Famiglia

Cdo: Forza Italia addio?

Nell'assemblea milanese di sabato 22, bacchettate alla «riforme calviniste» ed elogi ad An e Ds. Tremonti, convitato di pietra.

di Giampaolo Cerri

La Compagnia delle Opere si smarca da Forza Italia. All?assemblea nazionale svoltasi sabato 22 a Milano ? sotto il titolo ?Verso la Welfare Society? ? sul palco dell?Auditorium spiccava infatti l?assenza dei rappresentanti del partito di Silvio Berlusconi. Con i vertici della Compagnia ? Vittadini e Ferlini ?l?avvocato Paolo Sciumè (già vicepresidente), protagonisti del non profit come Muccioli, presidente di San Patrignano, il segreterio della Cisl Pezzotta, il presidente degli Industriali del Veneto, Rossi Luciani, il vicepremier Fini, il coordinatore della segreteria Ds, Chiti. In platea il capogruppo di An alla Camera La Russa e quello dell?Udc, Volonté. Azzurri rarefatti dunque, se si eccettuano la sottosegretaria al Welfare Sestini e il deputato Lupi, (ma la cui amicizia con la Cdo è addirittura anteriore all?impegno in politica). A sanzionare il sentimento che il Corriere avrebbe definito l?indomani ?gelo?, ci ha pensato lo stesso Vittadini, in un breve quanto appassionato intervento finale in cui, senza nominare il Governo, ha attaccato duramente le riforme ?calviniste? che l?esecutivo sta portando avanti. Il presidente della Cdo ha denunciato «le élite che mutuano modelli politici ed economici estranei alla tradizione italiana, quella operaia, laica e cattolica». Un calvinismo weberiano che si sostanzia nella riforma delle fondazioni (il presidente dell?Acri Guzzetti era in platea) e che ce l?ha con «la grande impresa familiare, così come con la piccola, con i partiti popolari e con il Parlamento». Riforme che ignorano la sussidiarietà, parola che la Compagnia di Vittadini ha sdoganato nel lessico politico nazionale ormai da almeno un lustro e che qualcuno leggerebbe solo nella sua accezione verticale, ovvero di decentramento fra poteri pubblici. «Questo è un luogo di confronto», ha ribadito il professore. E tutti lo hanno preso in parola. Da Muccioli che ha raccontato il suo modello di risposta a bisogni ? la Comunità di San Patrignano ? fiero di non prendere un euro dallo Stato e pronto a bacchettare la concorrenza: «È raro incontrare in Italia realtà non profit realmente autonome, indipendenti, autosufficienti. Il potere politico tende ad omologare queste forze ad etichettarle mostrando comunque poca elasticitàe poca capacità reale di risolvere i problemi che infatti delega ad altri». Applaudito, così come lo è statto il cislino Pezzotta, quando ha usato una parabola per ricordare che «bisogna andarci piano col demonizzare il Welfare». L’evangelo è quello del Buon Samaritano: «Nel nostro Paese ci sono quelli pronti a soccorre», ha detto, «ma sono numerosi anche quelli che , ‘venendo giù da Gerusalemme? su quella strada le hanno prese». Insomma, non dimentichiamoci dei deboli. Applausi per il confindustriale Rossi Luciani, che collabora sin dagli inizi con una fondazione, la Edimar di Padova, che fa parte della Cdo non profit e che si occupa di formazione scolastica e professionale dei minori che hanno abbandonato precocemente la scuola. Platea misuratamente calorosa anche con il diessino Chiti che, da governatore della Toscana, aveva convenzionato anni fa le scuola materne private, attirandosi gli strali di Rifondazione e della Corte dei Conti. Ha parlato ancora di scuola e di formazione, questo dalemiano di Pistoia, ma ha anche ricordato «le pericolose concentrazioni di poteri in diversi settori economici». «Non vorrei cha a monopoli pubblici si sostituissero monopoli privati», ha scandito strappando un applauso scrosciante, «abbiamo bisogno di liberalizzazione, non di privatizzazione». È piaciuto anche il leader di An Fini, un tempo inviso alla base della Cdo per il suo eccesso di statalismo. Ma il vicepremier si era preparato bene. Ha citato la Centesimus Annus e don Giussani per dire che «nell’ambito del riordino del welfare è importante uno Stato autorevole ma siamo altresì convintissimi delle necessità di garantire un ruolo maggiore al cosidetto privato sociale». Per lui «una certa visione del welfare è giunta al capolinea: una visione solo statocentrica non è più sostenibile. Non si può pensare che tutto possa essere di pertinenza dello Stato, ma non si può neanche pensare che tutto spetti al mercato. Devono giocare un ruolo sempre più forte», ha affermato, «gli organismi intermedi, che possono incoraggiare le parti sociali a decisioni importanti». Una formula che ha battezzato «neocorporativista», non senza aver fatto appello ai giornalisti in sale, per evitare strumentalizzazioni. Insomma, visti dall’Auditorium di Milano sembrano lontani anni luce i tempi in cui Berlusconi faceva il mattatore al Meeting di Rimini (agosto 2000) e Tremonti (proprio, lui l’aborrito nemico che consegna oggi le fondazioni alla Lega), illustrava alla stessa platea agostana (dell’edizione 2001), i suoi effetti speciali di politica fiscale. Vittadini e le sue 20mila imprese (profit e non), mostrano tutta la loro inquietudine. Qualcuno tenterà di riportarli a casa?


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