Politica

Fondi, quello che l’Italia può chiedere all’Europa

«L’intervento europeo non è ancora sufficiente. Si può e si deve fare di più. I leader continentali sono di fronte a questa fondamentale decisione politica». Parla Roberto Ridolfi, assistente al Direttore Generale della FAO e già direttore per la crescita sostenibile e lo sviluppo della DG Sviluppo della Commissione europea, intervistato da Nino Sergi, presidente emerito di Intersos

di Nino Sergi

"È positivo che sia stato preso un impegno da parte dei vertici delle istituzioni Ue a fare tutto quanto necessario per fronteggiare questa emergenza ma le dichiarazioni d’impegno vanno sostenute con atti concreti: alcuni sono stati definiti, e non si tratta di poco, ma l’intervento europeo non è ancora sufficiente. Si può e si deve fare di più. I leader europei sono di fronte a questa fondamentale decisione politica”. A sostenerlo in questo dialogi con il presidente mergito di Intersos Nino Sergi è Roberto Ridolfi, assistente al Direttore Generale della FAO e già Direttore per la crescita sostenibile e lo sviluppo della DG Sviluppo della Commissione europea (Ce)*

Siamo infatti a un bivio storico da cui l’Europa può uscire rafforzata o rischiare l’idea stessa di Unione e dello stesso mercato interno. Tutti gli Stati membri hanno molto da perdere dal venir meno del principio di solidarietà in un momento così delicato. Dopo il 2008 ci vollero quattro anni per arrivare ad una soluzione; ma ha funzionato solo per alcuni, creando maggiori disuguaglianze, con l’Italia che non ne è mai uscita completamente. L'approccio necessario ora è da ricostruzione e la coesione territoriale a scala europea diventa fondamentale al fine di impedire che la ricostruzione sia asimmetrica e la crisi aumenti le disparità. Le risorse devono essere adeguate a questi obiettivi. Il rigore deve essere nell’analisi di scenario dei prossimi dieci anni non nel seguire regole contabili create in tempi economici molto diversi.

A suo avviso perché le misure adottate non sono sufficienti?
Per rispondere compiutamente dobbiamo innanzitutto renderci conto che l’Europa intergovernativa non funziona benissimo; serve un’Europa con processi democratici e politici realmente condivisi. Il Covid-19 accelera sintomi di altre gravi malattie. La crisi climatica sarà più grave del virus anche se più lenta; lo scacchiere geopolitico diventerà complicato quando le pressioni migratorie riprenderanno; le disuguaglianze sociali, la mancanza di lavoro e le carenze dei sistemi di salute saranno sempre meno sopportabili… Sono alcuni esempi tra i tanti che dovranno essere affrontati sempre più a livello europeo, limitando la imperfezioni dei meccanismi intergovernativi per dare più spazio di mediazione e di costruzione al Parlamento europeo e alla Commissione, costruendone i relativi meccanismi nel Bilancio dell’Unione. Il Bilancio comune europeo è infatti povero: si tratta dell’ 1% del Pil europeo, circa 140 miliardi all’anno. Questa crisi lo dimostra. La vera solidarietà incomincia da qui e non dai déjà vu del Consiglio perennemente diviso da interessi prevalentemente nazionali.

Ma dalla BCE arrivano più di mille miliardi di liquidità e con questa crisi sono stati allentati vincoli e condizionamenti…
La BCE ha deciso un programma da 750 miliardi che si aggiunge al Quantitative Easing già in corso di 240 miliardi e a quello deciso il 12 marzo di 120 miliardi aggiuntivi. Ben 1.110 miliardi di euro. Essi possono coprire: acquisto di titoli di Stato, acquisto di crediti di imprese e liquidità per le banche. Alcuni criteri di Basilea III, che impongono limiti ai crediti deteriorati, capitale minimo, analisi sul rating di imprese, vengono allentati e, in caso di sospensione dei mutui, non ci sarà una classificazione negativa dell’impresa. L’azione della BCE è essenziale ma per l’Italia, se lo spread rimane alto, questi acquisti di titoli pubblici aggiungono un problema di sostenibilità.

Non sono stati definiti anche prestiti alle imprese con garanzie pubbliche europee?
Sì, la nuova linea di credito di 200 miliardi approvata dall’Eurogruppo è possibile grazie a garanzie europee sui bilanci nazionali dei Paesi membri. Questa azione potrebbe aiutare, pro quota, lo Stato italiano, a fornire garanzie pubbliche per prestiti-ponte alle imprese a lunga scadenza in co-finanziamento con la CDP, Cassa Depositi e Prestiti. L’ammontare potrebbe però essere molto superiore. La BEI, Banca europea degli Investimenti, è garantita totalmente dagli Stati membri e potrebbe permettersi un incremento più sostanziale. La Commissione, attraverso i programmi Cosme per le PMI e Innovfin per i progetti di ricerca e innovazione, metterà inoltre a disposizione 1 miliardo dal bilancio dell'Ue come garanzia per il Fondo europeo per gli investimenti in modo da facilitare liquidità alle PMI e imprese a media capitalizzazione. Si tratta di una decisone encomiabile ma è molto modesta nel quadro attuale.

La sospensione del patto di stabilità e la maggiore flessibilità sulle regole degli aiuti di Stato sembravano tabù intoccabili e invece…
Il Trattato lo prevede. Grazie a questa sospensione il Governo ha già provveduto a stanziare fondi consistenti. Ma non ci scordiamo che si tratta di debito per l’Italia, che dovrà essere ripagato. Vale quanto detto per la sostenibilità del debito nell’avvenire. L’emissione di nuovo debito può essere fatta ad interessi che solo in parte sono tenuti sotto indiretto controllo dai massicci acquisti di titoli italiani garantiti dalla BCE. La Commissione ha il dovere di collaborare con l'Italia in deroga, sulle misure che Stato e Regioni possono prendere per aiutare sanità, lavoratori e imprese visto che ciò è previsto nel trattato (articolo 107, paragrafo 3, lettera b).

Ci sono anche altre risorse europee disponibili?
Sì, ci sono fondi strutturali ancora disponibili che possono essere di utilizzo immediato. L’Ue, con la Coronavirus Response Investment Initiative (CRII), ha deciso di mobilitare le risorse ancora disponibili per l’Italia nel bilancio europeo. Ciò consente di anticipare l'impiego di 37 miliardi ancora disponibili (29 + 8 di prefinanziamento) nell’attuale bilancio 2014/2020 sul Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e sul Fondo Sociale Europeo (FSE), che le regioni e alcuni ministeri dovranno spendere entro il 2023. Questi sono i programmi operativi regionali (Por) e nazionali (Pon). Le regole per questa spesa sono state ridotte con modifica dei regolamenti già approvata dal Parlamento europeo il 26 marzo. Le spese si potrebbero effettuare concentrate nel 2021: ma gli enti preposti in Italia che avevano problemi di capacità di spesa, saranno ora all’altezza? Tutte le risorse potranno essere riassegnate subito per: sanità (dispositivi medici quali respiratori, mascherine ecc.), garanzia dell'accesso all'assistenza sanitaria per i gruppi vulnerabili, sostegno a PMI e mercato del lavoro (sicurezza dell'ambiente di lavoro), senza bisogno di co-finanziamento nazionale e in qualsiasi parte del territorio italiano. Sarà anche possibile aiutare agricoltori e pescatori con l'utilizzo dei fondi per la Politica agricola comune (PAC) e del Fondo di sviluppo rurale. Ma in questo settore così fondamentale stiamo parlando di cifre molto modeste visto che per l'Italia tali fondi non impegnati dovrebbero attestarsi tra 1 e 1,5 miliardi.

E le misure a sostegno del lavoro?
Il 2 aprile la Commissione ha lanciato il programma SURE (Support to Mitigate Unemployment Risks in Emergency), un fondo europeo da 100 miliardi contro la disoccupazione. Il Fondo, attraverso 25 miliardi di garanzie volontarie degli Stati membri proporzionate al loro PIL, permetterà di finanziare le "casse integrazioni" nazionali o schemi simili di protezione dei posti di lavoro. Raccoglierà risorse sui mercati emettendo bond con tripla A, vantaggio per l’Italia che potrà indebitarsi a tassi più bassi per aiutare i lavoratori e riceverà quantità di prestiti più importanti rispetto alla garanzia sul suo bilancio nazionale. Ma ancora una volta la quantità non è sufficiente e la molteplicità degli strumenti potrà rendere l’esecuzione complicata. Questa mutualizzazione dei debiti è un esempio concreto di solidarietà verso l’interesse comune: ma perché non è stato costituito un fondo di 1000 miliardi invece che 100 e soprattutto, visto il carattere eccezionale, perché i debiti non sono di durata maggiore, 20-30 anni invece di 10? Questo avrebbe potuto proiettarci nel green deal in modo concreto.

Per i Paesi colpiti più duramente dal virus vi sono particolari aiuti di emergenza?
Gli Stati membri colpiti più duramente possono accedere ad un sostegno addizionale fino a 800 milioni, che potrà essere ampliato. È un fondo di solidarietà europeo per emergenze e aiuti alla ricerca. Emergenze pubbliche, ripristino delle infrastrutture, pulizia di aree e sistemazioni temporanee per le persone. Le norme possono essere estese per includere l’assistenza alla popolazione in caso di crisi sanitarie e per coprire le misure di contenimento di malattie infettive. Ha effetto retroattivo (per Italia dal 9 Marzo) ed ha una intensità relativa agli impatti attraverso ampliamento del fondo stesso. Horizon 2020 supporta network di centri di ricerca per il vaccino e cure efficaci contro il Covid 19. Sono stati approvati: un sostegno fino a 80 milioni al lavoro della società CureVac, basata a Tubinga; 164 milioni per idee innovative contro l’emergenza Covid-19; 137,5 milioni per 140 gruppi di ricerca in tutta Europa; 90 milioni per innovazione medica con l’industria farmaceutica. C’è da sperare che l’Italia sia pronta per approfittarne al massimo.

Sul MES continua ad esserci un ampio e molto animato dibattito politico…
Senza entrare nel dibattito politico, possiamo dire che le misure he ho elencato darebbero accesso a circa 90-100 miliardi di credito per l’Italia, in varie forme ma soprattutto a prestito. Il debito pubblico andrà a peggiorare arrivando a fine anno verso il 140% del Pil 2019 (magari il 160% del PIL 2020) quindi insostenibile. A quel punto l’UE e ancor più l’Eurozona se ne dovranno occupare, di fronte a rischi di default e quindi con maggior difficoltà in un clima ancora più asimmetrico di oggi. Perché non se ne occupano immediatamente, come giustamente l’Italia chiede, con strumenti di finanziamento emessi e gestiti dalla Ue per contenere l’incendio in una stanza oggi ed evitare che bruci tutta la casa europea domani? Il MES come è concepito non basta e non basterà. La pandemia è globale, quindi la risposta deve essere con emissioni co-garantite e solo per debito pubblico relativo agli effetti della pandemia. Altrimenti rischieremmo di aumentare le diseguaglianze tra gli Stati; che è contrario ai trattati europei.

Cosa si sente di proporre sulla base della sua lunga esperienza nell’Ue in materia di finanziamenti per lo sviluppo?
Ci ho pensato e, proprio sulla base dei 25 anni passati nell’Ue ad occuparmi di finanziamenti per lo sviluppo e blended finance, suggerisco un modesto contributo. Se gli interessi che gli Stati membri pagheranno per finanziare gli interventi di ricostruzione post Covid-19 saranno differenziati le diseguaglianze all’interno della Ue aumenteranno. Non solo, anche se in teoria un MES senza le normali condizionalità non darà luogo ad effetti diretti sulle condizioni, l’impatto politico e mediatico più ancora che finanziario del differenziale sul debito creerà le condizioni di crisi che sono state alla base degli interventi nel 2012 in Grecia. Quindi occorre affrontare i nodi ora. Si parla tanto di MES (240 miliardi in totale, di cui circa 36/38 miliardi per l’Italia, se li vorrà richiedere) senza condizionalità per spese sanitarie e affini: strumenti che non erano sul tavolo dello scorso Consiglio europeo. Ma è poco. All’Italia occorrono 200 miliardi senza che il loro finanziamento diventi occasione di attacco da parte della speculazione nei mercati finanziari, generando l’indebolimento anche politico di un paese fondatore dell’Unione. Non è questo l’interesse anche di altri paesi?
Nel caso si raggiunga quindi un accordo al Consiglio europeo del 23 aprile, l’Italia sarà all’altezza? Questa domanda se la pongono in molti e non deve essere vista in modo offensivo né retorico. Noi tutti conosciamo le difficoltà nello spendere i fondi strutturali europei, nell’intraprendere riforme strutturali, nel garantire la stessa qualità della spesa in diverse parti del territorio nazionale.

E allora, come possiamo uscirne?
Nell’analizzare gli strumenti allo studio e per essere operativi nel medio periodo, sembra chiaro che l'Italia dovrebbe dotarsi di una sua arma operativa a struttura mista pubblico/privata che si potrebbe chiamare Banca della Ricostruzione Sostenibile (magari da un’ala di CDP), con strumenti finanziari innovativi (convertible loans into grants, subordinated, mezzanine and senior debt, equity venture, junior and promoter grants , convertible bonds, guarantees) differenziati e incentivati dal grado di sostenibilità sociale, ambientale ed economica dell’operatore o dell’investimento o di entrambi, che, federando anche istanze regionali, potrebbe promuovere investimenti – tutti certificati sostenibili – attraverso protocolli messi a disposizione dalle agenzie tecniche nazionali e internazionali (come i food systems della FAO). Possiamo definire questo un Covid19-deal verso il green deal europeo; infatti queste operazioni verrebbero fatalmente tutte o quasi co-finanziate su scala europea (in linea ed anzi anticipatrici del green deal) ma anche da istituzioni finanziarie terze come fondi pensione, visto che tutti cercano al momento occasioni sostenibili di finanziamento in Italia per equity funds. Possiamo quindi immaginare uno scatto in avanti verso il green-deal attraverso questa operazione di ricostruzione e quindi un maggiore allineamento e una migliore capacità per il consolidamento tra qualche anno del green-deal europeo e mondiale. Si tratta di un cambio di passo e di paradigma economico per l’Italia, visto che negli ultimi dodici anni l’economia Italiana ha avuto difficoltà superiori a quelle di altri Stati dell’Unione. Potrebbe essere l’occasione per l’Italia di evitare di restare indietro e ancor più distante da altri paesi europei.

Quindi una banca per la ricostruzione e lo sviluppo basati sulla sostenibilità ambientale e sociale, oltre che economica. Con gli SDG, obiettivi di sviluppo sostenibile, al centro. E’ così?
Questa banca di ricostruzione dovrebbe essere ispirata e finanziata da un Fondo SDG Italia di nuova concezione, che si discosti dalla teoria economica ancora prevalente che, chiaramente, non ha aiutato il pianeta. Mentre aspettiamo che i modelli educativi si trasformino completamente e che nuove generazioni di leaders assimilino paradigmi di sostenibilità corretti, occorre fare proposte concrete per l’uscita dalla crisi. Il Fondo SDG Italia vuole andare in questa direzione. La pandemia Covid-19 ha esaltato i nodi globali di mancanza di inclusione, insostenibilità ambientale, povertà, migrazione di massa… Per Il “Piano per gli investimenti esterni” della Ue, che è il più grande esempio di blended finance finora concepito nella cooperazione internazionale per lo sviluppo, mi sono ispirato alla sostenibilità e all’inclusione sociale ed economica che ne sono parte. Il sistema di incentivi per coprire con garanzie gli investimenti di cui abbiamo parlato potrebbe essere legato stabilmente alla sostenibilità, definita in modo scientifico dal framework approvato da tutti i paesi del mondo, con i 169 obiettivi e i 244 indicatori di sviluppo sostenibile. L’Italia, a partire dalle istituzione esistenti ed in primis CDP, dovrà prevedere l’attivazione complementare di strumenti finanziari, fiscali, assicurativi ma anche tecnici che incentivino e accompagnino gli attori economici a investire in quantità decisamente più ampie e soprattutto ispirate decisamente dalla metrica della sostenibilità. Ciò richiede precise scelte di politica industriale e di gestione delle risorse.

Si tratterebbe quindi di uno strumento adatto per gli investimenti interni ma anche per quelli esterni. Vedo un interessante collegamento con quanto si sta discutendo nell’ambito della cooperazione internazionale in merito ad un “Italian Development Fund” per lo sviluppo sostenibile.
Sì, può esserlo e la ringrazio per avere creato questa relazione interessantissima. Dalla necessità di dare uno scatto in avanti alla cooperazione europea di fronte alla migrazione ho scritto il Piano degli investimenti esterni da cui è nato l’ European Fund for Sustainable Development nel 2017 e quindi sono molto in favore di un fondo simile italiano. Un serio e duraturo programma di sviluppo del bi-continente Afro-Europeo richiede che si vada al di là di impegni simbolici e atti di testimonianza. Ad oggi manca uno strumento di natura globale in grado di mobilitare una adeguata massa critica di risorse a dono che sono indispensabili per produrre l’effetto leva su investimenti a prestito o equity 10-20 volte superiori.
Questo Fondo SDG Italia dovrebbe essere moltiplicato a livello globale. La proposta dovrebbe essere lan-ciata dal G7 e dal G20, approfittando di quello nel 2021 a guida italiana, magari con il sostegno di leaders religiosi e autorità morali nel pianeta. Questi fondi SDG potrebbero fare leva sui fondi pensione attraverso la destinazione per legge di una quota dei loro assets (2-3%), legando i destini delle nuove e delle vecchie generazioni, rappresentando una potente categoria paradigmatica e simbolica del bond di solidarietà tra generazioni. Potrebbero anche essere oggetto di una donazione volontaria da parte dei patrimoni più consi-stenti e al di sopra di una certa soglia. Si può anche immaginare un prelievo una tantum del 2-3% su patri-moni eccedenti il primo milione di dollari di assets e quelli oltre alla prima casa di proprietà. Tale misura – una forma di tassa totalmente volontaria per la sostenibilità – graverebbe solo sui patrimoni molto alti (patrimoni, non redditi) e consentirebbe di generare volumi globali atti a garantire oltre 35-40 miliardi di dollari annui. Ogni paese potrebbe avere il proprio Fondo ma tutti lavorerebbero con principi simili legati agli SDG ed il Fondo SDG Italia sarà appunto associato alla banca della ricostruzione per operare in Italia e all’estero.
In attesa del cambio totale dei modelli economici di riferimento, in mano alle generazioni future, oggi noi potremmo immaginare in Italia un impegno di questo Fondo per sostenere la produzione e la commercializ-zazione di prodotti ecosostenibili, per promuovere produzioni bioagricole e bioalimentari, con i quali avviare la conversione green del continente europeo e l’industrializzazione sostenibile del continente afri-cano. È anche un modo per bloccare la tendenza a ridurre le risorse per le politiche di cooperazione, che ora con il Corona virus rischiano il collasso.
Mi potrebbe far notare che in questa fase ancora di emergenza, parlare di una Banca per la ricostruzione e di un fondo per gli SDG possa sembrare ad alcuni fuori luogo ma credo che non lo sia. D’altronde baste-rebbe che i principi (di incentivazione progressiva, di addizionalità, di rigore scientifico sulla sostenibilità, di impegno civile e solidale nel finanziamento) appena esposti, alla base della Banca della Ricostruzione e del Fondo SDG, siano applicati in maniera disciplinata e strutturata alle azioni che si vanno ad intraprendere e dalle strutture che saranno preposte, per avere un’alta qualità della spesa ed un effetto trasformativo e strutturante della stessa verso il mondo nuovo.

La domanda fondamentale rimane però la stessa: saranno capaci gli Stati dell’Unione a convincersi che la solidarietà europea garantirebbe beneficio a tutti nel medio-lungo periodo? E avranno la volontà politica di superare gli egoismi nazionalistici e abbandonare l’illusione di poter superare difficoltà globali da soli?
Qualcuno suggerisce di non usare la parola solidarietà quando si discute di politica europea. Parliamo di cifre allora. I dati di fronte a noi a breve/medio termine sono una riduzione dal 10 al 15 % del PIL Italiano, 150-200 miliardi; mentre nell’Ue abbiamo stime di riduzione intorno ai 1500 miliardi. Queste cifre richiedono interventi enormi e credibilità. Senza timore di smentite possiamo dire che servono 200 miliardi all’Italia e 1500 in tutta l’Ue. Devono essere finanziati con tassi d’interesse uguali per tutti per non fare della medicina di salvataggio un veleno di ulteriore diseguaglianza. Quando Il Governatore della BCE Draghi disse “BCE will do whatever it takes”, disse anche “it will be enough”, riferendosi alla quantità, e concluse, ancora più importante, con “believe me”. Senza il secondo ed il terzo elemento della frase, il whatever it takes non avrebbe funzionato. Anche oggi occorrono i tre elementi per iniettare fiducia nel mondo da ricostruire. Questa fiducia l’Europa non la ottiene se agisce in modo asimmetrico ma solo se agisce fortemente nell’interesse comune.
I mercati economici e finanziari ci dicono ora quanto già dicevano nel 2008 negli Stati Uniti: il whatever it takes americano ha funzionato. Oggi, con un accordo bipartisan al Parlamento statunitense, questo ‘credo’ vale 2200 miliardi di dollari di iniezione nell’economia americana, senza esitazioni e subito: il 10 % del PIL.
Le parole pasquali di Papa Francesco, con la sua visione lungimirante e coerente, rivolte all’Unione europea, rimangono illuminanti, di ammonimento ed esortazione al tempo stesso: “Dopo la Seconda Guerra Mondiale, questo amato continente è potuto risorgere grazie a un concreto spirito di solidarietà che gli ha consentito di superare le rivalità del passato. È quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a vicenda. Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero. Non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi particolari, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni”. C’è da sperare che il Presidente del Consiglio europeo, i Capi di Stato e di Governo europei, il Presidente della Commissione e il Presidente del Parlamento europeo possano ispirarsi a queste parole per il Consiglio del 23 Aprile.

* Le opinioni espresse da Roberto Ridolfi sono del tutto personali e non riflettono in alcun modo le posizioni ufficiali della FAO ne quelle dell’Unione Europea.

Nella foto: Roberto Ridolfi e, a sinistra, Nino Sergi

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