Cultura

Il lavoro, un’epopea per immagini

La Fondazione Mast di Isabella Seragnoli a Bologna propone uno straordinario viaggio attraverso gli scatti di 60 tra i più grandi fotografi del 900. Che narrano in modo profondo ed emozionante i cambiamenti nel mondo dell’industria

di Giuseppe Frangi

«Le fotografie possono fare molto più che definire, descrivere. Sono incisive, sviluppano forze d’irradiazione, penetrano sotto la pelle, si insinuano dentro di noi anche emotivamente, comunicando non un messaggio univoco, bensì due, tre, quattro concetti diversi e paralleli». Sono parole che leggiamo nel testo introduttivo, firmato da Urs Stahel, di una mostra che la Fondazione Mast di Isabella Seragnoli propone in questi mesi nella sua attivissima sede di Bologna: un centro culturale dedicato all’innovazione e alla tecnologia con l’obiettivo di offrire un punto di vista privilegiato per rappresentare passato e presente.

Rispettando la propria mission, la Fondazione continua nell’indagine sui temi dell’industria e del lavoro. Al centro c’è sempre la fotografia come strumento privilegiato di narrazione e non solo. Per questo la mostra ha un titolo che vuole caricare la capacità della fotografia di raccontare ma anche di scavare: “La forza delle immagini – Collezione MAST: una selezione iconica di fotografie su industria e lavoro”: una vastissima selezione di immagini dalla collezione della Fondazione che, avviata cinque anni fa, copre l’intera storia della fotografia dell’industria e del lavoro dal 1860 a oggi. La collezione contempla, in senso ampio, tutte le tematiche attinenti al mondo del lavoro fra cui architettura, paesaggi urbani, macchinari, strumenti, operai, quadri dirigenti, salute, sicurezza, vita sociale, sindacati, scioperi, nonché diversi settori: minerario, metallurgico, tessile, chimico, elettronico, alimentare e non solo.


È lo sguardo di 60 fotografi a guidarci in questo viaggio globale che passa dai capannoni industriali, ai bianchi, freddi ambienti di lavoro che affrontano il tema dell’intangibilità, dell’invisibilità dei flussi di dati fino alla discarica di Dhaka, Bangladesh, dove viene rappresentata un’ampia pianura ricoperta di rifiuti.

«Davanti ai nostri occhi sfila un’epopea visiva, una danza di visioni del mondo del lavoro, una pletora di impressioni dell’industria pesante e di quella meccanica, della digitalizzazione, della società usa e getta. Il lavoro è una gigantesca macchina che produce identità», spiega Urs Stahel.

I nomi dei fotografi? Tutti nomi grandissimi da Berenice Abbott a Richard Avedon da Margaret Bourke-White a Thomas Demand, da Dorothea Lange a Thomas Struth.


Nell’immagine: una foto di Rudolf Holtappel

Mast
via Speranza 42, Bologna
Fino al 24 settembre 2017

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