Famiglia
Da mesi senza rete, le nostre famiglie sono state invisibili
Si celebra oggi la III Giornata Nazionale delle persone sordocieche. Il "metro di distanza" le ha private del contatto fisico e di fatto condannate a un isolamento nell'isolamento. Inoltre la fase 2 e 3 per loro stenta a decollare, tant'è che moltissimi servizi diurni sono ancora chiusi. Un papà: «Abbiamo dovuto ricoprire molteplici ruoli: professionisti, domestici, genitori, insegnanti di sostegno, educatori, badanti, fisioterapisti. Non eravamo pronti a questa situazione, ma non si poteva scegliere»
Daniele Orlandini vive in Lombardia, dove il Coronavirus ha colpito duro. È padre di Sara, una ragazza di 27 anni con pluridisabilità. Sara vive insieme ai genitori, frequenta un Centro Diurno della sua città e si appoggia ai Servizi Territoriali della Lega del Filo d’Oro per altre attività di svago, inclusione, sollievo. Questo fino allo scorso febbraio. Poi un sabato sera, mentre la famiglia festeggiava il Carnevale in pizzeria con amici, sono arrivate le prime notizie: il paziente zero, la zona rossa di Codogno, le scuole chiuse per qualche giorno e così anche il Centro Diurno. Da allora Sara è a casa, in un lockdown che è durato ben più di quello definito dalle date ufficiali. «Molte delle difficoltà legate alla sordocecità sono normalmente sopperite dalle reti: la rete dei servizi, la rete familiare, la rete amicale ed il volontariato. L'emergenza ha di colpo stroncato gran parte di queste possibilità. Sono garantiti solo i servizi residenziali. La stragrande maggioranza delle famiglie come la mia, che faceva riferimento ad altre risorse, ad esempio i Centri Diurni o i Servizi Territoriali, sono rimaste completamente scoperte e si trovano da mesi da sole ad affrontare enormi difficoltà». Daniele ha raccontato l’esperienza ieri, all’interno di un evento online organizzato dall’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti e dalla Lega del Filo d’Oro alla vigilia della III Giornata Nazionale delle persone sordocieche che si celebra oggi. La data scelta è quella della nascita di Helen Keller (27 giugno 1880), resa celebre dal film “Anna dei Miracoli”, la prima sordocieca al mondo a laurearsi e a riscattarsi da una condizione di silenzio e ombra.
Un isolamento e una invisibilità in cui il Covid-19 ha rischiato di far ripiombare le persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali: si stima che le persone affette da problematiche legate sia alla vista che all’udito siano 189mila in Italia, di cui circa 108mila già prima del Coronavirus vivevano di fatto confinate in casa. Basti pensare che nell’emergenza sanitaria iniziata con il lockdown del 9 marzo si è dovuto attendere fino al 17 maggio perché le normative scrivessero nero su bianco e senza possibilità di dubbi che la distanza di un metro non valeva per le persone con disabilità e i loro accompagnatori: per chi non vede e non sente, infatti, il tatto e quindi il contatto fisico diventa l’unica modalità di comunicazione, relazione, orientamento nel mondo. Il distanziamento fisico, per loro, rischiava di diventare distanziamento sociale tout court.
La stragrande maggioranza delle famiglie come la mia, che faceva riferimento ad altre risorse, ad esempio i Centri Diurni o i Servizi Territoriali, sono rimaste completamente scoperte e si trovano da mesi da sole ad affrontare enormi difficoltà
Daniele Orlandini
Ma ecco che Daniele continua la sua testimonianza: «Il nostro obiettivo fin da subito è stato quello di proteggere noi e nostra figlia da ogni possibile forma di contagio. Ridurre il rischio al minimo ha protratto il nostro “isolamento” limitando drasticamente i contatti con le altre persone. Una delle difficoltà è la conciliazione famiglia e lavoro. Nei mesi del lockdown con mia moglie ci siamo trovati a gestire nostra figlia contemporaneamente al lavoro da casa. Abbiamo dovuto ricoprire molteplici ruoli in questo periodo: essere professionisti nel lavoro, domestici di casa, genitori, educatori, badanti, coniugi. Una molteplicità di situazioni concorrenti che mai fino ad ora avevamo sperimentato in 27 anni, tutte contemporaneamente. Un supporto esterno sarebbe stato sicuramente di aiuto per noi ma soprattutto per nostra figlia, per trovare quelli stimoli che non sempre noi siamo stati in grado di fornire. Leggere le esigenze di nostra figlia nell’intero arco della giornata e proporre un’attività che poteva metterla a suo agio, seppure per un tempo limitato in relazione alle sue capacità, è stata una costante per consentire a tutti noi di mantenere una situazione che ci consentisse di andare avanti. Abbiamo dovuto mettere in campo la capacità di adattamento alla situazione, scoprire la resilienza che è in noi per modellare i ritmi della giornata trovando un nuovo equilibrio. Non eravamo pronti a questa situazione, ma non si poteva scegliere. Ancora una volta ci siamo rimboccati le maniche, anche perché non c’era scelta. Certo non è stato e non è tuttora facile. L’affanno e la necessità di “staccare” la spina, di trovare un attimo di rilassamento si fa ogni giorno più pressante. Il fiato inizia a diventare corto. Noi, genitori e disabili a prescindere dal livello di gravità, siamo stati invisibili agli occhi di molti in questo periodo: è bastata una frazione di tempo, nella drammaticità e nella difficoltà delle decisioni da prendere, per interrompere ogni servizio ma sarà necessario parecchio tempo per riavere una diversa quotidianità».
Non eravamo pronti a questa situazione, ma non si poteva scegliere. Ancora una volta ci siamo rimboccati le maniche, anche perché non c’era scelta. Non è stato e non è tuttora facile. L’affanno e la necessità di “staccare” la spina, di trovare un attimo di rilassamento si fa ogni giorno più pressante. Il fiato inizia a diventare corto.
E la fase 2 e 3? «Adesso forse intravediamo qualche spiraglio: i servizi si stanno lentamente rimettendo in moto, da qualche tempo abbiamo una persona che viene tre ore alla settimana, speriamo di poter tirare un sospiro di sollievo. Certo, davanti ad un riavvio parziale si tratta di trovare adesso una nuova organizzazione della quotidianità, un nuovo reinventarsi fino alla prossima transizione: tutti noi abbiamo acquistato familiarità con il termine “fase” (fase1, fase 2, fase3), ma la nostra percezione è che ogni singola fase ha avuto ed avrà una durata differente per ognuno di noi (specialmente per le persone più fragili) e quello che più conta è la transizione tra una fase e l’altra. Sara ha dato il meglio di sé e abbiamo riscoperto relazioni vere, che forse il tempo aveva un poco affievolito, ad esempio quelle con i vicini. Queste sono state la forza ed il sostegno che ci hanno consentito di guardare avanti».
La III Giornata Nazionale delle persone sordocieche è l’occasione per portare all’attenzione del dibattito pubblico e istituzionale le istanze delle persone con sordocecità, in particolare tutti quei bisogni che tuttora non trovano risposte e tutela adeguate, soprattutto alla luce della grave emergenza sanitaria ancora in corso, che ha imposto loro una condizione di totale isolamento dalla realtà. Le persone sordocieche infatti utilizzano prevalentemente il tatto per comunicare e conoscere l’ambiente circostante, e in un momento in cui la raccomandazione è ancora quella di mantenere la distanza di sicurezza, questo rappresenta per loro e le loro famiglie un ulteriore, enorme, ostacolo.
«Questo è stato per tutti noi un momento molto duro, ma per le persone che già prima della pandemia vivevano una condizione estremamente difficile lo è stato ancora di più. Loro oggi non devono essere dimenticate e lasciate indietro. È importante ribadire che alle persone sordocieche servono risposte concrete, che partano innanzitutto dal diritto all’inclusione», dichiara Rossano Bartoli, Presidente della Lega del Filo d’Oro. «L’emergenza sanitaria ancora in corso ha avuto ripercussioni gravi sulla vita di queste persone e delle loro famiglie e ha imposto loro una condizione di isolamento nell’isolamento. Nei nostri 5 Centri l’attività rivolta agli utenti in regime di residenzialità non si è mai fermata e non abbiamo mai fatto mancare il sostegno, seppur a distanza, ai tanti genitori lasciati soli nella gestione delle gravi disabilità dei figli senza il supporto di attività come quelle offerte dai Centri Diurni o dai Servizi Territoriali, molti dei quali ancora chiusi per decisione delle Regioni in cui si trovano». Se infatti è vero che già dal 26 aprile i vari Centri e servizi diurni possono riaprire, è anche vero che lo devono fare in accordo con specifici piani regionali e territoriali, arrivati solo con tempo: di fatto solamente in questi giorni stanno riaprendo i primi servizi.
«La sordocecità è la punta dell’iceberg e una delle forme più gravi tra le pluridisabilità e per questo necessita di risposte specifiche, coraggiose e innovative. Come UICI siamo impegnati su questo fronte nel realizzare modelli di educazione e formazione dedicati e attività di supporto, sostegno e accoglienza, estesi anche alle famiglie, grazie alla rete delle nostre 107 sezioni provinciali, strutture di ascolto, servizi di orientamento e assistenza psicologica, centri di consulenza tiflodidattica», aggiunge Mario Barbuto, Presidente di Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti. «Ma dobbiamo puntare ad un ulteriore passo in avanti che guardi alle necessità delle persone sordocieche e con disabilità plurime oltre l’età scolare o giovanile e che possa sostenerle in una logica di lungo periodo. Per questo stiamo immaginando la creazione di strutture di accoglienza a carattere permanente che possano accompagnare le persone sordocieche e con pluridisabilità anche in età adulta affinchè possano individuare e costruire il loro progetto di vita, in autonomia e dignità».
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