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Comunicare l’accoglienza e gestirla tramite piccoli Comuni: ecco come fare

A Benevento dal 26 al 28 maggio, all'interno del Festival "Porti di Terra" organizzato dalla Caritas cittadina, si sono riuniti sindaci, giornalisti, esperti e operatori quotidianamente impegnati sul tema migratorio. Ne sono usciti due Manifesti che ora saranno inviati in tutte le sedi opportune a livello nazionale

di Daniele Biella

Un manifesto di buone prassi per una rete di piccoli Comuni dediti al Welcome, l’accoglienza. E una Carta di intenti, firmata da giornalisti di radio-tv, web e carta stampata sulle modalità per un’urgente “comunicazione costruttiva” sul tema delle migrazioni. Questi i due importanti strumenti usciti dalla tre giorni del Festival Porti di Terra, organizzato da Caritas Benevento nei luoghi di attuazione dei propri progetti, in città come a Petruro Irpino, Chiache e Roccabascerana, paesini dell’appennino irpino che si stanno ripopolando grazie a progetti Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) di inserimento socio-abitativo di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale.

Dal 26 al 28 maggio sono passati da Porti di Terra, prendendo la parola, numerose persone di alta esperienza nei vari ambiti: il segretario della Cei, Conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino, Stefania Congia, Dirigente Politiche di integrazione sociale e lavorativa dei migranti e tutela dei minori stranieri del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Angelo Righetti, presidente “Res-IntRes-Impresa a Rete” e consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità, Regina Liotta Catrambone, fondatrice dell’ong Moas, padre Alex Zanotelli, il regista Gabriele Vacis e molti altri (qui l’elenco completo dei partecipanti e qui il report del sentito intervento di Zanotelli), coordinati dalla direttrice artistica Melania Petriello, giornalista e scrittrice.

Per quanto riguarda l’azione dei Comuni, il Manifesto redatto (disponibile in pdf in coda all’articolo) invita all’adesione ogni amministrazione comunale “capace di innovarsi e di rinnovare le proprie pratiche di welfare comunale, con la volontà di riaffermare la coesione sociale e la qualità di vita delle piccole comunità”.


Il tavolo tecnico dei giornalisti, infine, ha elaborato alcuni punti che confluiranno successivamente in una proposta etico-deontologica (che potrà prendere il nome di Carta di Benevento, avendo come base d’ispirazione la nota Carta di Roma?):

• Le parole non identifichino mai gruppi di persone ma singoli (i calabresi, gli zingari, i romani, i migranti);

• Le parole come emergenza, guerra, invasione abbiano un peso e non vengano utilizzate solo per prendere un clic in più;

• La comunicazione ha il compito non di dare spazio al ruolo delle istituzioni ma di computare le Istituzioni, di vigilare, di pretendere risposte dalle Istituzioni che per prime hanno le responsabilità di questi temi;

• Non dare solo notizie buone ma notizie date per bene (l’esperienza della comunicazione costruttiva che ci insegna dopo le 5 W a porci una sesta ulteriore domanda: What now? E adesso cosa posso fare?); • Trovare vettori di nuove storie e veicolarli;

• Comunicare i due lati delle cose che hanno sempre un doppio punto di vista, un doppio risvolto, cercare di indagare;

• Ridimensionare i fenomeni, che hanno numeri, dimensioni e proporzioni e non sempre enfatizzarli porta a compiere un’informazione pulita e corretta;

• Regolare il web che non è una zona franca gestita da pochi, ma aperta allo sfogo, alla rabbia, all’ignoranza perché una storia se passa dalla carta stampata al web non diventa terra di razzie;

• Dare un volto alle cose e ai drammi. Dietro ai numeri, dietro ai fatti storici, dietro alle situazioni che ci interrogano ci sono esseri umani e noi vogliamo dare loro un nome, un’identità e guardarli in faccia;

• Non titolare più per nazionalità, soprattutto quando le notizie sono negative, non esiste un popolo, ma una persona che delinque;

• Dare parola a chi vive quella condizione, cercare non di eliminare il filtro ma di essere quanto più vicini all’obiettività; dando la parola al protagonista di quella notizia;

• Lavorare per una comunicazione che formi oltre che informi, con le istituzioni deputate alla formazione, dalle scuole e alle università;

• Cercare un punto di vista generazionale che disperatamente manca nella comunicazione;

• Pretendere una formazione qualificata dei giornalisti e dei comunicatori che si occupano di temi come quello delle migrazioni, non possiamo demandare temi così importanti al primo giornalista del desk che è di turno quel giorno;

• Restituire un punto di vista e pesare le parole. Le parole sono importanti, non si può confondere, ad esempio, un islamico con un islamista;

• Noi e loro: lavoriamo per eliminare questa divisione, eliminare le barriere divisive che alimentano un clima di sospetto, emarginazione, divergenza;

• Educare alla scelta, l’informazione è plurale e plurima, molteplice e multipla: educhiamo chi cerca informazioni corrette alla verifica delle fonti, all’autorevolezza di chi scrive;

• Cercare nuovi linguaggi per informare;

• Non colmare con qualsiasi cosa lo svuotamento di senso di cui siamo colpevoli. Gabriele Vacis ha detto le storie non sono opinioni: noi ci occupiamo di storie, e le storie tentano di portare avanti la verità.

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“Ci impegniamo a fare di questo documento una traccia comune, che speriamo venga sottoscritta nel tempo dal maggior numero di persone, giornalisti, direttori, uomini di responsabilità, persone a capo di gruppi editoriali perché come i grandi documenti che regolano la nostra deontologia, come la Carta di Roma, sono nati da un’urgenza che diventava coscienza, così speriamo che anche questo possa essere il nostro piccolo mattone nella costruzione da sogno sì, ma utopica no, di un’informazione che sia dalla parte delle persone e non di chi la scrive”, ha concluso il gruppo di lavoro riunitosi al Festival Porti di Terra di Benevento.

Foto di copertina: Pasquale Raicaldo

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