Non profit

Finiamola con questi no global

Una lettrice riflette sull'uso dell'etichetta no global usata dai mass media

di Riccardo Bonacina

Sono abbonata alla vostra rivista e seguo con assiduità giornaliera il vostro sito che trovo essere fonte preziosa di informazione, specialmente per chi vuole essere informato su cosa succede in Italia vivendo all?estero. Mi sto interrogando da parecchio tempo sul ruolo che giocano i media nella situazione mondiale attuale e chiaramente la risposta è: un ruolo chiave, anche se non determinante perché esistono interessi superiori che non possono controllare. Ma la parte che riguarda l?informazione e la formazione dell?opinione pubblica non è marginale e credo che a volte dovremmo fermarci a fare delle riflessioni sui ruoli che giocano i vari attori (lavoro per una rete di ong) e fare più autocritica. Bisogna iniziare a ridare contenuti alle parole che usiamo e mi lascia sempre più perplessa il continuo riferimento ai movimenti sociale con l?etichetta no global! Mi sembrava fossimo ormai usciti da questa definizione stretta poiché le persone che si raccoglieranno a Firenze, come quelle che erano a Porto Alegre e che ogni giorno si dedicano alle loro attività, sono connesse globalmente e propongono delle alternative al modello neoliberale. è difficile spiegare concetti senza usare delle etichette ma sappiamo che la realtà è complessa e l?uso continuo di semplificazioni non aiuta la comprensione del mondo. Grazie per il vostro lavoro. Francesca Viliani, email Carissima Francesca, i mass media semplificano per definizione e per loro proprio statuto. Riconducono la complessità della vita e il caso della cronaca a un titolo, uno slogan, una foto. Spesso, però, semplificano con malizia, con un?intenzione dettata dagli enormi interessi che esprimono. è il caso dell?etichetta ?no global?, nata a Seattle nel 1999 e diventata ben presto una gabbia, in cui rinchiudere una discussione, globale, sui principi che regolano il mondo. Negli anni scorsi si è inaugurata una riflessione profonda su un modello di sviluppo incentrato sulla massimizzazione dei profitti e dei consumi sulle spalle e sulla pelle dei 2/3 della popolazione mondiale. Una riflessione che aveva conquistato l?attenzione dei cenacoli più importanti e che ha indotto veri cambiamenti negli stili di vita di molti e posto domande ineludibili sulla responsabilità sociale di chi produce e di governa. è ovvio che il modo più sbrigativo per intralciare questa riflessione e questi cambiamenti è quella di dividere il mondo in due: i globalizzatori e gli arrabbiati no global. Che lo facciano le multinazionali e i governanti poco inclini al cambiamento è normale, che a prestarsi a questo gioco siano i presunti leader di movimenti sociali, è più triste. Per questo noi da oltre un anno proponiamo uno slogan nuovo: new global.


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