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Lettera di una professoressa dal Brasile

Il Brasile è tra i Paesi più colpiti dal coronavirus. L'Amazzonia è in pericolo, così come i popoli indigeni. Pubblichiamo la lettera di una professoressa di São Gabriel da Cachoeira a padre Roberto Cappelletti, missionario in Brasile da più di 7 anni per Missioni Don Bosco

di Redazione

L'arrivo del Coronavirus a São Gabriel, il municipio più indigeno del Brasile, era la cosa più temuta. Tutte le istituzioni si sono date da fare per proteggere il municipio (che ha una estensione uguale al Nord Italia) e la sua popolazione. Già dal primo momento sapevamo che non avevamo un ospedale per attendere alle richieste dei possibili contagiati di Covid-19.

Purtroppo non fu possibile fermare l´avanzata del virus; nonostante i decreti dello Stato di Amazzonia e del Municipio, che hanno chiuso la circolazione di barche, lance e aerei per passeggeri, non si è riusciti a contenere il virus, in quanto sono continuate ad arrivare persone clandestinamente, sia da Manaus, sia da tutto il Brasile. E proprio questi incoscienti hanno portato il virus in terra indigena.

Quando è uscita la notizia del primo caso positivo, molti hanno capito che la situazione poteva precipitare, mentre altri hanno continuato a fare file per le strade, davanti alle banche, per ricevere l´aiuto di emergenza del governo.

Io, particolarmente, ho vissuto il peggior momento della mia vita, perché ho visto amici e colleghi di lavoro sentendosi molto male, con difficoltà di respirazione. Uno di loro, un mio amico professore di 49 anni, non ce l´ha fatta, ed è morto dopo 5 giorni di coma in ospedale a Manaus.

Da quel momento, come professoressa e con nel cuore la voglia di mettermi a servizio per il bene del mio popolo e specialmente delle famiglie dei miei alunni, mi sono resa disponibile per andare per le strade della città di São Gabriel e nei villaggi più distanti, per aiutare in una campagna di sensibilizzazione contro il Covid-19. E a tutt´oggi continuo questa che sento come una missione importante. In tantissimi villaggi non c´è acqua, non c’è possibilità di distanziamento sociale e tanto meno di igienizzante o mascherine. Quello che fa più bene da un lato, ma che preoccupa dall´altro, è il modo di vivere dei più piccoli, i loro sorrisi, la loro poca attenzione a lavarsi… sono così, siamo così, siamo indigeni, siamo di questa terra, questo virus ce lo hanno portato da lontano e ora abbiamo paura. Sappiamo di avere difese immunitarie basse, di non avere possibilità di trovare un letto in ospedale… sappiamo che dobbiamo rimboccarci le maniche e lottare, a volte a mani nude, contro questo mostro invisibile.

Dicono che sarà una ecatombe di morti qui da noi, io non ci voglio credere, voglio che io e i miei fratelli e sorelle Baniwa, Tukano, Tariano, Baré, Yanomami, Dessano, Hupda ci rendiamo conto che solo rispettando le regole di isolamento e di igiene potremo vincere questa battaglia. Non dimenticatevi di noi indigeni nelle vostre preghiere.

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