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Ibrahim Yacouba (Ministro degli Esteri del Niger): “Salvare i migranti è un dovere morale”

Oggi la Farnesina accoglie una conferenza ministeriale per adottare un nuovo approccio integrato (solidarietà e sicurezza) nella gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa. Il Niger è un paese di transito chiave per la lotta contro il traffico di esseri umani (ma anche il terrorismo). In questa intervista rilasciata a Vita.it, il suo ministro degli Esteri, Ibrahim Yacouba, spiega il perché.

di Joshua Massarenti

“A Shared Responsability for a Common Goal: Solidarity and Security”. E’ il titolo della Conferenza ministeriale che si tiene oggi alla Farnesina con l’obiettivo di rafforzare il partenariato esistente con i Paesi africani di transito dei flussi migratori. La conferenza, presieduta dal ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, Angelino Alfano, a sua volta affiancato dal viceministro Mario Giro, vede la partecipazione di rappresentanti di alto livello di istituzioni e organizzazioni internazionali (come Federica Mogherini) e i ministri degli Esteri dei principali paesi africani di transito, oltre che di quei paesi dell’Unione Europea maggiormente impegnati nella cooperazione in materia migratoria con i paesi africani di transito.

A Roma è presente il ministro degli Esteri del Niger, un paese chiave nella gestione dei flussi migratori africani con cui l’Italia ha firmato di recente un accordo di cooperazione tecnica pari a 50 milioni di euro che mira principalmente a rafforzare il controllo della frontiera il Niger e la Libia. In questa intervista a Vita.it, Ibrahim Yacouba spiega “le sfide immense che il suo paese deve affrontare e il contributo che Niamey intende dare nella lotta contro il terrorismo, i traffici di esseri umani, di droga e di armi nel Sahel”. All’origine di questo impegno, “c’è il dovere morale di salvare la vita dei migranti, fermare le tragedie nel deserto saheliano e nel Mediterraneo, e garantire un futuro ai giovani africani”.

Abbiamo il dovere morale di salvare i migranti, fermare le tragedie nel Sahel e nel Mediterraneo, e garantire un futuro ai giovani africani.

Ministro, che sguardo porta sull’azione dell’Italia nel Sahel, special modo in Niger?

Le relazioni dell'Italia e i paesi del Sahel, compreso il Niger, non sono mai state così buone, e il vostro paese è diventato un protagonista importante in un’area geopolitica dove in passato era meno presente. Lo testimoniano i viaggi ufficiali del vostro Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, nella nostra regione, e quello più recente a Roma del nostro Presidente. Questa conferenza interministeriale ci offre l’opportunità di consolidare un partenariato che è stato rafforzato con l’accordo bilaterale siglato a marzo tra i nostri due paesi, e l’apertura di una vostra ambasciata a Niamey. Ma vorrei sottolineare un altro aspetto del ruolo dell’Italia: gli sforzi straordinari effettuati da Roma per salvare i migranti africani nel Mediterraneo. L’Europa non appare molto unita in questa crisi, spero che possa dimostrarsi più umana. Ogni Stato ha il dovere di salvare le persone in pericolo di vita, di accoglierle e cercare di integrarle nel miglior modo possibile. Ma è necessario andare oltre l’emergenza e lottare contro le cause che generano i drammi del Mediterraneo. Questo significa offrire opportunità concrete ai giovani africani affinché possano vivere in modo decente, senza rischiare la propria vita per raggiungere l’Europa.

Come può, un paese colpito da una povertà diffusa come il Niger, affrontare una tale emergenza?

Come sapete, il Niger è tra i principali paesi africani di transito dei migranti africani, il che significa che un paese povero come il nostro è sottoposto a pressioni enormi per contenere e regolare i flussi. Il governo nigerino non si è mai tirato indietro nella lotta contro il traffico di esseri umani per fare in modo che il Sahel non diventi un cimitero a cielo aperto per i nostri giovani, adottando anche misure molto dure e dialogando in modo continuo sia con l’Italia che con l’Unione Europea. I drammi che continuano a verificarsi nel deserto sono una vergogna per gli Africani, il Niger ritiene che è un suo dovere morale contribuire a fermare questa tragedia. Purtroppo l'umanità non è all'atezza dei drammi che si stanno acumulando sotto i nostri occhi.

Le relazioni dell'Italia e i paesi del Sahel, compreso il Niger, non sono mai state così buone, e il vostro paese è diventato un protagonista importante in un’area geopolitica dove in passato era meno presente.

In che modo?

I flussi in uscita sono molto diminuiti, ora siamo confrontati al ritorno sempre più intenso di migranti in provenienza della Libia, dove la situazione rimane estremamente caotica. Oggi stiamo ancora subendo le conseguenze della caduta del regime di Gheddafi, la stabilizzazione di questo paese è essenziale per la nostra sicurezza, ma anche per ridurre le partenze dei migranti dalle coste libiche. Da sempre il Niger sostiene una Libia unita, purtroppo sta accadendo il contrario, con una profilerazione di gruppi terroristici e ribelli, alimentati da potenze straniere che li sostengono sia sul piano finanziario che militare. E’ molto preoccupante. Sappiamo ad esempio che dei veicoli lasciano il nostro paese con a bordo dei migranti e tornano in Niger carichi di armi. Nella nostra regione, i traffici di esseri umani, di armi e di droga sono strettamente legati, e la Libia rimane un crocevia di questi traffici. La nostra capacità a combattere efficaciamente questi traffici e gestire i flussi migratori africani passa per una stabilizzazione di questo paese e, prima ancora, per un dialogo che coinvolga tutte le parti in conflitto, ad esclusione dei terroristi che vanno combattuti e sconfitti.

Come reagisce ai rapporti e agli articoli che denunciano le condizioni disumane dei migranti africani nei campi di detenzione libici che sono fuori controllo?

I migranti che tornano dalla Libia rilasciano testimonianze terrificanti. Nessun governo può accettare che degli esseri umani vengano trattati in questo modo, siamo al confine con la schiavitù. Purtroppo, fino a quando il territorio libico non tornerà sotto il controllo di un solo governo e la pace non verrà ristabilita, sarà molto difficile proteggere i migranti. Come ministro degli Esteri del Niger, ho protestato a più riprese nei confronti dell’ambasciatore libico a Niamey per denunciare le condizioni disumane in cui vivono alcuni nostri cittadini in Libia, dove le esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno. Purtroppo, sappiamo che le nostre proteste cadono nel vuoto perché le autorità libiche non sono in grado di rispondere alle nostre esigenze e proteggere i nostri migranti. Urge un sostegno, anche militare, da parte della Comunità internazionale per ristabilire la sicurezza sull’insieme del territorio libico, sconfiggere i terroristi e sradicare i traffici di esseri umani.

La nostra capacità a combattere efficaciamente i traffici e gestire i flussi migratori africani passa per una stabilizzazione della Libia e, prima ancora, per un dialogo che coinvolga tutte le parti in conflitto, ad esclusione dei terroristi che vanno combattuti e sconfitti.


In misura certo non comparabile rispetto a quanto accade in Libia, una recente inchiesta giornalistica ha rivelato che dei migranti vengono sequestrati e rapinati dalla polizia nigerina. Ci sono misure che le autorità del Niger hanno adottato per difendere i loro diritti?

Purtroppo esistono casi in cui i diritti dei migranti non sono stati rispettati, ma posso assicurare che le nostre leggi sono molto severe contro coloro che minacciano questi diritti. E’ un problema rispetto al quale siamo molto sensibili.

Il Niger è uno dei principali paesi beneficiari del Fondo fiduciario europeo per l’Africa adottato nel 2015. Quali i risultati?

L’Europa sa quanto il Niger si sta impegnando per combattere le migrazioni irregolari e il terrorismo. Oggi la nostra più grande preoccupazione riguarda i tempi con i quali gli aiuti e i programmi a favore delle popolazioni locali sono erogati e implementati. Le procedure burocratiche di alcune istituzioni e paesi europei stanno ritardando l’attuazione dei progetti e i programmi che il Niger vuole sviluppare sul suo territorio. Abbiamo la necessità urgente di creare posti di lavoro per i giovani, alcuni di loro erano coinvolti nei traffici di migranti, e ora sono disoccupati. C’è un vuoto tra i bisogni dei nostri cittadini e un’erogazione efficace e diretta degli aiuti che va colmato, altrimenti diventa tutto più difficile. Al Summit Ue-Africa sulle migrazioni che si è tenuto a La Valletta nel 2015, il Niger aveva sottoposto un programma di lotta contro le cause all’origine dei flussi migratori irregolari pari a 700-800 milioni di euro, ad oggi non abbiamo ricevuto la metà dei fondi richiesti.

Le procedure burocratiche di alcune istituzioni e paesi europei stanno ritardando l’attuazione dei progetti e i programmi che il Niger vuole sviluppare sul suo territorio.

La società civile europea lamenta un uso improprio di una parte dei fondi destinati allo sviluppo per sostenere azioni di sicurezza. E’ una critica condivisibile?

Sviluppo e sicurezza sono due problemi totalmente legati fra loro, è impossibile dissociarli. Voglio però assicurare che i fondi di sviluppo non sono spesi per l’acquisto di materiale militare, ma le nostre frontiere vanno protette, i corpi di polizia formati sui diritti umani. A mio giudizio, la sfida più urgente rimane il tempo di erogazione dei fondi e il fatto che vanno spesi in modo efficace. C’è il rischio di non risultare credibile nei confonti dei cittadini. In Niger, le autorità e popolazioni locali si lamentano a volte del divario che continua a sussistere tra il giorno in cui gli aiuti vengono annunciati e la loro implementazione sul terreno. Siamo in una situazione di emergenza continua, su tutti i fronti, che non ci consente di accumulare ulteriore ritardo.

Tra queste emergenze c’è la lotta contro il terrorismo. Questa settimana Boko Haram è tornato a colpire in Niger. Qual’è il livello di minaccia di questo gruppo per le autorità nigerine?

Negli ultimi anni, le forze armate nigerine, assieme a quelle dei paesi frontaliere, sono riuscite ad indebolire fortemente il gruppo terroristico nigeriano. Siamo passati da una guerra convenzionale ad una guerra assimetrica che va portata avanti per eliminare totalmente questo gruppo. Detto questo, la minaccia non si limita a Boko Haram. L’insicurezza in Mali rimane molto preoccupante.

Saluto gli sforzi straordinari effettuati da Roma per salvare i migranti africani nel Mediterraneo. L’Europa non appare molto unita in questa crisi, spero che possa dimostrarsi più umana.

Quali sono gli obiettivi della Forza militare annunciata il 2 luglio dai paesi del G5 Sahel di cui il Niger fa parte?

Il terrorismo djihadista è una minaccia regionale che necessita una risposta regionale. Da tempo, i paesi del G5 Sahel [composto da Niger, Burkina Faso, Mali, Ciad e Mauritania] sono impegnati nella lotta contro i terroristi, ne sono la prova le operazioni militari congiunte portate avanti dal Niger e il Ciad per sconfiggere Boko Haram, ma è la prima volta che abbiamo deciso di mettere le nostre forze in comune per proteggere le nostre frontiere e organizzare operazioni congiunte in un paese frontaliero, sotto il coordinamento di un centro di comando regionale basato a Sévaré, in Mali. Questa forza sarà per ora composta da 5mila uomini con un dispiegamento progressivo entro il prossimo autunno, con l’obiettivo di raggiungere 10mila unità.

Le stime del G5 Sahel sul piano finanziario si aggirano sui 420 milioni di euro, finora ne sono stati raccolti appena un quarto…

Ognuno dei cinque paesi aderenti a questa forza ha messo sul tavolo 10 milioni di euro, a cui si aggiungono 50 milioni di euro dell’Unione Europea e 8 milioni di supporto materiale e logistico della Francia. Mancano circa 300 milioni che richiedono una forte mobilitazione della Comunità internazionale. A Roma, il Niger chiederà che ogni paese ci aiuti a raggiungere l’obiettivo dei 423 milioni di euro necessari per implementare in modo efficace questa nuova forza congiunta, ivi compreso l’Italia. Una conferenza dei donatori verrà probabilmente organizzata. Da soli, non ce la faremo. Vorrei ricordare che il Niger impiega più del 10% del proprio Pil nella difesa e la sicurezza, si tratta di uno sforzo enorme che tutti ci riconoscono. Ma non basta, abbiamo bisogno di aiuto.

Il terrorismo djihadista è una minaccia regionale che necessita una risposta regionale. Ecco perché abbiamo deciso di creare una Forza militare congiunta tra cinque paesi del Sahel, anche con il sostegno dell'Unione Europea.

In una recente intervista, il Presidente del Niger si è lamentato dalla risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che se da un lato riconosce questa forza, dall’altro la priva di un mandato onusiano. Perché?

Riteniamo che la risoluzione 2 359 adottata in giugno è insufficiente. Sin dall’inizio, il Niger ha spinto affinché la forza del G5 Sahel diventasse una sorte di brigata all’interno della Missione multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali, il che ci avrebbe consentito di poter beneficiare di una parte dei fondi di cui dispone la Minusma, circa un miliardo di dollari all’anno. Per ora questa proposta non è stata accolta, ma non ci rassegniamo. Anche perché la Minusma, su cui pesa un mandato che non le consente di agire con la forza sotto il capitolo 7, va rafforzata.

Quella del terrorismo e dei traffici di esseri umani, di armi e di droga nel Sahel è una crisi africana. Non crede che l’Unione Africana avrebbe dovuto dare l’esempio finanziando per primo la nuova forza del G5?

Ci auguriamo che l’UA possa mettere a disposizione fondi aggiuntivi. L’UA ha deciso di creare un Fondo per la pace che ci consentirà in futuro di prendere in carica tutte le operazioni contro il terrorismo e per il mantenimento della pace sul continente africano.

Un'ultima domanda. Nel suo ultimo Summit che si è chiuso il 4 luglio, l'Unione Africana non ha messo in cima alla sua agenda l'emergenza migrazioni. Perché i leader africani non ne fanno una priorità politica?

Non lo era in passato, oggi invece lo è. Alcuni anni fa molti leader africani consideravano che i loro cittadini alla ricerca di una vita migliore erano liberi di andare dove volevano. Le tragedie che si sono molteplicate li hanno convinti del contrario. Al Summit di Addis Abeba, le migrazioni erano all'ordine del giorno. Del resto, il Re del Marocco è stato incaricato di assumere la leadership su questa questione. Come vede, i tempi sono cambiati.

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