Volontariato
Ma che cos’è la SEU? Storia di Alice e di una nuova cura
In Puglia due bambine di meno di due anni sono morte per la sindrome emolitico-uremica, che inizialmente si manifesta come una diarrea. In Italia solo la Lombardia ha una rete di monitoraggio in tutte le pediatrie, grazie anche a un'associazione creata da un papà. Proprio qui è nato uno studio che potrebbe rivoluzionare l'approccio alla cura della malattia
La scorsa settimana una bambina di due anni è morta a Bari per una infezione da Seu: la notizia di oggi è che potrebbe aver bevuto acqua contaminata. Migliorano invece le condizioni di una piccola francese di 18 mesi, in vacanza con la famiglia in Salento, ricoverata con la stessa malattia. In Puglia è il quinto caso di SEU dall’inizio dell’anno e una bimba di 15 mesi era già deceduta a giugno. Sono una cinquantina ogni anno in Italia i bambini che contraggono la forma tipica della SEU e altrettanti (tra adulti e bambini) quelli colpiti dalla forma atipica: una malattia di cui pochissimo si parla, ignota ai più fin dal nome, SEU, un acronimo che sta per sindrome emolitico-uremica. Che cos’è la SEU? Perché se ne può morire? E com’è conviverci? Lo abbiamo chiesto a Paolo Chiandotto, papà di Alice e presidente di Progetto Alice Onlus, associazione per la lotta alla sindrome emolitico uremica.
Alice oggi ha quindici anni. È nata in perfetta salute nel 2002 e a cinque mesi le venne diagnosticata la SEU. È una malattia rara caratterizzata da anemia, piastrinopenia e sofferenza renale: secondo Orphanet, un portale dedicato alle malattie rare e ai farmaci orfani, ne soffrono 1-9 persone su un milione. Esistono due forme di SEU, una tipica, di origine batterica, che colpisce più comunemente i bambini e una atipica, di origine genetica, che colpisce bambini e adulti di ogni età e rischia, se non curata in maniera tempestiva e corretta, di condurre le persone alla dialisi cronica.
Per due anni e mezzo, dal novembre 2003 all’aprile 2006, ogni notte Alice è stata sottoposta a dialisi peritoneale a casa sua, in attesa di un trapianto renale. Nello stesso periodo Alice è stata trasfusa circa 50 volte. Il giorno del trapianto segna una svolta per Alice, ma tante complicazioni la aspettano ancora. La SEU si manifesta di nuovo, anche il rene trapiantato si danneggia irreparabilmente, Alice ha nuovamente bisogno della dialisi e il suo nome viene ancora una volta inserito nelle liste d’attesa per un trapianto di rene. Che cosa significhi fare la dialisi, per un bambino, lo prova a far capire questo video, che ritrae proprio Alice.
Quattro ore di un trattamento che sostituisce il lavoro che dovrebbe fare il rene, a cui sottoporsi tre o addirittura quattro volte a settimana, spesso in un ospedale lontano da casa. Questo vale soprattutto per i bambini, perché i centri che fanno dialisi pediatriche sono pochissimi. Non c’è Natale, domenica, compleanno: tutto il resto del tempo ruota attorno a quei tre giorni. Il nuovo rene per Alice arriverà nella notte del 3 ottobre 2014: questa volta il decorso post operatorio fila liscio e da allora Alice, a dodici anni compiuti, ha iniziato una nuova vita. Può fare pipì come tutti, ha smesso con la dialisi e il 7 gennaio 2015 è tornata a scuola: conduce una vita normale, cosa che prima era impossibile. Continua le terapie immunosoppressive e le viene somministrata una terapia farmacologica a cadenza regolare che evita il ritorno della malattia, ma la qualità di vita di Alice è radicalmente cambiata.
A raccontare la storia di Alice, oggi, è papà Paolo. Proprio partendo dalla malattia di Alice, Chiandotto ha fondato un’associazione di pazienti per altri pazienti, “Progetto Alice Onlus”: «vogliamo far conoscere la SEU, informiamo e sosteniamo chi si rivolge a noi, condividiamo le nostre esperienze, lavorando con medici e ricercatori. Siamo stati contattati da 145 famiglie, una ci ha chiamato poco tempo fa da Roma. In Italia c’è ancora una scarsa conoscenza di questa malattia, fra i cittadini ma anche per quanto riguarda la diagnosi e la cura: è una questione statistica. Il problema, sulla base delle esperienze raccolte direttamente dai pazienti, è che questa mancanza di conoscenza genera terapie sbagliate, inefficaci o addirittura dannose e una prematura rassegnazione da parte del medico nei confronti della possibilità che il paziente recuperi la funzione renale. Esistono invece buone possibilità di ripresa della funzione renale se le strategie terapeutiche sono ottimali. Il nostro obiettivo è mai più dialisi». Un sogno? Non esattamente. O meglio un sogno che sta diventando realtà grazie anche al contributo di Progetto Alice Onlus.
La rete lombarda e il rovesciamento del paradigma della cura
Nel dicembre 2015 infatti, sulla rivista di pediatria più importante al mondo, “Pediatrics. Official Journal of the American Academy of Pediatrics” è stato pubblicato un innovativo lavoro sulla prevenzione e cura della SEU firmato da ricercatori italiani e finanziato proprio da Progetto Alice Onlus. Si tratta di una vera rivoluzione nel trattamento della SEU, che ha portato enormi benefici ai pazienti ed è nata al Centro per la Cura e lo Studio della Sindrome Emolitico Uremica della Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, di cui è responsabile il dottor Gianluigi Ardissino, prima firma dello studio pubblicato su “Pediatrics” (in allegato in fondo all'articolo il pdf della pubblicazione).
Sostenere e finanziare la nascita del Centro è stato il primo obiettivo di Progetto Alice: «Trattandosi di una malattia rara, c’era la necessità di creare un centro di elevata specializzazione, che in Italia non c’era, in grado di affrontare al meglio tutti gli aspetti legati alla patologia, dalla diagnosi al trattamento alla ricerca. Poter contare su una maggiore esperienza determina una migliore assistenza e, di conseguenza, una maggiore probabilità di guarigione». All’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano afferiscono il maggior numero di casi in Italia di SEU, nella forma tipica ed atipica: ben 200 pazienti dal 2000 ad oggi. Dentro questa esperienza quotidiana è maturato quel sapere che ha consentito di proporre alla comunità scientifica mondiale un sorprendente cambio di paradigma nel trattamento della malattia: «shifting the paradigm», così l’editoriale di “Pediatrics” presenta lo studio italiano. Un lavoro dedicato a Ilaria, deceduta per SEU nel 2007 («è stata la sua malattia, presentatasi in modo così inusuale e severo, il punto di partenza di questo studio», scrivono i medici).
La ricerca, cui hanno collaborato 56 pediatrie della Lombardia, ha studiato per due anni tutti i bambini che hanno avuto una diarrea emorragica, ricercando la shigatossina nelle feci. La SEU infatti nella sua versione tipica è provocata dall’Escherichia coli, produttore della tossina di Shiga (STEC-SEU). È stata l’associazione a farsi carico dei costi di raccolta e di esame di tutti i campioni. Tutti i piccoli pazienti con SEU sono stati sottoposti a una infusione intravenosa di liquidi finalizzata ad aumentare anche del 10% il peso corporeo, in completa controtendenza rispetto alla terapia classica che prevede invece una severa limitazione dei liquidi. Questa infusione di liquidi ha ridotto – così dimostra lo studio – la formazione di trombi e di danni ischemici, con effetti positivi sia a breve sia a lungo termine sul decorso della malattia. «In Italia manca una rete come quella lombarda, costruita con il supporto dell’associazione, che va a individuare tempestivamente e sistematicamente la presenza di shigatossina 1 e 2 nei bambini con diarrea emorragica. Questo screening consente di individuare precocemente i soggetti a rischio di sviluppare SEU e di intraprendere immediatamente l’infusione generosa di liquidi – una terapia dal costo irrisorio – per migliorare la prognosi e prevenire le complicanze neurologiche causa di morte», spiega Chiandotto. La causa di morte nei bambini che hanno contratto la SEU tipica in generale sono i trombi a livello cerebrale, favoriti dalla scarsità di liquidi: individuare precocemente gli individuai a rischio, consente di fare una infusione di liquidi generosa. Se ci fosse a livello italiano una rete come quella lombarda, che ha ormai coinvolto tutte le pediatrie, capillarmente, sarebbe molto diverso. La rete consente di diffondere la conoscenza della malattia e favorisce il "sospetto diagnostico": ma poi, concretamente, che cosa accade in Lombardia? Che le pediatrie raccolgono campioni per tutti i bambini con diarrea emorragica e li inviano al centro di riferimento a Milano per ricercare la shigatossina 1 e 2. Quando l’esame è positivo scatta un campanello d’allarme e si comincia con le opportune terapie di idratazione: pochissimi vanno in SEU e anche in questi casi la malattia si presenta più lieve e si prevengono i danni neurologici, così dice lo studio.
E se la forma tipica della SEU deriva da ceppi batterici ed è legata in gran parte a cause alimentari (un tempo di pensava che fosse più legata agli allevamenti, ad esempio a una visita in fattoria), esiste anche una forma atipica, di origine genetica. L’associazione sta realizzando per i pazienti con SEU atipica un dossier sanitario elettronico, in doppia lingua, in modo che chiunque abbia sempre con sé tutta propria storia cinica. Dal punto di vista della cura per questa forma è disponibile un farmaco, il Soliris/Eculizumab, uno dei farmaci più costosi in Italia «se non il più costoso in assoluto, che viene somministrato solo in ospedale», afferma Chiandotto. «Ogni fiala costa 3.900 euro, interamente coperto dal Servizio Sanitario Nazionale, e mia figlia, per fare un esempio, ne fa tre fiale una volta al mese. È un farmaco che ha cambiato radicalmente il destino delle persone colpite da SEU atipica». Anche in questo caso il Centro milanese è all’avanguardia: «Secondo la posologia il farmaco va somministrato ogni 14 giorni: solo per mia figlia sarebbero 304.200 euro l’anno + Iva», spiega Chiandotto. Cosa fanno invece a Milano? «Il Centro va a misurare la durata dell'effetto del farmaco e su quella base effettua una somministrazione personalizzata. Medesima efficacia di trattamento, minori viaggi in ospedale per i pazienti e le famiglie, un consistente risparmio: solo nel caso di mia figlia 150.000 euro all’anno ma su tutti i casi seguiti del Centro arriviamo a un risparmio di almeno 5-6 milioni di euro all’anno. Questo ovviamente consentirà di fornire la cura a più persone, rendendo il trattamento stesso competitivo rispetto al costo della dialisi. È un esempio unico in Italia di gestione personalizzata con stessa efficacia di trattamento e un notevole risparmio per le casse pubbliche».
Anche in questo caso Chiandotto ha un’osservazione: «I famigliari segnalano sempre più frequentemente l’uso del Soliris anche nella forma tipica della SEU, in cui però non è stata dimostrata né l’efficacia né l’eventuale miglioramento della prognosi, anzi ci chiediamo addirittura se tale uso possa addirittura peggiorare la prognosi. È assurdo, idratare i bambini non costa niente ma fa tantissimo e invece si usa un farmaco costosissimo la cui efficacia non è stata dimostrata».
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