Cultura

Udine, rivoluzione per la cooperazione. Devolution friulana

Il volontariato provincia per provincia/2. Udine.

di Luca Razza

Luglio 2002, ovvero ?anno zero? per la cooperazione sociale in Friuli-Venezia Giulia. Scatteranno infatti in questa bollentissima estate i provvedimenti che, nella regione dell?estremo Nord Est, trasferiranno dall?amministrazione regionale alle Province le funzioni in materia di incentivazione per le cooperative sociali. Una storica ?devoluzione?, quella concertata fra tutti i diversi attori della cooperazione friulana, che, da un lato mette in risalto la grande capacità di questa regione nel saper cogliere e gestire le sfide di modernità, concretezza e vitalità del non profit, dall?altro svela il dettaglio di ruoli e numeri per questa realtà in gran movimento: 153 cooperative sociali di tipo A e B per un totale di 7.587 soci rappresentano il parziale della cooperazione sociale friulana, un dato letteralmente esploso, quadruplicato nell?ultimo decennio e che, come protagonista assoluto (con 68 cooperative e 3.086 soci, ovvero quasi il 50% del dato totale), scopre le cooperative della provincia di Udine. Boom coperazione «Siamo più che pronti per la devoluzione e i numeri parlano in modo molto chiaro», spiega l?assessore alle Solidarietà sociali della provincia di Udine, Fabrizio Cigolot. «Questi numeri, oltre a incoraggiare la statistica, filtrano l?esperienza e la maturazione che la cooperazione sociale della nostra provincia ha dimostrato in questo ultimo decennio. Assecondando un trend nazionale che vede aumentare anno dopo anno occupazione e fatturato della cooperazione sociale, le realtà della provincia di Udine, quasi equamente divise in cooperative di tipo A (33) e di tipo B (30), hanno saputo rafforzarsi sul piano dell?organizzazione anche grazie all?alto saggio di dialettica espresso con gli enti locali e con le reti del tessuto cooperativo. Numero di occupati, specializzazione dei servizi, risposta alla domanda crescente di servizi alla persona, flessibilità e capillarità dell?offerta sono stati i grandi ed essenziali obiettivi raggiunti dalla cooperazione sociale friulana». Sui rischi che la devoluzione potrebbe ingenerare specie nella ridefinizione degli strumenti di incentivazione come nella riproposizione di antichi modelli ?assistenzialeggianti?, l?assessore Cigolot ha le idee chiare: «La Regione non verrà meno al suo compito di regista del sistema nel suo insieme. Questo ruolo verrà però integrato e qualificato dalle articolazioni con le amministrazioni inferiori, Province in primis, con duplice ruolo: sapere da una parte cogliere, promuovere e premiare le cooperative e i progetti migliori, e dall?altra, orientare il settore nel rispondere in termini sempre più puntuali ai bisogni dell?utenza». Industriali d?accordo Il ruolo di traino che il territorio udinese ha assunto nel campo del non profit regionale è ormai un dato di fatto che si è contraddistinto per una spiccata eterogeneità di anime. C?è il presidente dei giovani industriali friulani, Gabriele Drigo, attivissimo nelle politiche sull?immigrazione/integrazione e ?padre? di progetti realizzati poi ?fifty & fifty? con il volontariato. C?è Pierluigi Di Piazza, energico fondatore del Centro di accoglienza Ernesto Balducci di Zugliano e acutissimo interprete delle diversità e delle umanità. C?è il direttore dell?Assindustria di Udine, Ezio Lugnani sostenitore della funzione della cooperazione specie nel settore delle imprese sociali di tipo B e convinto che «anche la disabilità rappresenta un potenziale in termini di mercato da coltivare con investimenti e non con un assistenzialismo che lo marginalizzi, anche perché la diversità crea sempre scambio e valore». I veri protagonisti Ma chi sono i reali protagonisti del miracolo della cooperazione sociale friulana? Quasi rispondendo a una fiera costumanza locale che vuole i friulani fare tutto ?di besoi? (ovvero ?da soli?), anche il non profit ha qui espresso peculiarità, funzionalità e innovazione tutte proprie. Pur coesistendo con imprese sociali o associazioni di respiro nazionale presenti comunque a Udine e provincia (Legambiente, Ce.Vi., Arci, Amnesty, Admo fra le più attive), nel vero cuore pulsante del Friuli i grandi numeri del non profit si chiamano Universiis oppure Aicat: mentre Universiis nasce a Udine nel 1993 e oggi, con 800 soci, svolge servizi di assistenza domiciliare e di intervento socioeducativo per bambini e adolescenti disabili o in situazione di disagio, Aicat -Associazione italiana club alcolisti in trattamento, rappresenta un circuito di 2.400 club sparsi sul territorio nazionale capace di raccogliere e assistere oltre 20mila famiglie di alcolisti o di persone con problemi alcol-correlati. E anche Aicat, nata nel 1979 da un?idea del professore croato Vladimr Hudolin, rappresenta un ?prodotto? tipicamente udinese, essendo nata direttamente nel dipartimento di alcologia dell?Ospedale Civile di Udine e rappresentando oggi una delle più autorevoli risorse nazionali e internazionali all?interno di questa problematica. Immigrati? No, meglio integrati È l?associazione più multietnica che ci sia: si chiama Ucai – Unione delle comunità e associazioni di immigrati del Friuli-Venezia Giulia, ed è composta da 45 associazioni di immigrati in rappresentanza di 33 diverse nazionalità. Strutturata come onlus, con i suoi quasi 7mila iscritti che nell?Ucai trovano assistenza nei settori dell?istruzione, della sanità, della cultura, del lavoro, della casa e della famiglia, l?associazione ha presentato lo scorso 15 giugno un rinnovato statuto che la rende oggi un coordinamento regionale a tutti gli effetti. «Quello che ci distingue da altri coordinamenti di immigrati sparsi in Italia», afferma il suo presidente camerunense, Viktor Chatué, «è la nostra mobilità e la nostra apertura propositiva verso l?esterno. Al di là del funzionamento ?a rete? della nostra struttura e anche al di là dei numeri e dei servizi che possiamo offrire ai nostri soci, quello che a noi immigrati preme è riuscire a sentirci integrati, non più immigrati. I progetti comunitari, quelli nazionali o regionali hanno spesso portato con sé, pur nella loro sensibilizzazione ai temi dell?immigrazione, grosse o grossissime pecche. I corsi di formazione, ad esempio, continuano a essere sfornati con le stesse logiche dei primi flussi migratori e valutando pertanto in modo distorto i bisogni dell?immigrato, la sua formazione, la sua cultura. Su tutto quanto poi grava un problema culturale di fondo: quante volte è concesso alle rappresentanze degli immigrati di sedere a quei tavoli dove poi vengono scritte leggi o decisioni che li riguardano in prima persona? Ebbene, il coordinamento dell?Ucai, proponendo a enti locali, banche o scuole, proposte o progetti ?chiavi in mano? formulati dai nostri specialisti secondo le reali esigenze degli immigrati, intende ribaltare questa tendenza autoreferenziale. Per ora il dibattito con enti locali o con i sindacati non appare affatto un dialogo fra sordi». Per informazioni su Ucai victor_gamal@yahoo.it


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