Mondo

Il record del Giappone. Un non profit da mondiale

Ben 85mila ong, oltre 70mila organizzazioni senza fini di lucro. E poi una produzione legislativa senza Paragoni. Il boom dopo il terremoto del 1995 a Kobe

di Carlotta Jesi

Shinji Ono, star 22enne della nazionale di Tokyo, non è l?unica sorpresa che il Giappone presenta ai Mondiali. Il 31 maggio, col calcio d?inizio, hanno debuttato in mondovisione anche 16.500 volontari del Sol levante. Selezionati dal Comitato organizzatore della Coppa fra 29mila candidati, come le ?facce dell?evento?. Con un compito che va al di là dell?accoglienza negli stadi: mostrare il Giappone solidale nascosto dallo stereotipo del Giappone egoista e individualista. Stereotipo, per la verità, sfatato due anni fa da uno studio della John Hopkins University sul potenziale occupazionale del Terzo settore in 28 nazioni: con un tasso di impiegati nel non profit pari al 3,5%, nel 1995 il Giappone si trovava a metà classifica. Non male per il Paese degli egoisti tutti azienda e carriera. Ma se ne accorsero in pochi. Ai Mondiali i volontari sono griffati Adidas, e la visibilità è assicurata. Fuori e dentro gli stadi. Lo sport non profit Perché la società civile nipponica (85mila ong, 70.115 organizzazioni senza scopo di lucro e 1,5 milioni di occupati) oggi si vede a occhio nudo. Sono non profit un quinto dei 300mila impianti sportivi del Paese (compresi 46 campi da golf e 264 fitness club), il 70% delle strutture di assistenza medica e addirittura il 27,1% delle scuole. Un Terzo settore, insomma, che è la regola e non l?eccezione. Ma non è sempre stato così. Perché nella storia del non profit giapponese, secondo molti importato dalla Cina assieme al buddismo nel IX secolo dal monaco Kukai, c?è un pre e un post 1995, l?anno del terremoto di Kobe-Awajishima che uccise 6.500 persone e fece risorgere l?impegno civile: 1,3 milioni di cittadini donarono 173 miliardi di yen (uno yen oggi vale oltre 115 euro); le ong raddoppiarono, da 186 del 1991 a 351 del 1995, i volontari raggiunsero quota 5,3 milioni. Sette anni dopo, le famiglie che donano al non profit sono l?87,4%, quelle che si impegnano il 20,3% e la percentuale di adulti che fa volontariato è del 26%. Le loro aree di impegno? Soprattutto servizi sociali e attività ricreative, campi in cui, secondo la Johns Hopkins, lavorano rispettivamente il 18 e l?11% dei volontari. Mentre scarsa risulta la percentuale di quelli che si dedicano all?ambiente: l?1%. Tanti enti, tante leggi Più difficile stabilire in che tipo di organizzazione lavorano i volontari: fatta salva un?unica definizione di non profit (organizzazione senza scopo di lucro con meno di un terzo dello staff retribuito) ci sono almeno 8 modi diversi di incarnarla (vedi box), ognuno con la sua legge quadro. Le koeki hojin, per esempio, regolate dall?articolo 34 del Codice civile, lavorano «per la promozione dell?interesse pubblico». Simili a fondazioni che erogano denaro sono le koeki Shintaku, regolate dal Trust Act del 1922. Altro nome e altra legge anche per le shakaifukushi hojin, che si occupano di welfare: funzionano secondo la legge sul Welfare sociale del 1951.Una produzione legislativa che non ha eguali in altri Paesi industrializzati, spiegano dall?Asian Philantrophy Network, organizzazione che promuove l?informazione sul sociale: «Il non profit giapponese è quello più regolamentato e con meno libertà di manovra». Spulciare, per credere, fra le rigide norme su tasse e deducibilità fiscale. Le organizzazioni per l?interesse pubblico, per esempio, pagano una tassa del 27% contro il 37,5 imposto alle aziende profit, ma solo sulle entrate avute con attività profit. Le iryo hojin, enti per l?assistenza medica, sono invece trattate come profit. Diverso, a seconda dell?ente, anche il trattamento riservato ai privati cittadini che sostengono il Terzo settore. Nel campo dei finanziamenti sociali, la parte del leone la fa lo Stato da cui arriva il 40% del denaro. Ma le aziende non si tirano indietro. Keidanren, la confindustria giapponese che nel 1989 ha proposto ai suoi 1.054 membri di donare l?1% delle entrate alla società civile, nel ?99 ha svolto uno studio su 357 aziende scoprendo che avevano donato 137,7 miliardi di yen. E i cittadini? Sostengono soprattutto le ong, attraverso il Kokusai volunteer chokin, una specie di conto postale lanciato dal governo nel 1991 per chi vuole donare alla cooperazione. La storia di Murao Basterà un mese di partite per mostrare l?altra faccia del Paese? È presto per dirlo, ma una cosa è certa: le facce dei volontari cominciano a fare capolino su poster e siti in tutto il Paese. Oltre ai 16.500 reclutati dal Comitato organizzatore, ci sono i 170 stranieri residenti in Giappone che a settembre 2001 hanno fondato il Voluntary network of foreign residents e le centinaia di ragazzi ?arruolati? dalle amministrazioni locali. Come Murao Rika, 19enne di Osaka: una dei 270 language volunteer che aiuteranno gli spettatori dei Mondiali a destreggiarsi fra cartelli stradali e comunicazioni incomprensibili. Il suo obiettivo? «Spero che i turisti si divertano e tornino a casa con una buona impressione del Giappone».


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