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Stop a Ius soli temperato: «Abbiamo una classe dirigente inadeguata»

L'annuncio di Gentiloni del rinvio dell'approvazione al Senato della riforma della Legge sulla cittadinanza scatena reazioni piene di disappunto da parte della società civile e delle stesse persone di seconda generazione. "Associare i diritti dei ragazzi da anni sui banchi di scuola alla questione degli sbarchi è quanto di più fuorviante". Ecco le parole di Filippo Miraglia (Arci), Marwa Mahmoud (Italiani senza cittadinanza) e don Virginio Colmegna (Casa della carità)

di Daniele Biella

“Siamo di fronte a una classe politica totalmente inadeguata”. Delusione, tristezza, rabbia. Sono tre dei sentimenti che Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci nazionale, e molte altre persone aderenti alla causa di una legge sulla cittadinanza che contempli uno ius soli temperato si sentono addosso dalla mattina di lunedì 17 luglio 2017, da quando il premier Gentiloni ha annunciato il rinvio a non prima di settembre dell’approvazione al Senato del provvedimento. Un provvedimento atteso da almeno 18 mesi – da quanto è stato approvato dalla Camera – se non da parecchi anni, perché andrebbe a sostituire le legge attuale datata 1991, ovvero “un momento storico totalmente differente da quello attuale”.

Il paradosso è che il traguardo per la legge sembrava davvero vicino, stando alle molteplici dichiarazioni di volontà in tal senso dette da quasi tutti gli esponenti dell’attuale Governo, e in particolare dal Pd, Partito democratico. Invece, la doccia gelata: “con il forte timore che non ci sarà nessun rinvio, nel senso che a vicenda verrà chiusa qui senza essere ripresa. Fa molto male tutto ciò, invito il milione di bambini e ragazzi che sta aspettando da anni la nuova legge a ricordarsi di chi non l’ha approvata, e consiglio ai loro genitori di non dare più il loro voto a chi sta governando oggi”, aggungie laconico Miraglia. “E’ stato un completo regalo alle destre, all’opposizione. Un’azione del tutto inadeguata quella del rinvio, frutto di un calcolo sbagliato e di un errore clamoroso, ovvero seguire la narrazione che affianca legge sulla cittadinanza alla questione degli sbarchi e dei viaggi dalla Libia: le due cose non c‘entrano nulla”.


L’associazione di idee tra ius soli temperato – specifica importante: non è uno ius soli e basta, perché la cittadinanza non si ottiene solo nascendo in Italia, ma aggiungendo il completamento di un ciclo di studi, per questo è più corretto chiamarlo ius culturae – e flussi di persone in fuga da problemi da Medio Oriente, Africa e Asia ha contagiato anche i due quotidiani nazionali più letti, con il Corriere della sera che il 16 luglio titolava “assedio” e la Repubblica che oggi associa sempre nel titolo di apertura i due temi. “Ma questa legge non riguarda gli adulti, piuttosto il milione di bambini e adolescenti che oggi sono sui banchi di scuola ma a differenza dei loro coetanei non possono andare in gita con loro senza un permesso speciale e in futuro non potranno accedere all’Erasmus o iscriversi ad albi professionali se non dopo un iter tortuoso e burocratico che inizia al compimento dei 18 anni”, spiega Marwa Mahmoud, italo-egiziana 33enne in prima fila tra le seconde generazioni con il movimento Italiani senza cittadinanza. Anche lei ha dovuto aspettare i 18 anni per la domanda, nonostante fosse arrivata in Italia a meno di tre, “e prima della risposta sono passati altri quattro anni in cui, oltre a chiedere al mio Paese d’origine documenti improbabili come il certificato di fedina penale pulita nonostante il breve periodo vissuto in Egitto – non ho potuto fare altro che attendere”. Cosa fa più male di questo improvviso stop alla riforma? “La consapevolezza che chi ci governa vive su un altro mondo, scollegato dalla realtà: possibile che non abbiano o non abbiano avuto figli con compagni di classe di seconda o terza generazione? Oppure non frequentano le scuole pubbliche? Non stiamo parlando di accoglienza richiedenti asilo, di rifugiati o di minori stranieri non accompagnati, piuttosto di persone che sono da anni già inserite nel tessuto sociale”, sottolinea Mahmoud, che come tutte le altre persone del movimento non si ferma allo stop di Gentiloni ma è già in viaggio tra Reggio Emilia, Modena, Milano e altre città che hanno approvato mozioni comunali pro cittadinanza "per convincere i sindaci di questi Comuni virtuosi a fare pressione sui loro colleghi".

Chiosa l’argomento don Virginio Colmegna, di Fondazione Casa della carità: "Condividiamo la battaglia di questi ragazzi e ragazze che sono nati o cresciuti nelle nostre città, che frequentano le nostre scuole e che sono italiani a tutti gli effetti, ma non hanno un documento che lo possa testimoniare. E rilanciamo il loro invito ai parlamentari a uscire dai palazzi della politica e andare a conoscere la loro quotidianità, che è anche la nostra", indica don Colmegna. "Allargare i diritti di cittadinanza a chi è nato e cresciuto in Italia da genitori stranieri significa non escludere questi bambini e ragazzi dalla vita civile del Paese – di cui sono cittadini anche se hanno origini straniere – e favorire invece inclusione e coesione sociale, che sono i veri antidoti alla paura".

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