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Luciana, da partigiana a nonna di un rifugiato
Luciana e Abdelaziz: una signora di 90 anni, ex staffetta partigiana, e un giovane studente gambiano di 22 anni. Si sono incontrati grazie al programma di accoglienza in famiglia per rifugiati di Refugees Welcome Italia, e vivono insieme da qualche mese. «Abdelaziz», dice Luciana, «è stato costretto ad abbandonare il suo Paese per essere libero. È un ragazzo intelligentissimo, ora fa parte della mia famiglia, è mio nipote»
di Anna Spena
Luciana ha 90 anni e il sorriso pieno. La conosce bene la differenza tra libertà e oppressione. L’ha imparato a 13 anni quando ha iniziato ad essere una staffetta partigiana, una giovane donna della resistenza italiana. Luciana ha 90 anni e il pensiero lucido, aperto.
Da poco più di un mese vive in casa con Abdelaziz, che di anni ne ha appena 22, è gambiano. E prima di raggiungere l’Italia ha attraversato il Senegal, Mali, Algeria e Libia. E poi ha rischiato la vita su un gommone per attraversare il Mediterraneo Centrale. «Quando sono arrivato a Lampedusa non mi sono preoccupato del posto in cui mi hanno messo, ero troppo contento di essere sopravvissuto e sapevo che era una soluzione provvisoria. Molti dei compagni conosciuti durante il viaggio volevano proseguire per l’alta Europa, ma non io. Io, non so perché, ho sentito che in Italia qualcosa mi tratteneva, forse qualcosa nelle persone», racconta.
I dettagli del suo viaggio, soprattutto la permanenza in Libia, sono ricordi ancora troppo dolorosi. E Abdelaziz non riesce a condividerli. «Non conosco la sua storia e non faccio domande», dice Luciana. «Quando e se vorrà, sarà lui a raccontarmi cosa gli è successo. Mi interessa che stia bene qui, ora. Desidero che si senta parte integrante della famiglia, che ritrovi il calore di un posto che possa considerare casa».
Il coronavirus non ha fermato la solidarietà. Finito il lockdown, è ripreso il programma di accoglienza in famiglia per rifugiati di Refugees Welcome Italia, con l’avvio delle prime convivenze fra italiani che offrono ospitalità e persone rifugiate che cercano una casa, tra cui quella di Luciana e Abdelaziz. Abdelaziz ha contattato Refugees Welcome Italia alla fine del suo percorso nel sistema di accoglienza. Dopo Lampedusa, è stato trasferito al centro di Castelnuovo di Porto. «Al CAS mi sentivo in gabbia. Eravamo tantissimi e le stanze erano affollate, quindi per ragioni di sicurezza c’erano anche le guardie armate. Quando mi guardavo attorno in questa situazione mi sembrava di non essere mai arrivato in Europa, pensavo di essere ancora in Libia».
Abdelaziz è rimasto a Castelnuovo più di un anno e da lì si è spostato in una struttura di seconda accoglienza, dove le cose sono andate decisamente meglio. Nel frattempo, ha ottenuto lo status di rifugiato. «Abdelaziz», dice Luciana, «non si deve sentire mai un estrano. Per me è mio nipote, è parte della mia famiglia». E di lui Luciana si vanta e lo elogia proprio come una classica nonna italiana: «è intelligentissimo, e bravissimo a sciola. Adesso frequenta il terzo anno dell’istituto tecnico turistico. Il suo sogno è laurearsi, ora sta cercando un lavoro part-time che possa conciliarsi con la sua vita da studenteAbdelaziz ha fatto bene a venire in Italia. Se nel suo Paese c’è la dittatura, se nel suo Paese non c’è libertà, è nostro dovere accoglierlo. Il mio desiderio è che in questa casa Abdelaziz si senta libero, come sono libera io».
E di nonna Luciana Abdelaziz dice: «è una libreria vivente: mi ha raccontato tante cose del suo passato. È una persona che ha lottato per la libertà e la democrazia in Italia: ascoltarla è davvero un piacere e un onore. Questa convivenza è uno scambio: io imparo cose da lei, ma anche lei da me, riguardanti il mio paese e la mia cultura. È una cosa che arricchisce tutti. Credo che le persone abbiano paura dei ragazzi africani solo perché non ci conoscono, spesso capita di avere paura di quello che non conosciamo».
L’epidemia in corso ha reso più evidente la condizione di vulnerabilità in cui si trovano molte persone che vivono in Italia, fra cui i rifugiati, per i quali trovare una casa in affitto è sempre più difficile, anche a causa di una situazione lavorativa resa ancora più precaria dall’emergenza sanitaria. «Il rischio, per loro, è di trovarsi in una situazione di nuova marginalità che può compromettere i primi passi compiuti per inserirsi nel nostro Paese e, soprattutto, mettere a rischio la loro salute. Per questo, a maggio, abbiamo rilanciato la nostra campagna di ricerca famiglie, per capire se c'erano persone disposte ad ospitare una volta terminata la quarantena, nel rispetto di tutte le procedure necessarie», sottolinea Fabiana Musicco, presidente di Refugees Welcome Italia. «Ad oggi a rispondere all’appello sono state circa 80 famiglie in tutta Italia: da qualche settimana è iniziato il processo di valutazione delle loro candidature e di abbinamento con i rifugiati. Alcuni hanno iniziato già a vivere assieme».
Per candidarsi ad ospitare un rifugiato è necessario avere una camera libera nella propria casa ed iscriversi sul sito dell’associazione (www.refugees-welcome.it).Una volta ricevuta la candidatura, Refugees Welcome Italia si occupa di valutarla e procedere ad un eventuale abbinamento con un rifugiato o una rifugiata. Tutto il processo è seguito e monitorato dai facilitatori dell’organizzazione, che seguono le convivenze dall’inizio alla fine.
Credit Foto RWI/D. Fatello
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