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«Ecco i punti illegali e insensati del Codice di condotta per le ong in mare»
Intervista - ripresa dall'organizzazione non governativa Sea Watch - a Violeta Moreno-Lax, giurista dell'Università Queen Mary di Londra. "Ci sono obblighi ridondanti e inaccettabili secondo le stesse leggi internazionali, come la presenza di ufficiali a bordo e il divieto di segnalazioni luminose". Ecco i principali nodi critici in vista del nuovo incontro, domani 28 luglio, tra ministero dell'Interno italiano e ong stesse
“Illegale”. “Senza senso”. Sono solo alcuni degli aggettivi con i quali l’esperta di legge dell’Università Queen Mary di Londra, Violeta Moreno-Lax, commenta il Codice di condotta per le ong nel mar Mediterraneo proposto dal ministero degli Interni italiano. Entrando a fondo nei dettagli, la giurista fa le pulci a uno strumento controverso che in questi giorni è fonte di tensione tra il ministro Minniti e le organizzazioni non governative coinvolte, che dopo un primo incontro il 25 luglio, si vedranno domani venerdì 28 luglio (mentre di ieri è la notizia che il capitano della nave di estremisti di destra anti ong, Defend Europe, è stata bloccata a Cipro nel suo viaggio verso la Libia e il capitano arrestato per traffico di esseri umani in quanto a bordo erano presenti persone tamil che avrebbero pagato per il passaggio in nave senza i documenti necessari) per trovare un accordo in base al quale continuare le proprie attività. L’intervista a Moreno-Lax è stata effettuata direttamente da una di queste ong, la tedesca Sea Watch, e pubblicata sul proprio sito, in inglese. Ecco alcuni dei passaggi principali.
Il Codice di condotta presentato ha dei punti che considera illegali?
Inizio dal paragrafo conclusivo, che intima la chiusura dei porti italiano alle ong se non firmassero il Codice. Questo non solo andrebbe contro la legge del mare (che prevede il salvataggio a ogni costo di una persona in pericolo, ndr) ma anche contro la legge internazionale di non respingimento dei potenziali rifugiati e le leggi sui diritti umani. Solo le ong, tra l’altro, sarebbero obbligate a firmare questo codice, e non le navi commerciali, i pescherecci, le navi da guerra o quelle di apparati istituzionali come Frontex e Eunavfor Med: sarebbe quindi un provvedimento discriminatorio.
Ci sono vie legali per limitare l’obbligo di prestare assistenza, per esempio il divieto di entrare in acque libiche in qualsiasi circostanza?
No. L’obbligo vige in ogni parte del mare secondo la Unclos, la Convenzione Onu sulla legge del mare, sia quando parliamo di acque territoriali sia internazionali. In aggiunta, l’Italia non ha giurisdizione sulle acque libiche, non può imporre divieti sulle acque territoriali di altri Stati. Chi è entrato nelle acque libiche l’ha fatto solo per “evidente pericolo di morte di persone”, che è esattamente il caveat che ammette il Codice di condotta, quindi esso sarebbe completamente ridondante.
Un punto di critica fatto dalle ong al Codice riguarda il requisito della presenza di ufficiali di polizia a bordo. Qual è la cornice legale di questo aspetto?
Se l’Italia volesse riferirsi ai Protocolli di Palermo contro il traffico di esseri umani, l’azione di forze di polizia a bordo sarebbero da applicare alle imbarcazioni sospettate di tale crimine, non quelle che salvano vite in pericolo: le navi delle ong quindi si devono considerare fuori da questo ragionamento. A meno che ci sia il sospetto di una situazione puntuale riguardo a un crimine che si sia commesso – in quel caso l’autorità può salire a bordo della nave umanitaria ma con un ordine giudiziario – la legge, in particolare l’articolo 110 della Unclos, non giustifica la presenza a bordo di ufficiali.
Amnesty international ha detto: “In modo perverso, il Codice di condotta proposto potrebbe mettere vite a rischio”. Quali conseguenze umanitari potrebbe avere?
Sono tre gli aspetti potenzialmente molto pericolosi. Il primo riguarda l’obbligo di non fare trasbordi: questo obbligherebbe ogni ong a portare allo sbarco le persone recuperate direttamente, con un viaggio lungo che lascerebbe sguarnita una fascia di mare in cui frequentemente non ci sono navi di Frontex ed Eunavfor Med, con rischio maggiore di mancanza di soccorritori per situazioni urgenti, oltre al fatto che senza trasbordi le navi più piccole, una volta piene, avrebbe problemi esse stesse nella tenuta. Il secondo aspetto riguarda il divieto di usare comunicazioni con il telefono satellitare o segnali luminosi: questo non può essere vietato, perché è parte degli strumenti per garantire l’obbligo di salvare vite in pericolo in mare, come è codificato tra l’altro all’articolo 9 del Regolamento 656/2014 del Parlamento europeo, dove si dice che “bisogna prendere tutte le misure appropriate” per assicurare il salvataggio. Questa stessa regola la deve seguire anche la flotta di navi di Forntex, per capirci. Terzo e ultimo punto, l’obbligo di avere una certificazione tecnica che stabilisce la capacità di prestare soccorso è una richiesta inaudita anche per le navi mercantili o altre, nel senso che l’obbligo di mettere in atto operazioni Sar (Search and rescue, Ricerca e soccorso) in caso di emergenze è messo nero su bianco dall’articolo 98 della Unclos e riguarda ogni capitano di qualsiasi nave senza parlare di alcuna certificazione. Su questo, quindi, non c’è assolutamente nessun elemento che provi che lil salvataggo da parte delle ong sia di minore qualità rispetto a quello di un mercantile, anzi è più realistico il contrario. Guardiamo i numeri: dal 2015, ovvero da quando sono in mare, le navi delle ong hanno recuperato 80mila persone, il 30 per cento del totale, compiendo salvataggi spesso molto delicati e complessi interventi medici. Penso che non tenere conto di questo nell’imporre un Codice di condotta alle ong sarebbe un modo disonesto e disperato di limitare la presenza delle ong nelle operazioni Sar in mare.
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