Welfare
Gli invalidi in cucina? Preparano il proprio futuro
Storie di ordinaria quotidianità, come molte di quelle che l’Anmil, l’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, raccoglie ogni giorno. Le abbiamo raccolte sul numero del magazine in distribuzione
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La frase è dello chef stellato Heinz Beck, tedesco d’origine ma che ha trovato nelle prelibatezze italiane motivo d’ispirazione e successo, e invita a qualche riflessione: «Cucinare non è mangiare. È molto di più. Cucinare è poesia». Tra i fornelli sono nate passioni e grandi rivalità. Ma c’è anche chi, fra i tegami, ha ritrovato la speranza e, forse, una nuova ragione di vita. Sono storie di ordinaria quotidianità, come molte di quelle che l’Anmil, l’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, raccoglie ogni giorno.
Le ripartenze
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Tre di loro, tutti residenti nel Sud d’Italia, in particolare ci hanno colpito: li abbiamo soprannominati i “maestri del buon mangiare”. I loro nomi? Filippo Di Leonardo, 58 anni, di Campofelice di Roccella, in provincia di Palermo; Nicola Cinà, anche lui palermitano; Saverio Caradonna, 43enne pugliese di Molfetta (Bari). I primi due hanno contribuito alla realizzazione del libro “Racconti di cucina”, pubblicato dall’Inail di Palermo in collaborazione con l’Istituto Don Calabria-Progetto per la famiglia.
Fare lo chef è sempre stata la mia grande passione. Non ho mollato nemmeno dopo l’amputazione della gamba
Filippo Di Leonardo
Ognuno di loro ha attraversato il tunnel dell’infortunio sul lavoro: un attimo, e la vita che cambia all’improvviso. «Ho sempre lavorato come chef, la mia grande passione», racconta Di Leonardo, che è sposato e ha una figlia. Poi, a seguito di un grave incidente, ho subìto l’amputazione di una gamba e così ho dovuto ricominciare daccapo. «Ma non mi sono arreso». C’è l’imponderabile anche nella biografia di Cinà che, nel 1991, debutta come pasticcere e rammenta, di quell’esperienza, «i colori delle mie vetrine e il profumo di buono che si spargeva nell’aria». Un incidente stradale, mentre si reca al lavoro, infrange il sogno di aprire, con la compagna, una gelateria artigianale alle isole Mauritius.
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«Quattro mesi prima di partire», ricorda, «ho dovuto affrontare la prova più dura, però il progetto di trasferirmi, anche solo per una breve vacanza, non l’ho mai accantonato». Caradonna, invece è cuoco di professione, ha perso tre dita della mano mentre maneggiava un’apparecchia- tura in cucina: «Sei ore sotto i ferri e due mesi in ospedale con una sola domanda nella testa: ora che cosa farò?».
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Il gruppo “Racconti in cucina”
Il lieto fine non è scontato
Filippo, Nicola e Saverio hanno trovato, ciascuno a modo suo, una risposta: non si sono tirati indietro, perché vogliono dimostrare che possono farcela, più forti anche dei diffusi pregiudizi. Sanno, come ha scritto un poeta inglese, che «disabilità non vuol dire inabilità; significa semplicemente adattabilità». E loro si sono rimessi in gioco. Il lieto fine non è scontato, ma possibile.
Quello di Di Leonardo è racchiuso tra le mura dell’Opera Don Calabria: «Mi sono trovato in mezzo a giovani con alle spalle un passato difficile. Da volontario, sapevo solo cucinare: poterlo fare aiutando altri ragazzi mi ha riempito di soddisfazioni. Preparare qualche piatto speciale è diventato un modo per cercare di superare i problemi».
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I due chef
Tramite l’Inail, invece, Cinà tiene corsi per pasticceri: «Insegno il mio mestiere e cerco di trasmettere la mia passione. È una sfida importante, ma ho capito che, con la determinazione, anche i traguardi apparentemente impossibili possono essere raggiunti». E Caradonna? Lui pure è deciso a portare avanti la sua battaglia: «Faccio ancora il cuoco», spiega, «e nonostante la crisi, resisto. Non è facile: si va avanti facendosi le spalle forti. Non c’è alternativa ma un lavoro stabile che mi permetta una vita familiare tranquilla ancora lo devo trovare». Dice lo scrittore Paulo Coelho: «Il mondo è nelle mani di co- loro che rischiano di vivere i loro sogni. Ognuno col proprio talento». Filippo, Nicola e Saverio ci hanno creduto, e ce la stanno facendo. Lontano dai riflettori, dalle ribalte, in una dignitosa, e onesta, normalità. Che, proprio per questo, diventa esemplare: monito alla fiducia per chi è chiamato, nonostante i limiti del corpo, a dover essere più forte del destino.
Tutte le foto sono di Sebastiano Bellomo