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George Floyd è morto soffocato dal razzismo
«Ci sono 3 cause in cui va inquadrato questo omicidio», dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «Negli Stati Uniti mancano norme sull’uso della forza. La polizia applica quello che si chiama Racial profiling, un esempio concreto: se una persona bianca ha le mani in tasta è perché sente freddo, se ad avere le mani in tasca è una persona di colore allora sta nascondendo una pistola. E Trump ha una visione irresponsabile e incendiaria, continuamente ammicca alla supremazia dei bianchi»
di Anna Spena
“Please, I can’t breathe. I’m about to die!”. "Per favore, non riesco a respirare. Sto per morire!”. Queste sono state le ultime parole pronunciate da George Floyd, ucciso lo scorso 25 maggio da Derek Chauvin, da un ufficiale di polizia di Minneapolis, in Minnesota. Chauvin è rimasto inginocchiato sul suo collo per oltre otto minuti e si è rifiutato di muoversi. George Floyd sarebbe stato arrestato dopo aver tentato di pagare un commerciante con una banconota da venti dollari presumibilmente falsa. George Floyd aveva 46 anni. Era disarmato. E la verità è che se non fosse stato di colore non sarebbe morto assassinato.
Gli ufficiali coinvolti nella morte di Floyd sono stati licenziati, ma questa non può essere considerato giustizia. «Ci sono due cause storiche e una contemporanea in cui va inquadrato questo omicidio», dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. «La prima ragione storica è che in tutti gli Stati Uniti mancano norme sull’uso della forza che siano conformi alle regole internazionali. L’uso della forza letale, infatti, è previsto solo come ultima risorsa e in presenza di una minaccia immediata per la vita di altre persone. E no, questo non era il caso di George Floyd».
È l’assenza di norme coerenti con questo standard internazionale che fa si che in America non siano rari gli episodi violenti di uso di forza inutile ed eccessiva che rientrano poi nel campo dell’illegalità. «La polizia», continua Noury, «commette violazioni dei diritti umani a un ritmo incredibilmente frequente, in particolare contro le minoranze razziali ed etniche, e in particolare nei confronti degli afroamericani». Solo nel 2019, la polizia è stata coinvolta nella morte di oltre mille persone negli Stati Uniti». La seconda ragione storica viene chiamata «Racial profiling», spiega il portavoce di Amnesty, «ovvero “profilazione razziale”. È un fenomeno da sempre presente nel corpo di polizia statunitense che non si riesce a sradicare. L’espressione profilazione razziale si riferisce al peso decisivo di fattori razziali o etnici nel determinare l'azione portata da parte delle forze dell'ordine nei confronti di un individuo. Qualche esempio: una persona bianca che ha le mani in tasta ha freddo, se ad avere le mani in tasca è una persona di colore allora sta nascondendo una pistola. O ancora una persona bianca che corre sull’autostrada è in ritardo a una riunione di lavoro. Se a correre invece è una persona di colore sta fuggendo dopo aver compiuto una rapina. Queste sono solo alcune metafore per far capire cosa significhi concretamente il Racial profiling. Sulla profilazione razziale c’è molto lavoro da fare sui singoli Stati, bisogna formare le forze di polizia. La popolazione infatti ha perso fiducia nei tutori dell’ordine che vede al contrario come promotori del disordine».
C’è poi un terzo motivo contemporaneo e fortemente legato all’amministrazione politica del presidente Donald Trump. «La sua», spiega Noury, «è una visione irresponsabile e incendiaria. È un incitamento alla violenza da parte delle forze dell’ordine e un ammiccamento continuo alla supremazia dei bianchi. Non da ultimo il suo tweet dove inserisce il movimento antifascista tra le organizzazioni terroristiche…».
Intanto le manifestazioni continuano in America e le proteste sono arrivate davanti alla Casa Bianca. A Detroit, in Michigan, a Oakland, in California. E poi ancora Portland, Oregon. A New York, dove migliaia di persone sono scese in piazza a Brooklyn. A Los Angeles sono state arrestate 200 persone. Le proteste, partire come manifestazioni pacifiche, in alcuni casi sono degenerate in atti di vandalismo.
«Alcuni episodi», continua Noury, «come l’assalto alla redazione di ccn ad Atlanta, sono stati abbastanza misteriosi. Questo mi fa pensare che nelle manifestazioni si siano infiltrati i suprematisti bianchi con l’unico obiettivo di creare il caos. Molte città degli Stati Uniti sono state trasformate in un conflitto militare, le forze dell’ordine sono così equipaggiate di armi che arrivano a pensare che quello scontro sia necessario. Per tutelare il diritto alla manifestazione pacifica invece bisognerebbe costruire un dialogo tra le forze dell’ordine e gli organizzatori della manifestazione. In modo da isolare per tempo i violenti. Attraverso i nostri osservatori sappiamo invece che è stata usata forza immotivata e violenta anche contro i manifestanti pacifici».
Credit Foto: Sintesi/photoshot
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