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Equiparazione della infezione da COVID-19 ad infortunio sul lavoro, facciamo chiarezza

In questo periodo di emergenza è nato un acceso dibattito attorno all’equiparazione della infezione da COVID-19 ad infortunio sul lavoro e alle sue dirette conseguenze. Ne parliamo con l’Avv. Maria Giovannone, Responsabile Ufficio Salute e Sicurezza ANMIL Onlus.

di Redazione

In questo periodo di emergenza è nato un acceso dibattito attorno all’equiparazione della infezione da COVID-19 ad infortunio sul lavoro e alle sue dirette conseguenze. Ne parliamo con l’Avv. Maria Giovannone, Responsabile Ufficio Salute e Sicurezza ANMIL Onlus.

Facciamo chiarezza: è stata introdotta una nuova tipologia di reato?

La equiparazione della infezione da COVID-19 ad infortunio sul lavoro ha dato corso ad un intenso dibattito mediatico e istituzionale sul pericolo di un automatismo nel riconoscimento delle prestazioni INAIL e, ancor di più, di un ampliamento delle responsabilità penali del datore di lavoro.

Va però detto con chiarezza che, anzitutto, la equiparazione della infezione da COVID-19 ad infortunio sul lavoro non è stata introdotta dall’INAIL, bensì da una norma di legge: l’art. 42 del D.L. n. 18, del 17 marzo 2020, cosiddetto Cura Italia. Questa previsione, che non ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova forma di reato, in buona sostanza ha investito INAIL del compito di valutare, nell’esercizio delle sue funzioni amministrative, le istanze dei lavoratori o delle loro famiglie, di riconoscimento dell’infortunio da COVID-19, provvedendo ad erogare le necessarie prestazioni in sede amministrativa.

Tutte le categorie di lavoratori potranno beneficiare dell’estensione della tutela assicurativa nei confronti del contagio? Alla luce di quanto sinora emerso, è corretto parlare di un riconoscimento automatico dell’infortunio da COVID-19 da parte dell’INAIL?

Con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020, INAIL ha chiarito che l’estensione riguarda gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico, per i quali vi è una presunzione semplice di origine professionale. Di analoga presunzione, si avvalgono poi coloro che svolgono altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. Diversamente, per tutte le altre categorie generalmente destinatarie della tutela INAIL, il lavoratore resta tenuto a dimostrare la certa correlazione al lavoro della infezione. Non esiste dunque un automatismo nel riconoscimento dell’infortunio da COVID-19 da parte dell’INAIL, poiché l’Istituto deve comunque valutare le circostanze e le modalità dell’attività lavorativa, da cui sia possibile trarre elementi gravi per giungere ad una diagnosi di alta probabilità, se non di certezza, dell’origine lavorativa della infezione.

Altro tema molto caldo è quello della responsabilità del datore di lavoro. Si rende dunque necessaria l’introduzione di uno “scudo penale”, cioè di una norma che escluda la responsabilità del datore di lavoro, per infortunio da COVID-19?

La introduzione di questa normativa non ha né ampliato l’ambito della responsabilità penale del datore di lavoro né introdotto alcuna forma di responsabilità oggettiva per lo stesso. Infatti, la responsabilità penale del datore di lavoro, in questi casi, resta comunque subordinata agli esiti di un processo col quale si accertino, oltre ogni dubbio, complesse circostanze, tra le quali spicca la dimostrazione del fatto che il datore di lavoro non abbia fatto tutto quanto necessario in termini di misure prevenzionistiche per evitare il verificarsi dell’evento lesivo, che vi sia una correlazione diretta tra questa omissione di cautele e il verificarsi dell’infezione e che, in ogni caso, il comportamento del datore di lavoro sia dovuto, quanto meno, a sua colpa. Questo insieme di valutazioni renderebbe di fatto non necessaria l’introduzione del cosiddetto “scudo penale”, qualora lo stesso riesca a fornire la prova di aver adottato tutte le misure necessarie a prevenire il verificarsi dell’evento lesivo. Ad ogni modo, non può che accogliersi con favore la possibile introduzione di un provvedimento che chiarisca, in modo ancor più inequivocabile ed a beneficio di tutti, quanto già sancito dal nostro ordinamento.

A tal proposito, il 20 maggio l’INAIL ha pubblicato una circolare riguardante la responsabilità datoriale per il contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro. Qual è la posizione presa dall’Istituto?

Attraverso la circolare n. 22 del 20 maggio 2020, facente diretto riferimento all’articolo 42 del decreto Cura Italia, l’INAIL ha chiarito che “il rispetto delle misure di contenimento, se sufficiente a escludere la responsabilità civile del datore di lavoro, non è certo bastevole per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero”. Continuando, la circolare asserisce che non è possibile confondere i presupposti per l’erogazione di un indennizzo assicurativo con quelli che stanno alla base di una responsabilità penale e civile, che devono essere rigorosamente accertati con criteri ad hoc.

“Il riconoscimento del diritto alle prestazioni da parte dell’INAIL non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza del principio di presunzione di innocenza, nonché dell’onere della prova. […] Pertanto, la responsabilità del datore è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali”.

Come già detto, dunque, la responsabilità datoriale resta subordinata agli esiti di un processo, e il rispetto delle norme e delle regole solleva il datore da eventuali responsabilità.

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