Welfare

Caritas: applicare legge assistenza

Dal 28° convegno nazionale un richiamo a rendere operativa la legge quadro. Bocciata la Bossi-Fini. Maggiore progettazione per il servizio civile

di Giampaolo Cerri

«Gli scenari politici, culturali, economici, legislativi della nostra azione sono in cambiamento o in transizione e ci chiedono di saper cogliere nel quotidiano della nostra azione pastorale e socialel e risposte ad alcune domande fondamentali, facendoci costruttori di nuovi percorsi educativi, con l?obiettivo di privilegiare i più poveri, in un quadro di risposte adeguate per tutti i cittadini.». Lo dice la Caritas nazionale che ha concluso ieri a Roma il suo 28° congresso. Una riflessione cha ha toccato temi sociali ma anche politici. «Il crescente protagonismo delle Regioni e delle comunità locali nelle decisioni in tema di politiche sociali», recita il comunicato finale dei lavori, «richiede maggiore attenzione nell?individuare disparità territoriali, diritti negati, zone d?ombra. Questo si traduce in attenzioni e azioni concrete». Per la Caritas «innanzi tutto occorre accompagnare la sperimentazione di nuove forme di attenzione all?esclusione sociale, quale il reddito minimo di inserimento avviato in oltre 300 comuni d?Italia, e far sì che tale esperienza venga poi estesa all?intero territorio nazionale, come già avviene in tutti i paesi dell?Unione Europea, ad eccezione della sola Grecia». Da ribadire inoltre «anche la necessaria applicazione della legge quadro sui servizi sociali che rende effettivi i principi costituzionali di uguaglianza e dell?integrazione tra sistema pubblico e privato e offre in particolare una risposta alla frammentazione degli interventi sociali e ad un eccessivo accentramento dell?erogazione di tali servizi a livello statale». Non poteva ovviamente mancare un riferimento al tema dell’immigrazione. «Il fenomeno migratorio ha bisogno di leggi che sappiano interpretare e sostenere la persona immigrata, la sua famiglia e tutelare i suoi diritti. E la nuova legge va in direzione opposta: si ribadisce, in questa sede, il nostro fermo dissenso e la volontà di operare per un suo superamento. Per questo, come comunità cristiane, ci sentiamo interpellati a saper trovare e suggerire risposte nuove, che mirino al riconoscimento degli immigrati come cittadini, soggetti di diritti e non all?adozione di misure discriminatorie nei loro confronti, come quella relativa alle impronte digitali per l?identificazione personale». Per quanto riguarda il volontariato «ribadiamo il valore della gratuità e l?importanza del suo valore educativo, prima ancora che funzionale ai servizi. Chiediamo di dare il giusto nome alle esperienze (volontariato, servizio civile, impresa sociale?), di puntare ad un riconoscimento effettivo sul territorio e nelle politiche delle diverse esperienze di volontariato, di sperimentare forme nuove di lavoro tra esperienze di volontariato e di impresa sociale, o di trasformazione di esperienze di volontariato e di servizio civile in imprese sociali che diano alle persone, nell?economia e nei servizi, una professionalità, un lavoro, un futuro». Sul servizio civile, Caritas ricorda «il significativo ingresso del mondo femminile», che «impone di uscire dalla prospettiva del ?breve termine? e di avviare una progettazione condivisa per promuovere proposte nuove e attente ai giovani e capaci di attivarsi verso i bisogni più urgenti del territorio, all?interno della formulazione dei piani di zona per politiche di inclusione sociale. Ma anche proposte che diventino stile, scelta di vita, a livello personale, professionale, familiare». Dal convegno arriva anche un forte richiamo alla pace. «Il 71% degli italiani è contrario ad azioni violente per la risoluzione dei conflitti e chiede alla comunità internazionale prevenzione e mediazione», dice la Caritas, «Scelte difficili, soprattutto dopo l?11 settembre. Terrorismo e sicurezza sembrano essere diventate le nuove parole-chiave delle politiche nazionali e internazionali. Ma sicurezza di chi? E cosa significa pace? Questo dobbiamo chiederci di fronte all?emergenza quotidiana di milioni di persone nel mondo, vittime sia di una violenza strutturale che nega i diritti fondamentali delle persone, sia di vere e proprie guerre dimenticate sì da media e istituzioni, ma non dagli interessi economici dei potenti. Per questo i governanti hanno il dovere di cambiare rotta, con azioni di prevenzione e mediazione nonviolente e conformi al diritto internazionale, e non con politiche di riarmo. Anche perché ogni crescita della corsa agli armamenti, sia a livello nazionale che europeo, rischia di costituire un?ulteriore battuta di arresto nella scelta di forme di difesa nonviolenta, oltre a sottrarre enormi risorse alle politiche sociali e di sviluppo». Rinnovate politiche e scelte per i piccoli della terra Il documento si conclude con un richiamo ai problemi dello sviluppo. «CDome ha dimostrato il recente vertice FAO, ai Paesi ricchi non interessa il tema della fame, che pure coinvolge oltre 800 milioni di persone. C?è bisogno urgente di aiuti diretti ai Paesi poveri, che vadano oltre gli slogan o le dichiarazioni di intenti: siamo ben al di sotto di quello 0,7% del Pil, già abbondantemente superato a parole. Infatti abbiamo raggiunto uno dei minimi storici, collocandoci all?ultimo posto tra i Paesi dell?Unione Europea, con una percentuale dello 0,13%».


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