Politica

Rosaspina, poca acqua tante spine. Storia di una diga rimasta a met

La sete della Sicilia. Un testimone raccontadi una mega diga a cui manca ancora il collaudo. Così la mafia, continua ad arricchirsi con il mercato dell’acqua

di Antonella Signorelli

Lui di anni ne ha 51, tutti scanditi da un sogno che per ora è rimasto a metà: quello di una diga che desse da bere ai campi e alla gente di Termini Imerese. La vita di Giuseppe Lo Bello, sindacalista, è legata a quella diga di Rosaspina, costruita dopo incredibili traversie lassù, a sette chilometri nell?entroterra di Termini, sul corso del fiume San Leonardo. Si sale per la strada che attraversa le colline verdi di ulivi che portano a Caccamo, e quasi a sorpresa si vede, sulla destra, uno dei più grandi laghi artificiali dell?isola, con la sua imponente costruzione di cemento e ferro. Il primo progetto della diga risale agli anni 40 e prevedeva una capienza di 80 milioni di metri cubi d?acqua. Poi, ulteriori studi dimostrarono che si poteva arrivare a 120 milioni. Racconta Lo Bello: «All?inizio degli anni 60 non si era ancora scavata neanche una buca. Per questo i contadini organizzavano manifestazioni di protesta, chiedendo l?avvio dei lavori. Era anche il periodo dei primi insediamenti industriali nella piana di Termini e tutti si rendevano conto che, se si voleva un vero sviluppo, l?acqua era un bisogno primario». Ma le cose non cambiano. Del resto, si sa, i tempi siciliani sono molto lenti. Soprattutto se entrano in gioco interessi mafiosi. Così, per avere una gara d?appalto si dovette aspettare fino agli anni 70. «Venne vinta dalla ditta Astaldi, una multinazionale che realizza opere in tutto il mondo, con macchinari appropriati e moderni. La mafia di Caccamo era però in agguato e con due attentati alla Astaldi si assicurò un subappalto. Io ero allora un giovane sindacalista e insieme con altri organizzai uno sciopero per premere affinché si trovassero i veri colpevoli di quelle azioni. Durante il comizio dissi che per trovare i mandanti degli attentati bastava capire chi godesse dei benefici: lo sciopero si teneva proprio sul piazzale del cantiere, dove vedevamo allineati e fermi i mezzi della multinazionale mentre le ruspe inadeguate di una ditta caccamese avevano preso il loro posto negli scavi. Venni convocato dalla direzione della Astaldi che mi pregò di lasciar perdere, spaventata per la sua sorte e la mia. Del resto si sa come la mafia risolve i problemi, negli anni 50 già due sindacalisti, uno di Sciara e l?altro di Caccamo, erano stati uccisi». Fatto sta che i lavori proseguirono a singhiozzo, con ritardi, continue interruzioni e lievitamento dei costi. Del resto era proprio quello che la mafia voleva: prendere i soldi pubblici stanziati e contemporaneamente vendere in tutta tranquillità, ai contadini e agli stessi enti pubblici, l?acqua dei pozzi che possedeva. Conclusioni: la diga fu inaugurata nel 1990 e non è mai stata collaudata (per cui contiene due terzi dell?acqua potenziale). La ditta Astaldi non denunciò mai le minacce. Dal costo previsto nel progetto iniziale, di 28 miliardi di lire, si è arrivati ai circa 300 miliardi di spesa finale. Si attesero altri 6 anni per avere una rete irrigua primaria mentre quella secondaria, che farebbe risparmiare acqua e darebbe maggiori benefici alle campagne, non è mai stata costruita. E manca il collegamento con la rete idrica urbana di Palermo, che passa lì vicino….


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