Mondo

Isman, in viaggio con un minore non accompagnato

La cofondatrice del Moas, una delle ong impegnate nel canale di Sicilia, ripercorre l'odissea di un giovane partito dal Ciad nel gennaio di quest'anno. Ecco il suo racconto

di Regina Catrambone

Immagina che un giorno tua madre ti dica che devi andare via di casa: vivere lì è diventato impossibile. Hai solo 14 anni mentre raccogli le tue cose e cerchi di capire dove andare. Ti trovi nel deserto in mezzo a tanti sconosciuti e ti senti solo con le tue paure e le tue speranze. Mentre cammini fra la sabbia, senza acqua o cibo a sufficienza, pensi ai tuoi amici, alla tua casa, alla tua vita precedente. Ti avvii verso un futuro che sembra tutto in salita e pieno di insidie, senza la consolazione di poterti rifugiare fra le braccia di tua madre, senza tuo padre con cui parlare a fine giornata. Intorno a te tutto è violenza, ma tu sei ancora un adolescente. Un adolescente spinto a forza nel mondo degli adulti e costretto a bruciare le tappe.

Isman ha lasciato la sua famiglia in Chad, a N'Djamena, nel gennaio 2017. Lo stesso mese è arrivato a Sabrata in Libia per imbarcarsi verso l'Europa. La sua terra promessa è la Francia dove vive la sorella Hanan di 27 anni, che potrebbe garantirgli un futuro migliore di quello che avrebbe avuto nel Paese natale dopo che entrambi i genitori si erano risposati e il denaro non bastava mai. In Libia Isman è poi riuscito a salire su un barcone fatiscente per raggiungere l'Europa, affidando la sua vita ai trafficanti a cui interessa solo imbarcare sempre più persone disperate in condizioni atroci per incrementare i guadagni. Poco importa se arrivano a stento a navigare qualche ora. Poco importa se moriranno in mare prima dell'arrivo dei soccorsi, che spesso non hanno nemmeno il tempo di individuare l'imbarcazione in pericolo prima che questa venga inghiottita dal mare.

I trafficanti sanno che non ci sono alternative: pagare o languire nell'inferno libico fatto di campi di detenzione, sevizie, torture, sfruttamento sessuale, mercati degli schiavi. Proprio questa mancanza di alternative sicure e legali è la loro forza e la condanna per le migliaia di persone attualmente intrappolate in Libia. Isman, precedentemente tratto in salvo da altre unità navali, è stato accolto sulla Phoenix il 18 Giugno dietro richiesta della Guardia Costiera Italiana e, dopo essere stato visitato dal personale medico di bordo per controllare che non avesse bisogno di cure mediche urgenti, ha trascorso del tempo col nostro equipaggio. Così, pian piano e con l'aiuto di un interprete, anche lui tratto in salvo poco prima, Isman ha confidato la sua storia. Ha raccontato dei suoi studi in Chad, dei suoi amici che gli mancano moltissimo insieme alla sua famiglia. Ha spiegato che appena toccherà terra, chiamerà i genitori in Chad per farsi dare il numero di sua sorella nella speranza di riuscire a trovarla e ricongiungersi con lei in Francia. Sogna di studiare bene l'inglese e il francese, spera di diventare medico e ama giocare a calcio.


Isman ufficialmente viene definito "minore non accompagnato": una dicitura tecnica che mette una certa distanza emotiva dalla realtà effettiva. È poco più di un bambino, un adolescente che è stato catapultato in una realtà estremamente più grande di lui senza nemmeno la consolazione di avere la famiglia con sé. Circa la metà dei rifugiati a livello mondiale sono bambini, minori che spesso viaggiano soli o vengono separati dai familiari durante il viaggio stesso. Questa è una realtà parallela che stiamo costruendo, una generazione fantasma che domani co-erediterà il mondo. Siamo pronti ad accettare questa realtà? Ne siamo consapevoli? Dati UNHCR riportano che nel 2016 su 100.264 minori arrivati fra Grecia, Italia, Spagna e Bulgaria, 33.806 erano soli o erano stati separati dalla propria famiglia.

Nel nostro paese il 92% dei minori arrivati l'anno scorso viaggiava solo. Ma, al di là dei dati e delle statistiche, dobbiamo ricordare che proprio i minori -e in particolare quelli non accompagnati o separati dalle famiglie- sono i più fragili e vulnerabili fra i rifugiati. Abbandonati a se stessi, spesso privati della possibilità di accedere al sistema scolastico, perdono ogni speranza e diventano facile preda di sfruttatori senza scrupoli. Per loro, infatti, il futuro che sognavano prima del deserto e della traversata sembra non arrivare mai, sospesi in un limbo. È anche per loro che MOAS, insieme all'UNHCR, da quasi un anno si impegna all'apertura di canali legali e sicuri per far sì che si possa giungere in sicurezza sul suolo europeo. La procedura prevede un attento esame dei candidati, selezionati con criteri stabiliti dal Diritto Internazionale e con particolare attenzione per la loro vulnerabilità. In questo modo, nessuno dovrebbe rischiare la vita in cerca della salvezza e gli stati che accolgono avrebbero molte più garanzie rispetto agli attuali flussi migratori incontrollati. Così, finalmente, tutti gli altri Isman in viaggio verso la felicità non dovranno più temere di morire in mare o per mano dei loro aguzzini. Ma potrebbero realizzare i propri sogni in pace e sicurezza.


L'autrice è co-fondatrice e direttrice del MOAS
foto di Francesco Malavolta

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