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Perchè il mondo ha ancora fame/5. Baby pesce, maxi fame

L’europa, a corto di esemplari adulti, va a rifornirsi nel sud del mondo,lasciandolo a bocca asciutta Una legge ora può aiutarle, ma ci crede solo il wwf.

di Carlotta Jesi

La fame nel mondo è inversamente proporzionale al pesce che avete nel piatto. Più è piccolo, più grande è il numero di poveri che fanno la dieta forzata. Prendete il merluzzo: nel 2000, gli europei hanno pescato solo il 70% della quota che avevano a disposizione perché nel Baltico non ce n?era più. Una penuria di pesci adulti dal duplice effetto negativo. Il primo: nelle pescherie occidentali finiscono merluzzi giovanissimi che non vivono abbastanza per riprodursi e ripopolare le acque. Il secondo: le flotte europee salpano verso mari più promettenti acquistando dai Paesi poveri, soprattutto africani, il diritto di pescare lungo le loro coste. «E con esso, purtroppo, anche quello di portarsi via del cibo di cui le nazioni in via di sviluppo hanno molto bisogno», denuncia Julian Scola da Bruxelles, dove dirige la campagna internazionale del Wwf per una pesca più giusta e sostenibile. Ai poveri, solo le lische L?impatto dei baby merluzzi sul miliardo di persone che, secondo l?Onu, nei Paesi poveri trovano nel pesce la fonte principale di nutrimento? Tenendo conto che il 67% delle acque europee sono sovrapescate, che le navi del Vecchio continente portano sul mercato dai 6 ai 7 milioni di tonnellate di pesce l?anno per un valore di 7,3 miliardi di euro e che, solo dal 1993 al 1997, per comprare diritti di pesca dalle nazioni povere l?Ue ha speso oltre 1 miliardo di euro, al Sud del mondo rimangono solo le lische. Già, perché la pesca sarà pure una fetta di mercato meno redditizia dell?agricoltura e dei prodotti manifatturieri, ma su merluzzi, tonni e crostacei vari si giocano interessi enormi. Sede della partita, Bruxelles, dove la riforma della Common Fisheries Policy (Cfp), creata nel 1971 per gestire la pesca nell?Unione, ha travolto la Commissione in uno scandalo diplomatico che va avanti dal dicembre 2001. Protagonisti: Loyola de Palacio, ex ministro della pesca spagnola, oggi Commissario dell?energia e dei trasporti, Romano Prodi e Steffen Smidt, funzionario danese a capo del Tavolo di lavoro sulla pesca. La prima è accusata di essersi fatta influenzare dalla lobby spagnola, spaventata da un possibile taglio ai sussidi per la pesca, e di aver ritardato la pubblicazione della riforma fino ad aprile dichiarando alla stampa che la nuova Cfp era «brutale e provocatoria». Scoperta la de Palacio, è entrato in scena il premier spagnolo: il 21 aprile, Aznar ha chiamato il presidente della Commissione, Romano Prodi chiedendo di ritardare ulteriormente la pubblicazione della riforma. E pochi giorni dopo, senza alcun preavviso, il danese Steffen Smidt, sostenitore dei tagli ai sussidi, è stato licenziato. La Commissione ha presentato la rimozione di Smidt come parte di una riforma strutturale. Ma a Bruxelles nessuno ci crede. Il 28 maggio, la proposta di modifica del Cfp viene finalmente pubblicata. Ma i suoi punti principali, riduzione della flotta europea (con un taglio di 1.300 barche spagnole e 3mila italiane), utilizzo dei sussidi per riforme sociali a favore dei pescatori disoccupati e stanziamenti straordinari per la rottamazione di barche, non soddisfa il Wwf. «Perché da un lato la Commissione promette 650 milioni di euro per la rottamazione di barche e dall?altro 839 milioni per l?ammodernamento», denuncia Julian Scola, «e perché non dà alcuna garanzia che la vendita dei diritti di pesca sia fatta in maniera sostenibile. Noi non siamo contro questi ?access agreements?, ma vogliamo che l?Unione europea li stipuli rispettando il Codice di condotta della Fao per la pesca responsabile, che la impegna a dare priorità ai bisogni nutrizionali delle comunità locali». E sul cambio di rotta dei sussidi europei alla pesca (1,4 miliardi di dollari l?anno, circa 14 mila euro a barca) il Wwf che ne pensa? «I sussidi non hanno creato occupazione, come si augurava la prima versione del Piano comune per la pesca. Anzi, negli ultimi dieci anni, in Europa, l?industria della pesca ha tagliato 60mila posti di lavoro. Per non parlare dei danni che hanno fatto al Sud del mondo». Le migrazioni dei battelli In Argentina, per esempio, dove tra gli anni 80 e 90 il Paese ha aperto le sue acque alle flotte occidentali sponsorizzando joint venture fra compagnie europee e argentine che ricevono sussidi da Bruxelles. Risultato: tra il 1985 e il 1995 le esportazioni di pesce sono aumentate del 478%. Ma dal 1997 al 1999, a causa dello sfruttamento delle acque, la pesca è diminuita di un quarto e, invece di generare guadagno, le entrate legate alla pesca sono calate del 14%. Difficile dire dove finiscono i sussidi alla pesca che non creano nuovi posti di lavoro. L?unica cosa certa è che il 90% dei battelli finanziati dall?Ue per uscire dalle sue acque, si trasferisce in quelle dei Paesi in via di sviluppo. Uno scandalo che non risparmia il nostro Paese, fotografato nel rapporto del Wwf Sussidi europei alla pesca italiana. Spiega Paolo Guglielmi, dell?associazione ambientalista: «Non è raro vedere barche che scompaiono dai registri italiani e che ricompaiono nei Paesi in via di sviluppo. Si costruiscono società miste, con una testa di legno in Tunisia, Marocco, Albania. E il gioco è fatto». Coi finanziamenti di Bruxelles.


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