Non profit
Contratto di servizio Rai: la parola al Terzo Settore
Prima audizione tra il Ministro Gasparri, il Pres. Baldassarre e i rappresentanti del Terzo settore. In gioco quale società italiana vedremo sui teleschermi. Le proposte del Forum
ROMA. A sei mesi dalla scadenza del contratto di servizio Rai, si apre il dibattito sui contenuti del prossimo accordo. Lo prevede, infatti, il regolamento del contratto 1999-2002, che scade il prossimo dicembre.
Che i termini per avviare la discussione siano stati rispettati è di per sé la prima novità.
Ed è una novità anche la presenza di alcuni rappresentanti del terzo settore a queste prime audizioni con il Ministro Gasparri e il presidente Baldassarre .
Sull’idea di “comunicazione sociale” e sull’Italia che si vorrebbe vedere sugli schermi della televisione pubblica si sono espressi Edo Patriarca, del Forum permanente del terzo settore, e Ilaria Borletti, del Summit della solidarietà.
“La “comunicazione sociale” rientra nella definizione dei diritti di terza e quarta generazione- ha esordito Patriarca – Il diritto di accesso alle informazioni ma anche il diritto di utilizzare la comunicazione per far crescere la società civile”.
Al presidente Baldassarre che ribadiva la volontà della Rai di impegnarsi nella comunicazione sul sociale e quella culturale, pronta a mettere in discussione anche i vecchi linguaggi televisivi, Patriarca nel suo intervento ha risposto con alcuni possibili suggerimenti in questa direzione.
“Su questi temi già è stata avviata un’ottima esperienza di collaborazione tra Rai e terzo settore, e precisamente nell’ambito della sede permanente di confronto con il Segretariato Sociale, a Torino”, è stata la prima osservazione del portavoce del Forum per ciò che si potrebbe fare nel nuovo dialogo con Viale Mazzini.
Entrando nello specifico delle proposte si è ipotizzato l’avvio di una struttura di produzione per il sociale e forse un canale tematico, anche se – e su questo c’è stato comune e totale accordo – il “sociale” non deve essere considerato un “genere” ma una lettura trasversale nei contenuti di tutti i programmi.
Altra idea è quella di un “laboratorio di progettazione” che metta insieme le competenze giornalistiche interne alla Rai con le competenze maturate dal terzo settore nella conoscenza delle problematiche sociali, al fine di creare nuovi format sperimentali con nuovi linguaggi non pietistici.
Auspicata, ancora una volta, una formazione specialistica per i giornalisti Rai, e la possibilità di interloquire con le direzioni delle redazioni dei programmi e dei telegiornali.
“Vorremmo raccontare un’Italia che non è solo quella dell’economia e degli indici di borsa o delle politiche di Palazzo– ha aggiunto Patriarca- Ma quell’Italia fatta da una società civile che si impegna e che sa raccontare la realtà per come è. Ad esempio, vorremmo che dei volontari non si parli solo nelle situazioni di emergenza o in servizi stereotipati”.
Ma come prima cosa, tanto per cominciare da ciò che c’è già, si chiede il rafforzamento del Segretariato Sociale, sia nelle competenze che nei mezzi a disposizione.
E’ davvero troppo presto per dire se i nuovi suggerimenti hanno una possibilità di essere inseriti nel nuovo contratto di servizio Rai per il triennio 2003-2006.
Ma gli esperti avvertono di tenere d’occhio alcuni indicatori per capire se nel nuovo accordo la sensibilità verso il sociale si sarà fatta più concreta.
La prima è una maggiore attenzione allo sviluppo degli strumenti multimediali della Rai (internet, televideo, radio, tv, satellite) ed un loro utilizzo strategico per permette agli utenti di appropriarsi dell’uso delle nuove tecnologie, soprattutto le persone che non potrebbero accedervi diversamente.
Una specie di ruolo di alfabetizzazione digitale in una società dove l’esclusione si misura anche in questi termini.
Poi, naturalmente, andranno verificate le linee di budget delle produzioni con contenuti sociali.
La noia dei linguaggi televisivi che rende stantii ed inefficaci questi programmi- avvisano gli esperti di comunicazione sociale- è spesso la conseguenza della mancanza di risorse, più che di buona volontà.
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