Sostenibilità

L’allarme del mondo bio: per 2 aziende su 3 sempre più difficile resistere

Secondo un sondaggio condotto dalla Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica per conto di Aiab, FederBio e Assobiodinamica la liquidità è uno dei problemi impellenti se si vuole una Fase2 green. Online la campagna “Cambia la terra” promuove una serie di video interviste ai produttori dal titolo evocativo: “Restiamo in campo”

di Antonietta Nembri

Per oltre due aziende su tre del settore biologico la possibilità di reggere alla crisi economica sopraggiunta a causa dell'emergenza sanitaria è di massimo tre mesi. È questo uno dei primi dati dell'analisi voluta e sviluppata dalle tre maggiori organizzazioni del comparto: Aiab, FederBio e Assobiodinamica, a partire da una proposta della Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica (Firab), per rilevare l'impatto della pandemia da Covid-19 sul biologico. Il sondaggio è stato somministrato alle realtà del settore a partire dal 25 marzo e per tutta la durata del lockdown. I primi risultati, elaborati da Firab, sono relativi alle risposte fornite da quasi 400 produttori biologici italiani alla data del 29 aprile.

Il dato emerso registra come tre quarti delle aziende bio, il 73%, sia stata investita dalla crisi legata alla pandemia. In termini di liquidità, per oltre due aziende su tre (il 65%) la tenuta economica è al massimo di tre mesi.
Le difficoltà maggiori sono state incontrate dai produttori legati ai canali di distribuzione che prevedono maggiore mobilità delle persone, come il raggiungimento delle aziende che praticano vendita diretta, o di socializzazione come il settore alberghiero, ristorazione, bar, coi quali collaborano un terzo dei rispondenti e altre forme di ristorazione. Per il 24% degli intervistati ha avuto un impatto notevole anche il divieto di tenere mercatini e fiere.

Problemi che sono emersi nel corso delle video interviste realizzata all’interno della campagna “Cambia la terra” promossa da FederBio con Legambiente, LIpu Wwf, Isde e altri partner e che sono stati intitolati “Restiamo in campo”. In uno dei video Antonio Tesini, della cooperativa Ca’ Magre, a Isola della Scala, in provincia di Verona, che produce ortaggi biologici. Spiega: «Non possiamo più fare i mercatini: nonostante il governo abbia fatto un decreto che garantisce la vendita di generi alimentari ma i mercati, a livello locale, dunque da ordinanze dei sindaci, sono stati cancellati. Gli assembramenti? Sono lo stesso problema che hanno i supermercati. Infatti noi avevamo trovato delle soluzioni per risolvere la questione, ma non è facile in questo momento dialogare con gli enti pubblici. Noi non vogliamo andare contro le norme, però come produttori di cibo, e di cibo di qualità, non capisco perché non abbiamo gli stessi diritti della grande distribuzione. Ci consideriamo contadini resistenti, vogliamo comunque rispettare le regole, però l’impossibilità di vendere i nostri prodotti pensiamo sia una ingiustizia. E d’altra parte riceviamo centinaia di telefonate di persone che vogliono venire a comprare i nostri prodotti, freschi e biologici».

Il ciclo #restiamoincampo era stato inaugurato dalla presidente di FederBio Maria Grazia Mammuccini, imprenditrice agricola assieme al marito, nel Chianti. Nel suo dialogo con la giornalista ambientale Simonetta Lombardo aveva ricordato: «Il biologico è stato pioniere dei mercati di vendita diretta. È importante difendere questi presidi mantenendo le misure di sicurezza necessarie». Secondo l’imprenditrice toscana, inoltre, per quanto riguarda il commercio del vino «l’export si è quasi bloccato e la vendita diretta di prodotti è ferma». Come riprogettare al futuro? «Pensare alla sicurezza alimentare è sicuramente importante in questa fase, emerge la necessità di avvicinare chi consuma a chi produce».

Le interviste realizzate tra marzo e aprile da nord a sud e andate in onda in streaming sono raccolte online alla pagina Facebook dell’iniziativa



Nel post le clip delle diverse interviste realizzata per "Restiamo in campo"

Tornando al sondaggio è anche emerso che tra le aziende che hanno stimato di poter resistere ancora un anno, poco meno del 10%, a prescindere dalla classe di fatturato, molte hanno registrato un aumento delle richieste online e della consegna a domicilio. I dati evidenziano come siano le medio-grandi imprese, a fronte di una capacità tempestiva di riorganizzare il proprio business, ad avere più strumenti per garantire una maggior tenuta. Il 16 % delle aziende si avvale appunto dell'ecommerce.

A raccontare l’esperienza online è anche Sara Rizzardini, dell’azienda agricola Biobiò di Vobarno, in provincia di Brescia che racconta: «Il sabato mattina facevamo un mercato in piazza, a Brescia, non sappiamo quando potrà riaprire. Per noi quindi mantenere il contatto con i nostri clienti, tramite la piattaforma web, è stato fondamentale. Ci dà una speranza per il futuro: è anche bello vedere il rapporto coi nostri clienti, forse di amicizia, tanti ci tengono a comprare i nostri prodotti solo per sostenere la nostra realtà, un rapporto che si è creato e che ci scalda il cuore»

«Le nostre aziende hanno in primo luogo bisogno di ascolto, come testimonia l'ampia adesione a questo sondaggio», dichiarano le associazioni di categoria del biologico. «Le esigenze dei produttori biologici vanno comprese e servono misure adeguate, se si vuole salvare un comparto fondamentale per una Fase 2 “green”. Chiediamo dunque che venga snellita la procedura burocratica per garantire la fruizione dei fondi messi a disposizione per l'uscita dall'emergenza economica e sociale. Abbiamo infine una proposta concreta, oltre alla liquidità necessaria subito, che comporta solo un'azione di snellimento burocratico e organizzativo: si renda immediatamente efficace l'erogazione di risorse della Politica agricola comunitaria (Pac) e del Programma di sviluppo rurale (Psr) già a bilancio, che non derivano da prestiti o debiti per Stato o Regioni».

Quasi la metà (49%) delle aziende che ha partecipato alla rilevazione realizzata da Firba è composta da realtà di piccole dimensioni che realizza un fatturato inferiore a 50 mila euro, in pratica la maggioranza di quanti hanno risposto; per il 33% sono invece imprese che generano 250mila euro all’anno. Il rimanente è rappresentato da imprese con un giro di affari entro il milione di euro (9%) o poco superiore (9%), c'è poi un 5% di imprese sotto i 500mila euro annui e pochissimi i casi, segnala una nota, che raggiungono i 10 milioni.

In apertura foto by Håkon Fossmark from Pixabay

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