Economia

Innovatori sociali, fatevi avanti

Il segretario generale di Human Foundation: "Il conflitto tra platea storica delle persone con fragilità sociale e nuova platea di impoveriti è la vera, enorme sfida: non ci sono consentite né distrazioni, né diserzioni"

di Francesco Spano

È ormai chiaro che, all’indomani dell’emergenza sanitaria, ci troveremo di fronte un tessuto economico e sociale sfilacciato, fortemente segnato dalla fatica e dalla precarietà, se non addirittura dalla povertà e dalla fame. Ed è quindi su questa ferita spalancata, quella delle nuove povertà da Coronavirus, che siamo convocati permanentemente a mobilitare le nostre competenze, le nostre energie, le nostre prospettive d’impegno.

L’impoverimento di intere fasce della popolazione è un tema che ci è caduto addosso già 12 anni fa, quando la crisi Lehman Brothers ha sferrato il suo graffio nella vita di tanti cittadini. Una crisi nata dalla finanza e ricaduta, presto e male, sull’economia reale, con un movimento recessivo che ha inginocchiato, a domino, pezzi grandi e piccoli del tessuto produttivo. Abbiamo imparato, allora, che la finanza speculativa ed autoreferenziale poteva costituire un pericolo letale e un moltiplicatore inesorabile di ingiustizia sociale. Da quella lezione terribile è nato l’istinto di costruire un orizzonte nuovo anche sul piano finanziario ed è nato il movimento globale della finanza e degli investimenti ad impatto sociale. L’insufficienza del rendimento e del rischio come unici parametri di valutazione per un investimento è diventato un tema che ha scavato la sua trincea e ha generato un nuovo filone di azione, oltre che di pensiero. Ancora sperimentale, forse, ma in crescita costante: il movimento impact.

Questa volta, però, lo scenario ci chiama a stare ancora più all’erta. È un’emergenza sanitaria internazionale che travolge il pianeta globalizzato e lo obbliga a una serrata senza precedenti. A spegnere le macchine, a scalare le marce, a fare silenzio. La decrescita come obbligo senza scelta: questione di vita o di morte. E se l’emergenza climatica ci aveva visti sull’attenti, il disastro ambientale ci è sempre sembrato una prospettiva di medio e lungo periodo. A questo giro, invece, in palio c’è la sopravvivenza qui e ora. Improvvisamente, gli occhi si aprono per tutti. E impariamo, ad esempio, che senza Welfare si muore. Senza un sistema sanitario con sufficienti posti letto si perdono vite umane; senza una scuola organizzata e moderna si interrompe il diritto allo studio; senza una ricerca ben finanziata non si trovano risposte decisive; senza i diritti sui luoghi di lavoro la protezione sociale di fronte alle emergenze non esiste e si cade nel baratro.

Eccoci, quindi, davanti allo specchio di una società che, anche prima del Coronavirus, era prossima allo schianto. In cui non siamo tutti uguali nel contare i cocci per terra. Perché “la povera gente”, come la chiamava Giorgio La Pira, è ancora più provata di prima. Soccorsa dai fondi speciali per il Coronavirus, gestiti con sacrificio dai sindaci e dai Comuni. Ma ancora più in fondo alla piramide sociale. Con una contesa difficile, già in corso in molti territori, per l’accesso alle risorse di sostegno che vede in campo i nuovi impoveriti da Covid. Commercianti che hanno chiuso saracinesche e rischiano di non poterle rialzare nemmeno dopo, agenti di viaggio e lavoratori del turismo che hanno perso milioni di euro in annullamenti e mancate aperture di strutture, imprese culturali che, impiegando migliaia di persone nutrono le nostre menti con quelle "rose" necessarie quanto il pane. Partite iva di vario genere (avvocati, architetti, ingegneri, geometri, tecnici della comunicazione, lavoratori dello spettacolo… e la lista potrebbe continuare). Senza contare gli acrobati del precariato e del lavoro nero, per cui nessuna cassa integrazione è attivabile, con il rischio di non superare più nemmeno la “soglia di galleggiamento”.

Il conflitto tra platea storica delle persone con fragilità sociale e nuova platea di impoveriti è la vera, enorme sfida per un Governo che si connota come democratico-progressista e che vuole fare della mitigazione delle diseguaglianze uno dei suoi valori-cardine. Al tempo stesso, per le organizzazioni che costituiscono l’arcipelago dell’innovazione sociale italiana, è questo il campo di lavoro su cui non ci è consentita distrazione né diserzione. Con un paradosso feroce: che le organizzazioni del Terzo Settore, chiamate come sempre e più di sempre a lavorare sul terreno dell’inclusione e della giustizia sociale, sono dimenticate dai provvedimenti governativi. Come ha evidenziato anche Guido Cisternino nella sua intervista a Stefano Arduini per Vita, infatti, né il Cura Italia né il decreto Dignità assicurano l’accesso al credito e ai sostegni al Terzo Settore, escludendo di fatto le organizzazioni non profit e gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti dagli aiuti (ammortizzatori sociali esclusi). Il criterio per attivare le misure previste, infatti, è lo svolgimento di attività economico/commerciale. Dimenticando l’impatto sociale positivo, appunto, che le tante progettualità messe in campo dal Terzo Settore ogni giorno potrà avere, più che mai nella fase economica di depressione e recessione che inevitabilmente ci attende. Su questo, la rete dell’innovazione sociale italiana dovrà rafforzarsi e mobilitarsi inevitabilmente. E su questo siamo pronti da subito a fare la nostra parte.

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