Cultura

Chiesa cattolica, sorgente di acque morte?

Religioni che si rifugiano in se stesse, il ritorno alla vera tradizione e la depaganizzazione di Papa Francesco, la tensione tra carisma e potere nella Chiesa. Il libro "Soffia dove vuole" (EMI) di Leonardo Boff, brasiliano, uno dei teologi viventi più noti al mondo, esponente di punta della teologia della liberazione, indaga e provoca sul presente e soprattutto sul futuro della Chiesa cattolica, ma non solo. Eccone un estratto

di Leonardo Boff

Le religioni e le chiese sono sempre stati luoghi privilegiati dell’esperienza di un senso concreto ed esistenziale, e di un senso ultimo (Senso dei sensi), poiché parlano di valori infiniti. Ma anch’esse sono interessate dalla crisi globale della nostra civiltà. Certamente custodiscono il loro nucleo perenne. Ma la maniera in cui tale nucleo viene presentato nei linguaggi, nei riti, nelle dottrine e nella disciplina, si è fossilizzata. Queste istituzioni si aggrappano al passato, non rinnovano le modalità di trasmissione del loro messaggio. Continuano a essere sorgenti, ma di acque morte.

Disgraziatamente questa crisi ha colpito in pieno l’istituzione ufficiale della chiesa cattolica. Di fronte alla crisi globale, invece di affrontarla con coraggio, fino all’avvento di papa Francesco la chiesa si è rifugiata in sé stessa, nelle conquiste del passato, trasformandosi in un bastione del conservatorismo, del patriarcalismo e del reazionarismo. Se ci sono istituzioni che potrebbero osare fino al limite dell’eresia, poiché si sentono accompagnate dallo Spirito, dovrebbero essere le chiese cristiane. Potrebbero fare proposte di soluzione, aprire cammini di rinnovamento e prospettive che inaugurano il nuovo. Ma non lo fanno, perché si sono rese ostaggio del sistema ecclesiastico e si sono rinchiuse nel loro monolitismo e pretesa esclusività. Pretendono di essere di diritto divino, e per questo intoccabili. Per di più vivono di paure, di sospetti e di condanne. Ora, sappiamo che ciò che si contrappone alla fede non è la non-fede o l’ateismo, ma la paura.

Il ritorno di papa Francesco alla vera tradizione

La chiesa cattolica negli ultimi decenni è stata presa dall’ossessione del relativismo. Lo combatte a partire da un assolutismo pernicioso quanto il relativismo, poiché ingessa la storia e rende anemica la volontà di creare, e così facendo abbandona la Tradizione di Gesù di cui parlava José Comblin nella sua grandiosa pneumatologia. In verità, tutto nella storia è relativo, tranne Dio e la fame e la sofferenza degli innocenti, come ha detto dom Pedro Casaldàliga. La chiesa deve trovare un modo di essere presente nel mondo che la renda contemporanea della nostra epoca e una fonte di senso e di gioia di vivere. La maggior parte dei cristiani appare triste, non sembra essere stata redenta e credere nella risurrezione della carne. Le persone hanno il diritto di udire il messaggio liberatore di Gesù in un modo tale che possano comprenderlo e viverlo. E questo non viene garantito dalla ripetizione catechistica di dottrine elaborate nel passato e codificate nel presente, senza ricercare le vie della comunicazione nella nuova era della conoscenza e della globalizzazione del destino umano. Tutto pare essere cambiato con l’intronizzazione di papa Francesco, venuto dalle nuove chiese del Terzo mondo, dall’Argentina. Egli ha inaugurato un vigoroso ritorno alla vera tradizione, che è detta la «Tradizione di Gesù». Questa comporta una depaganizzazione della chiesa, in particolar modo della gerarchia e dello stile di vita di cardinali e papi, che avevano storicamente fatti propri gli usi pagani degli imperatori romani con i loro simboli del potere imperiale assoluto, nel fasto dei palazzi rinascimentali e nel loro modo principesco di vivere.

Papa Francesco, vescovo di Roma, come ama essere chiamato, ha detto chiaramente, allorché gli hanno porto la mozzetta (una mantellina riccamente ricamata), che quello era un simbolo degli imperatori romani per dimostrare il loro potere illimitato. «Il tempo delle carnevalate è finito». E non ha accettato di indossare quel simbolo, ma una semplice mantellina bianca intonata alla veste, calzando normali scarpe nere e portando i pantaloni neri che sempre aveva messo.

I tre poli della rivoluzione di papa Francesco

Ma la vera rivoluzione ecclesiale che ha introdotto è stata quella di dare centralità a tre poli: Gesù, i poveri, la persona umana concreta, indipendentemente dal fatto che sia credente o meno.

Ha preso a riferimento il Gesù storico, non il Cristo Pantocratore della teologia trionfante successiva. Il Gesù storico, il Nazareno, si è presentato povero, con un messaggio incentrato sull’immagine di un Dio Padre con caratteri di madre, con un amore incondizionato, con una misericordia senza limiti, vicino alle masse impoverite, privilegiando gli umiliati e quanti vengono resi invisibili: sono questi i primi destinatari del suo annuncio del regno di Dio. A costoro, con i suoi gesti e parole, infonde speranza, forza di resistenza e capacità di inventare un altro tipo di società, meno cattiva di quella attuale. Fa proprio il coraggio profetico di denunciare un sistema economico-finanziario che idolatra il denaro e sacrifica nazioni intere alla sua voracità. Diviene così un potente alleato di quanti sono in cerca di un altro mondo possibile e necessario.

Un altro polo esplicito sono i poveri. Nel suo primo incontro pubblico concesso ai giornalisti, Francesco disse chiaramente: «Come vorrei una chiesa povera e per i poveri». Non era una frase retorica, come nei discorsi di papi precedenti, che parlavano di opzione per i poveri ma non avevano mai contatti diretti con loro. Papa Francesco è andato incontro ai più poveri tra i poveri, che in Europa sono gli immigrati dall’Africa e dall’Est europeo. È andato a rendere loro visita, senza nessun apparato, a Lampedusa, nel centro di accoglienza dei gesuiti a Roma, e in Calabria, la regione con il più alto tasso di disoccupazione in Italia e in Europa.

Egli stesso vive sobriamente, fuori del Palazzo pontificio, nella Casa di Santa Marta, residenza per gli ospiti; mangia insieme agli altri e vive in una stanza qualunque, uguale a quelle degli altri ospiti. Quando esce, lo fa servendosi di un’auto popolare, come si è visto in occasione del suo primo viaggio all’estero, in Brasile, per la Giornata mondiale della gioventù, nel luglio 2013. Mostra come deve essere la chiesa: solidale con coloro che più soffrono nel mondo. Ha sfidato i religiosi e le religiose che possiedono conventi vuoti: invece di servirsene per fare soldi con eventi e altre iniziative, li aprano ai poveri, che sono «la carne di Cristo».

Il terzo polo è la persona umana concreta, nel suo percorso personale. Francesco vede la chiesa non come una fortezza che deve difendersi dalla contaminazione del mondo, ma come una casa aperta, da dove i ministri escano incontro ai fedeli e dove i fedeli entrino per sentirsi come a casa propria. Ha risposto personalmente a un giornalista come Eugenio Scalfari, non credente, sul rapporto tra fede, scienza e non credenza.

Sono forse queste le parole, dette nel corso di una lunga intervista concessa alla rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica nel settembre 2013, che rivelano la sua visione della chiesa e della sua missione nel mondo:

Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso. La chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: «Gesù Cristo ti ha salvato!». E i ministri della chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia […] farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di stato.

È una citazione lunga, ma che rivela la sua concezione della chiesa e della sua missione liberatrice nel mondo d’oggi. Papa Francesco rappresenta una primavera nella chiesa, che ci riporta la gioia di essere cristiani e speranza per il mondo.

Carisma e potere

Malgrado la rivoluzione istituzionale introdotta da Francesco, rimane ancora un problema mai adeguatamente preso in considerazione: la tensione tra carisma e potere. Nella chiesa c’è potere, dal momento che la comunità ha bisogno di organizzarsi e di assicurare la propria continuità nella storia. Si dice che è il ministero petrino a garantire la tradizione apostolica. Ma succede, come abbiamo visto sopra, che tale potere sia divenuto monarchico e assolutista, tutto concentrato in una minoranza di cristiani: il clero, con il papa in testa. A partire da questa strutturazione diseguale, che va in senso contrario all’esplicita volontà di Gesù, si è creata una unità fittizia attraverso l’illimitata sottomissione di tutti: sono apparsi, così, cristiani infantilizzati, senza creatività né autenticità. Nella dottrina comune, l’organizzazione ecclesiastica ha eliminato lo Spirito Santo.
È attraverso di questa che lo Spirito agirebbe, dimenticando che, secondo san Paolo, lo Spirito è stato dato a tutti e ha distribuito i suoi carismi secondo il suo disegno, e non secondo l’approvazione della gerarchia.

In altre parole, è andato smarrito il carisma, il momento paolino (san Paolo è il principe della libertà cristiana). Ora, la chiesa ha il suo fondamento su entrambi gli apostoli: Pietro e Paolo. Eliminandone o diminuendone uno, deformiamo la chiesa, rendendola contraria alla Tradizione di Gesù. È importante riconoscerlo: là dove si impone il potere, anche sotto figura di potere sacro, scompaiono l’amore, la compassione e la creatività. Il potere, per essere potere, deve essere forte, allearsi ad altri poteri, mettere sotto controllo chiunque lo minacci o rappresenti un antipotere. La storia lo dimostra: i portatori di carisma, i riformatori e gli innovatori sono stati perseguitati e condannati, quando non eliminati, dal potere. (…)

Con tristezza ammoniva san Paolo: «Non spegnete lo Spirito» (1Ts 5,19). Quel che si è maggiormente verificato negli ultimi secoli è il soffocamento dello Spirito da parte del potere istituzionale, che non ha saputo mantenere la tensione tra i due poli legittimi: il potere e il carisma – tesi centrale e obiettivo del mio libro giudicato negativamente dalla ex Inquisizione: Chiesa: carisma e potere. Attenzione, non si dice: «Chiesa: carisma o potere» ma «carisma e potere». È necessario il potere perché la perpetuità del messaggio di Gesù nella storia sia assicurata. Abbiamo bisogno del carisma per mantenere il potere come servizio e non permettere che la Tradizione di Gesù si fossilizzi in dottrine, riti e norme canoniche. Il carisma, pertanto, serve ad attualizzare e innovare continuamente il messaggio di fronte ai mutamenti storici. Senza il mantenimento dialettico, e difficile, di queste due energie si distrugge l’equilibrio necessario a una comunità sana, al tempo stesso ordinata e creativa. Senza un’articolazione tra i due poli, il potere provocherà l’oblio dello Spirito, come è largamente avvenuto nella chiesa latina, dove il potere sacro della gerarchia ha conquistato l’egemonia e finito per porre sotto il proprio controllo le manifestazioni dello Spirito.


Soffia dove vuole (https://www.emi.it/soffia-dove-vuole) di Leonardo Boff è disponibile nel sito web di EMI Editrice Missionaria Italiana

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