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Parla l’esperto della riforma. Così smonto la Basaglia

Psichiatria: come cambierà la 180 Tonino Cantelmi, psichiatra spiega cosa non va nel sistema attuale. Il contributo di Savuto

di Benedetta Verrini

Non è pensabile nessun ritorno ai manicomi, sia chiaro. Ma certamente, a 24 anni dall?approvazione della legge 180, nessuno può pensare di difendere slogan inutili e dannosi, come fu ?matto è bello?. ?Matto? non è bello. è sofferenza che richiede il coraggio delle cure e competenza degli interventi. è in questo senso che è giunto il momento di cambiare le cose». Parla con un tono pacato, il professor Tonino Cantelmi. Ma ogni sua parola è una sciabolata al sistema che, figlio della legge Basaglia, oggi il Parlamento rimette in discussione. Sul piatto, la proposta di legge firmata da Maria Burani Procaccini, di Forza Italia. Undici articoli, un testo che il professor Cantelmi, presidente dell?Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici, conosce bene visto che dal settembre 2001 se ne è occupato come esperto tecnico, da consulente dell?Ufficio di presidenza della commissione Sanità del Senato per l?assistenza psichiatrica. «Perché la Basaglia va riformata? Perché in tanti anni è cambiato lo scenario della psichiatria: ci sono stati progressi, innovazioni farmacologiche, nuove modalità d?intervento e valutazione. Tutto questo non va ignorato, anche perché i problemi delle persone si fanno sempre più urgenti». Molti disagi, niente strutture I numeri sono imponenti. Cantelmi ricorda che i disturbi mentali riguardano un adulto ogni 5. Ai servizi psichiatrici, però, arriva solo il 10% delle persone che in un anno presentano disturbi psichiatrici. Inoltre, almeno l?8% dei bambini e degli adolescenti italiani presenta problemi, e circa 2 milioni e 200mila persone lamentano un disturbo psichico, con grande incremento della depressione, dei disturbi d?ansia e alimentari psicogeni. In una società che mostra sempre più il suo disagio e il suo malessere, il sistema basagliano è bersagliato dalle critiche: «Il problema più drammatico è quello della cronicità e della mancanza di strutture residenziali» spiega Cantelmi. «Può piacere o non piacere ammetterlo, ma ci sono circa 90mila pazienti in Italia che non possono stare a casa propria, perché la famiglia non c?è più o non ce la fa più. Questo è un dramma enorme, cui va data una risposta». E il ddl Burani risponde. Con l?apertura dei reparti di lungodegenza o Sra (Strutture residenziali con assistenza continuata): almeno 3 in ogni regione, con un tetto di 50 ?ospiti?, suddivisi per fasce d?età: giovani fino ai 25 anni, adulti e anziani con limitata autosufficienza. Professore, difficile non pensare ai manicomi. «Assolutamente no. A prova di ciò, devo precisare che si sta già pensando di ridurre quel tetto di 50 posti» dice Cantelmi, «E poi, non dimentichiamo che laddove la riforma Basaglia è meglio applicata, i posti letto disponibili superano anche di 8 volte gli standard previsti: è come se, al di là di ogni ideologia, il bisogno di strutture protette sia un dato ineludibile». Le più pesanti lacune nell?attuale configurazione dell?assistenza psichiatrica in Italia riguarderebbero in particolar modo la mancanza di ?gradi di obbligatorietà? nelle cure e di strutture dove fare ricoveri prolungati: «Ad esempio, un depresso che necessita di un ricovero di uno-due mesi, oggi come oggi, non ha altre possibilità che farsi ricoverare in una clinica privata» prosegue Cantelmi. «L?anello davvero debole dell?attuale organizzazione sembra essere proprio la mancanza di strutture intermedie per i cosiddetti nuovi cronici, come i depressi, quelli che soffrono di attacchi di panico o anoressia». Infine, nel sistema italiano manca la supervisione dei risultati: «Non è possibile fare una valutazione del processo e degli esiti di cura, mentre impera un?incredibile autoreferenzialità. Bisogna preoccuparsi della formazione degli operatori e del recupero della specificità dei ruoli professionali. Gli psichiatri devono fare gli psichiatri, non gli assistenti sociali o gli animatori di comunità». Parole che pesano come pietre. E che riaccendono il conflitto, in psichiatria, tra il modello medico-biologico e quello sociologico. In mezzo, migliaia di vite fragili che forse non sanno nemmeno quali battaglie si stanno giocando. Bagarre sul Tso La più infuocata riguarda il Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, che nella nuova proposta di legge può essere richiesto «da chiunque ne abbia interesse». «è una misura d?urgenza temporanea, che si inserisce in un quadro più articolato, predisposto dal disegno di legge, di interventi graduali e ispirati alle esigenze cliniche dei malati. Il Tso di urgenza dura solo 72 ore e deve essere comunque convalidato da uno psichiatra» difende Cantelmi. «Credo rappresenti un importante elemento di controllo sociale e di responsabilizzazione su cosa è possibile fare per aiutare una persona che mostra segni di grave disagio e difficoltà. La legge Basaglia avrebbe dovuto combattere lo stigma sociale, ma non credo che questo obiettivo si sia realizzato. Oggi se vedi un matto in strada, non ti senti di aiutarlo, lo temi e cerchi di evitarlo. Per questo dico che un matto lo aiuti solo se lo curi». Giampietro Savuto, presidente della Fondazione Lighea: “La cura non è allontanarli dalla nostra vista” Psicoterapeuta, dal 1985 impegnato negli interventi riabilitativi psichiatrici, presidente di un?associazione che a Milano rappresenta un modello d?eccellenza nel settore, il dottor Savuto dice la sua sulle prospettive di riforma del ddl Burani. Senza peli sulla lingua. Strutture. Le Sra tratteggiate nel ddl, con capienza da 50 posti e in luoghi separati dal mondo esterno, sono mini-manicomi. è vero: mancano strutture intermedie dove accogliere i pazienti dopo i brevi trattamenti in ospedale o negli ambulatori. Ma questi, che senza dubbio hanno bisogno di assistenza continua, possono avere prospettive solo se inseriti all?interno di un tessuto sociale, in piccole comunità-appartamento, con l?assistenza dei servizi, delle loro famiglie e il supporto integrato di una rete. Cultura psichiatrica. Non credo si sia persa la dimensione biologico-medica della psichiatria. Anzi: oggi la cultura psichiatrica tende ad omologare le persone sotto l?etichetta della diagnosi. Ma ogni malato mentale ha bisogno di un progetto di cura individuale, che tenga conto del suo percorso e della sua storia. Ancora oggi ci si accontenta di un risultato parziale, cioè che il malato non faccia del male a sé o agli altri e questa per me non è la cura. Tso. Non è la legge che mi preoccupa, quanto il modo in cui sarà applicata. Il Tso potrebbe prestarsi a facili abusi: ad esempio, una vicina in malafede potrebbe innescare la procedura. Il problema della coercitività della cura va ridimensionato: molto spesso una persona che delira è la prima a chiedere aiuto. Stigma sociale. Se un matto grida per la strada, la gente lo ignora per paura. In realtà, è lui che ha paura della gente e sta urlando perché pensa di non esistere. Se nessuno si volta, gli si conferma che lui non esiste. C?è ancora molto da lavorare sulla cultura, ma non facendo sparire dalla nostra vista la malattia. La cura e il cambiamento di mentalità possono realizzarsi solo con la convivenza sociale, non con la segregazione.


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