorse visto che quest' anno causa Covid perderà circa un quarto dei propri ricavi, 1 miliardo su 4) e che verrebbe sottoscritto da Cdp e altre istituzioni finanziarie che in questo modo arriveranno al 51% del capitale; quindi Aspi uscirà da Atlantia e tempo sei mesi-un anno verrà quotata in Borsa, con un ampio flottante (anche superiore al 50%) trasformandosi di fatto in public company. Di fatto si tratta di una nazionalizzazione della società autostrade. Ne abbiamo parlato con l'economista Leonardo Becchetti.



Che segnale è quello che il Governo sta dando con questo accordo con Benetton?
Un segnale forte che ci voleva ma senza esagerare nel desiderio di “punizione” o di “vendetta”. La tragedia del ponte Morandi doveva necessariamente essere l’occasione per uscire dalla subordinazione dello stato al concessionario (scarsi investimenti, tariffe elevate, profitti d’oro). Ma atteggiamenti esageratamente punitivi sarebbero stati controproducenti creando contenziosi infiniti e danni anche ai contribuenti

A fronte della tragedia del Ponte Morandi si era parlato di revoca delle concessioni. Una posizione dura a fronte di una gestione disastrosa. Oggi invece c'è un accordo che permetterà ad Atlantia di uscire gradualmente da Aspi. Cosa significa?
In una trattativa c’è sempre un poliziotto buono e un poliziotto cattivo. E poi un accordo nel mezzo. Minacciare le conseguenze più estreme è servito per raggiungere quest’accordo. L’obiettivo non è punire un’azienda importante del Paese, i suoi lavoratori e i suoi azionisti ma quello di riequilibrare l’interesse dei cittadini e del gestore in materia di un’infrastruttura chiave come le nostre autostrade

Dopo Alitalia anche Autostrade torna statale. Dopo l'epoca delle privatizzazioni IRI tra gli anni 80 e la fine degli anni 90, sembra si stia tornando indietro. Come va interpretato questo cambiamento?
L’essere pubblico o privato regolamentato (o anche privato tout court) non è sinonimo di buona o di cattiva gestione. La storia è piena di gestioni oculate e di gestioni invece fallimentari per ciascuna delle diverse “specie” giuridiche. Se la patologia del privato regolamentato è la “cattura del regolatore” (puntualmente accaduta nel caso di Aspi) anche la gestione pubblica è soggetta alle sue malattie. Ma l’inefficienza e la cattiva gestione non sono un destino ineluttabile della gestione pubblica. Se diciamo Alitalia e se diciamo Cassa Depositi e Prestiti ci vengono in mente storie ed esiti completamente differenti.

È solo la reazione del governo alla tragedia del crollo oppure, come sembra, questa del ritorno alle nazionalizzazioni è una strada che, anche in Europa, sarà intrapresa massicciamente per fronteggiare la crisi post Covid19?
Che il pendolo vada leggermente in direzione di un maggior intervento pubblico dopo il COVID-19 non c’è dubbio. Ci siamo tutti accorti che il mondo non va avanti da solo e quindi ciò che ci viene chiesto è solo di vivere i nostri “spiriti animali” come direbbe Keynes. Esistono problemi delicati legati a beni pubblici e rischi globali che richiedono una presenza pubblica vigile ed attenta. Questo non deve voler dire nazionalizzazione dell’economia soprattutto laddove non esistono interessi o risorse strategiche. Vedo piuttosto come ruolo migliore dello Stato quello di essere levatore delle energie della società civile. Fermo restando che laddove si parla di infrastrutture o di ambiti dove il mercato fallisce o non basta per assicurare la realizzazione di opere essenziali il ruolo dello stato è fondamentale

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.