Salute

L’inquinamento favorisce il virus. Svolta green per uscire dall’emergenza

Un paper curato da un gruppo di accademici dimostra la correlazione. Intervista all'economista e consulente del ministero dell'Ambiente Leonardo Becchetti

di Redazione

Insieme ai colleghi Gianluigi Conzo, Piero Conzo e Francesco Salustri, l'ecomomista di Roma Tor Vergata e consulente del ministero dell'Ambiente Leonardo Becchetti ha lavorato a un paper sugli effetti dell'inquinamento e della qualità dell'aria sulla diffusione del virus (nell'immagine Esa la concetrazione di polveri sottili nel nord d'Italia)"Se vogliamo ripartire al meglio dobbiamo farci le domande giuste".

Quali per esempio?
Perché in Italia tanti morti, perché il 60% e più in una sola regione ? Perché il virus è arrivato in un baleno e con violenza da Wuhan a Milano mentre sembra aver colpito molto meno le regioni del Centro-Sud ? Non c’è solo il paziente zero di Codogno, c’è la coppia di cinesi che in comitiva ha girato per Roma, i bergamaschi che sono scesi in Sicilia e l’assalto ai treni a Milano il giorno prima del lockdown di chi tornava al Sud nelle città di origine. Capire quello che è successo è la prima cosa da fare per costruire le strategie giuste per ricominciare senza correre il rischio di riandare a sbattere subito o di farsi ancora più male al prossimo shock globale che speriamo tutti non arriverà.

Quali evidenze emergono dal vostro paper?
Abbiamo fatto uno studio sui dati giornalieri provinciali e comunali dei contagi e dei decessi mettendoli in relazione con variabili sociodemografiche e quello che in letteratura medica, epidemiologica e delle scienze sociali si pensa possa spiegare la tragedia che abbiamo osservato. I fattori decisivi che spiegano il diverso impatto sono l’esposizione di lungo periodo alle polveri sottili e la densità di microimprese. I limiti del sistema sanitario che abbiamo tutti sotto gli occhi sono solo l’effetto non la causa. Il sistema sanitario in Lombardia aveva più letti di terapia intensiva di quelli del Mezzogiorno. E’ solo che è stato investito da una forza d’urto di molte volte superiore. Non confondiamo causa con effetto. Questo non vuol dire ovviamente che lo shock non debba indurci a ripensare la costruzione del nostro sistema sanitario. Abbiamo capito tutti che ci vogliono più risorse, meno difformità tra regioni, più letti di terapia intensiva. Ma anche un modello community based e non hospital based. L’ospedale è un luogo prezioso ma fragile che rischia sempre di intasarsi e di diventare paradossalmente propagatore di contagi. Bisogna curare più e meglio sul territorio, a domicilio e in modo diffuso. Bellissima la storia del medico di Piacenza che andava bardato in casa a visitare i pazienti a rischio ricovero per cercare di prevenirlo.

Torniamo alle cause e alle lezioni per la ripartenza…
I nostri dati indicano che tra provincie più e meno inquinate per PM2,5 e PM10 (prevalentemente Lombardia e Sardegna) ci sono 600 morti circa di differenza attribuibili alle polveri sottili. E che il rischio mortalità raddoppia. Risultati analoghi di un lavoro di colleghi di Harvard sulle contee degli Stati Uniti. Tutto coerente con quello che la scienza medica ci dice da tempo. Ci sono decine e decine di studi che citiamo nel nostro lavoro che spiegano perché il depositarsi delle polveri negli alveoli rende i polmoni più fragili, più propensi agli esiti infiammatori che abbiamo osservato col COVID e più a rischio di esiti infausti quando arrivano virus polmonari.
Un’altra tragedia messa in luce dai nostri dati è quella della microimpresa. Gli artigiani e i piccoli imprenditori sono eroi come i medici e infermieri perché la loro attività economica se chiude per troppo tempo rischia di più di non ripartire. Non hanno spalle larghe, sono più esposti e lavorano prevalentemente in settori (industria, servizi all’industria) dove non è possibile passare alla modalità smart. La maggiore concentrazione di piccola impresa e impresa artigiana nei nostri dati è significativamente correlata con più contagi e più decessi.

Quindi come comportarci nella fase di ricostruzione?
La lezione di questa crisi non è la decrescita, e nemmeno una crescita irresponsabile non-importa-come magari con condoni edilizi dissennati e saccheggio del territorio. La risposta intelligente e responsabile è quella di un “benessere resiliente” capace di mettere assieme ripresa economica, lavoro, salute, ambiente e “ricchezza di tempo” (conciliazione vita di lavoro vita di relazioni). Alcuni esempi pratici. Il 96 percento delle polveri sottoli dipende da fattori sotto il nostro controllo (57 percento riscaldamento domestico, il resto trasporti, energia, modalità di produzione industriale e agricola). Abbiamo uno strumento che si è rivelato in passato molto efficace. L’agevolazione all’efficientamento energetico degli edifici che ha prodotto in 12 anni 40 miliardi di valore economico con un saldo non negativo per le casse dello stato. Potenziamola per ridurre il contributo del riscaldamento domestico alle polveri. Una seconda proposta. Costruiamo zone economiche speciali per agevolare gli invesetimenti green delle imprese che modificano prodotti e processi produttivi per renderli più sostenibili nelle aree più colpite dal COVID che sono anche quelle più inquinate. Una “green industry 4.0”. Sono sicuro che piacerebbe anche ai nostri partner europei perché metterebbe assieme Green New Deal e risposta al COVID

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